Cambiare verso

di Francesco Baicchi - 03/04/2015
Cosa intendono realmente cambiare Matteo Renzi e i suoi mandanti e collaboratori?

Fra i tanti slogan che costituiscono il repertorio dell’attuale capo del governo ‘cambiare verso’ merita una riflessione a parte.

In un Paese disastrato da decenni di malgoverno, preda di una corruzione dilagante e guidato da una classe dirigente apparentemente priva di un sia pur minimo riferimento etico, il richiamo al ‘cambiamento’ ha una sua innegabile efficacia.

Ma cosa intendono realmente cambiare Matteo Renzi e i suoi mandanti e collaboratori?

Se consideriamo l’insieme degli interventi realizzati e in corso, il minimo comun denominatore che li unisce e costituisce dunque l’obiettivo di fondo coerentemente perseguito è l’accentramento del potere in poche mani, la riduzione dei meccanismi di garanzia e controllo e la priorità accordata all’iniziativa privata, qualunque ne sia il fine.

La legge Delrio sulle province (già applicata) e la ‘riforma’ della Costituzione (ancora in corso di approvazione) sottraggono ai cittadini il potere di eleggere i loro rappresentanti nelle Province e nel Senato. La legge elettorale proposta (detta italicum) deforma a tal punto la volontà popolare da affidare la assegnazione della maggioranza alla Camera a una specie di lotteria e la scelta di due terzi dei parlamentari alle segreterie di partito.

Ma anche il cosiddetto ‘sblocca Italia’ , il Job’s Act e la riforma della Scuola hanno la stessa ispirazione: nel primo si indebolisce la difesa dell’ambiente accentrando le decisioni sulle ‘grandi opere’, nel secondo si cancellano le tutele dei lavoratori rispetto all’arbitrio dell’impresa, nella terza si affidano ai Dirigenti scolastici poteri eccessivi nella scelta dei docenti e nella loro valutazione, puntando ad ampliare la presenza dei privati (compresa la Chiesa Cattolica).

In altre parole si sostituiscono i meccanismi giuridici di valutazione oggettiva e la partecipazione popolare alle scelte, conquiste della democrazia egualitaria su cui è fondata la nostra Repubblica, con un ritorno a un sistema piramidale di potere dal vago sapore feudale.

La storia ci insegna che il cammino verso società sempre più giuste e civili non è un percorso lineare; ricorda piuttosto il supplizio di Sisifo, e richiede un impegno continuo per difendere e far progredire conquiste che spesso sono inizialmente promosse solo da minoranze più lungimiranti e ostacolate da quanti sanno di perdere i loro privilegi, in genere ingiustificati.

In molti casi abbiamo assistito a arretramenti e al ritorno al passato: pensiamo alla brevissima stagione della Costituzione della Repubblica Romana e al monarchico Statuto Albertino, che invece è rimasto formalmente in vigore fino al 1946 e spianò la strada all’avvento del fascismo.

E non è inutile ricordare che quelle che per noi ‘occidentali’ sono conquiste irreversibili (penso, fra le altre, alla parità di genere e alla laicità dello Stato), in altre società contemporanee sono ancora impensabili.

Nonostante tutte le difficoltà è però innegabile che la storia abbia un ‘verso’, e proceda da sempre nel senso di un progressivo ampliamento dei diritti inalienabili, compreso quello alla conoscenza, e di un allargamento della partecipazione di un numero sempre maggiore di uomini e donne alle scelte politiche.

In questo campo il nostro Paese ha fatto un balzo in avanti con il suffragio universale nel 1946, e poi con l’inserimento della solidarietà, della eguaglianza, del lavoro, in tutte le sue forme, come diritto/dovere di tutte e tutti fra i Principi Fondamentali e ineludibili della Costituzione repubblicana; ma soprattutto con l’affermazione che la sovranità appartiene ai cittadini e alle cittadine, che la esercitano eleggendo i loro rappresentanti nel Parlamento e associandosi liberamente nei tanti soggetti attivi sul piano sociale, compresi i sindacati. La stessa Costituzione, che oggi si cerca di mettere in discussione, ha consentito poi la stagione dei diritti civili, l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori e, grazie all’autonomia della Magistratura, la lotta alle mafie e alla corruzione.

Il disegno portato avanti da Renzi, dai suoi mandanti e collaboratori (la ripetizione non è casuale), tenta ora ancora una volta di arrestare questo cammino in nome e per conto della grande finanza internazionale e di una classe padronale che non riesce ad accettare il ruolo sociale che l’articolo 41 della Costituzione assegna all’impresa privata, e spesso non è nemmeno capace di concepire un mercato in cui la competitività sia legata alla innovazione e alla qualità, e non solo al basso costo del lavoro.

Ma i problemi che le nostre società devono affrontare, deterioramento dell’ambiente, scarsità delle risorse energetiche e alimentari, ampliamento delle disuguaglianze e conseguente dilagare della violenza, possono essere affrontati solo con più democrazia, giustizia e partecipazione, non con la violenza di un potere accentrato e senza controllo.

Il ‘verso’ che vogliono cambiare è quello del progresso civile e della crescita democratica, che invece la nostra Carta costituzionale ci indica senza equivoci.

 

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