Se non ora, quando?

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 10/02/2011
Domenica 13 le donne scendono in piazza per dire forte e chiaro che l’Italia è un paese per le donne. Quelle che non ci stanno a farsi mercificare, quelle che non si faranno omologare ai modelli correnti berlusconiani e che rivendicano il diritto al rispetto e alla considerazione.

Prima del ’68 le ragazze si dividevano fra ragazze perbene e ragazze facili. Con le ragazze perbene i ragazzi uscivano a passeggio e al massimo le prendevano per mano, con le altre facevano esperienze d’altra natura. Ma in realtà chi fossero costoro e cosa facessero sul serio, bene bene noi ragazze perbene non lo sapevamo per certo. Erano bisbiglii vaghi, cose che non si potevano neppure immaginare. L’informazione sulle cose della vita del resto era prossima allo zero. Mi ricordo come fosse ieri che in quinta ginnasio una mia compagna di classe mi raccontò in gran segreto di una ragazza di un’altra classe che era molto preoccupata di essere rimasta incinta, perché un ragazzo l’aveva baciata mentre aveva il ciclo... adesso sembra incredibile che girassero certe idiozie e soprattutto che potessero essere credute vere, ma è proprio così che andavano le cose.

Le ragazzine di buona famiglia venivano lasciate nell’ignoranza più pericolosa e più ipocrita e da piccolissime venivano educate ad essere soprattutto delle buone mogli e brave mamme. Quello era il loro destino: angeli del focolare, che della vita dovevano sapere il meno possibile.

Sono stata fortunata ad avere una nonna come la mia, che ha insegnato a me e alle mie cugine che per essere libere ed indipendenti dovevamo essere economicamente autonome e autosufficienti, spingendoci a studiare, a laurearci e a intraprendere una professione e insegnandoci ad avere rispetto di noi stesse e delle nostre capacità. Non erano molte le donne della sua epoca e della sua estrazione aristocratica, che invogliassero figlie e nipoti a intraprendere una professione. Ma era pur sempre una donna del suo tempo e voleva anche che noi imparassimo a gestire una casa, a pulire, cucinare, stirare perché “chi non sa fare non sa comandare!”

E del resto era impensabile prescindere da un ruolo in famiglia. Perché allora comunque la casa era ancora al centro del mondo femminile, anche per quella parte di donne che erano avanti nella strada dell’emancipazione.

 

Femminismo

Non è stato facile lasciarsi dietro tanti secoli di pregiudizi: il ’68 colse molte donne impreparate, ma non ci misero molto a capire e a crescere. Ed è stata per tutte noi che l’abbiamo vissuta una stagione bellissima, di grandi scoperte su noi stesse, di inimmaginabile complicità e solidarietà femminile. Tutto avvenne molto rapidamente, fu un repentino e brusco passaggio da “angeli del focolare” ad “angeli del ciclostile” a protagoniste di battaglie di civiltà, di conquiste come il divorzio e l’aborto, attraverso uno sforzo collettivo e organizzato, nato dalla presa di coscienza di una severa militanza nell’impegno civile. Fu una ascesa così veloce e improvvisa, come non ce la saremmo mai immaginata prima e forse poi abbiamo dato per scontate un po’ troppe cose. Il fatto di accedere a professioni prima solo maschili, ci ha fatto credere che ormai fossimo al sicuro da ritorni indietro, ma quello che sta accadendo oggi ci dice in modo allarmante che non è così.

Ora, noi che abbiamo conosciuto altri tempi, in cui non avevamo diritti ma solo doveri e ambiti angusti in cui farli valere, lo vediamo bene che basta poco e l’immagine più deteriore della donna torna fuori, come un rigurgito acido e disgustoso.

La donna oggetto, la bistecca che respira, la puttana da usare, la sciocca segna posto, da sedere su una poltrona pubblica come una bambola di porcellana da 4 soldi, è sempre lì dietro l’angolo, con tutto il corredo squallido di battute sconce e miserabili.

Ed eccole lì, sotto i riflettori impietosi di una informazione spesso deformata, le famigerate escort, povere lolite extracomunitarie o sottoproletarie, ragazzine pagate per dare a vecchi sporcaccioni l’illusione della giovinezza e del potere. Perché questa non è nemmeno una questione di sesso, se facciamo attenzione, è peggio: è esercitare il potere di decidere del futuro di una persona, giocando con la sua dignità, non solo col suo corpo. E non è che le ragazze che si piegano a questo vecchio lurido gioco non ne conoscano tutto il veleno e certi brandelli di discorsi intercettati al telefono sono illuminanti, così pieni di odio e di disprezzo...

Ma se qualcuno pensa che quella del 13 sia una manifestazione delle “brave” ragazze contro le ragazze “facili” si sbaglia di grosso. Quella fase l’abbiamo superata da anni e noi non torniamo indietro. Noi scendiamo in piazza invece anche per queste ragazze giovani e sprovvedute, queste giovani donne confuse e disorientate, che hanno bisogno non di essere disprezzate, ma piuttosto supportate, indirizzate, istruite. Una manifestazione - nelle intenzioni delle organizzatrici - promossa «contro la miseria della sessualità maschile incarnata da Berlusconi» e «per chiedere a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro e della nostra dignità». E lo testimonia l’adesione, convinta, del Movimento per i diritti civili delle prostitute, che domenica sarà in piazza a Roma perché non accetta che «il nostro Paese sia trascinato nel fango da una classe politica che ci ha ridotti a una democrazia degenerata».

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Nelle 117 piazze d’Italia ci piacerebbe dunque che ci fossero anche tanti uomini che rifiutano questa immagine della donna, ma sono anche contro la corruzione che il potere esercita. «Se quella italiana è una società bloccata e che non cresce - ha detto infatti Francesca Izzo, del Comitato promotore - è perché tiene da parte le donne. Chiediamo agli uomini di esserci, ma diciamo allo stesso tempo che le classi dirigenti, che sono maschili, sono responsabili di questa condizione».

Questa manifestazione del resto non raccoglie solo l’adesione delle donne di sinistra, ma anche di quelle di destra, come Flavia Perina, direttrice del «Secolo d’Italia» e parlamentare Fli, secondo la quale la questione «è politica: se passa il principio che una delle strade per fare politica è quella dei festini, tutte noi che abbiamo fatto altre scelte saremo squalificate. Come ci si salverà dal sospetto?». Ma infatti è proprio lì l’inghippo: come riportare le donne a un ruolo secondario, a una non credibilità, a uno svilimento delle loro capacità, se non aprendo le porte della carriera politica – l’ultima ancora preclusa al genere femminile in questo paese – a donne manovrabili e senza alcuna credibilità politica e culturale? Per questo è così importante partecipare, riattivarsi e vigilare.

Il titolo di questa manifestazione, del resto, “Se non ora, quando?” è scelto bene: è preso da un romanzo di Primo Levi, che racconta di partigiani ebrei polacchi e russi che tra il luglio 1943 e l’agosto 1945 combatterono per sopravvivere e per sconfiggere la Germania nazista. Non possiamo che prenderlo come un buon auspicio di vittoria della civiltà sulla barbarie.

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