La pistola alla tempia

di Francesco Baicchi - 29/06/2015
E’ indispensabile che nuovi soggetti, rappresentativi di quella società che, pur non votando, è impegnata spesso sul piano sociale e culturale, emergano e costituiscano una reale alternativa a una ‘casta’ che si è dimostrata incapace di rigenerarsi

Tutte le previsioni fanno pensare che nel nostro Paese l’astensionismo, se si votasse entro breve tempo, si amplierebbe ulteriormente; voterebbe cioè non più di un italiano/a su due.

Il fenomeno non è comparabile con quanto avviene in altri stati a democrazia consolidata, nei quali, anche quando non partecipano al voto, i cittadini dispongono di altri strumenti per partecipare o almeno influenzare le scelte politiche, a partire da un sistema informativo veramente indipendente (e giustamente critico con il potere), e da politici sensibili agli orientamenti della opinione pubblica, dalla quale dipende la loro carriera.

In Italia questa attenzione sembra non esserci, come dimostra l’indifferenza rispetto all’esito del referendum sulle risorse idriche, che, nonostante la larghissima vittoria del no alle privatizzazioni, non ha inciso minimamente sulle scelte degli amministratori pubblici, di segno opposto. Questo perché nel nostro Paese a decidere chi deve ricoprire incarichi pubblici non sono più da tempo gli elettori, ma le burocrazie dei partiti che, sempre meno rappresentativi, si sono costruiti un incredibile sistema di privilegi che rende quasi impossibile la nascita di nuovi soggetti politici e, comunque, ne limita artificiosamente l’azione. Quindi i ‘politici’ sono molto più attenti alle decisioni dei capi-corrente, che possono decidere della loro rielezione, che alla volontà dei cittadini.

Questo fenomeno, in corso da anni con la progressiva trasformazione dei sistemi elettorali da proporzionali a maggioritari, poi con l’avvento dei ‘premi’ e l’eliminazione delle preferenze , ha visto una scandalosa accelerazione con l’avvento del renzismo, che con la legge Delrio, il tentativo di abolire il Senato elettivo e l’invenzione del ‘ballottaggio’ nazionale, ha reso esplicita la strategia di cancellare il principio della rappresentanza, fondamento della democrazia parlamentare.

D’altronde lo stesso Presidente del Consiglio è il risultato di una serie di congiure di palazzo, di discutibili acclamazioni extra-istituzionali, di rapporti di forza (e di ricatti) finanziari più che politici, e esprime volontà che non hanno più alcun rapporto con le scelte compiute nel 2013 dagli elettori, che conferirono al suo partito una maggioranza (incostituzionale) in base a programmi e promesse dimenticate da tempo e tradite quotidianamente.

Anche gli strumenti di ‘democrazia diretta’, che i Costituenti avevano saggiamente previsto come correttivi a eventuali ‘strappi’ da parte del Parlamento, sono stati depotenziati, non solo ignorando platealmente l’esito dei referendum, ma anche con il mancato esame in Parlamento dei ddl di iniziativa popolare (art. 71 Cost.).

Questa progressiva involuzione del sistema democratico su cui è stata fondata la nostra Repubblica non è purtroppo attribuibile a una sola forza politica o a uno schieramento, ma ha visto coinvolti (anche se in diversa misura) o almeno acquiescenti tutti i partiti della cosiddetta ‘prima repubblica’ e i loro attuali eredi, la cui credibilità non poteva non risentirne.

A questo è necessario aggiungere la quotidiana scoperta di casi di corruzione, spesso trasversali, e di altri reati connessi alla gestione del potere, cui i gruppi dirigenti politici italiani (caso unico nei regimi democratici) sembrano rispondere con un generalizzato tentativo di garantire agli imputati il massimo di impunità, fino a confermarli in incarichi importanti anche di governo, e magari di ricandidarli.

I legami interni e trasversali ai gruppi di potere politico-economico ormai condizionano tutte le scelte, favoriscono il trasformismo e le migrazioni dei parlamentari verso chi garantisce maggiori privilegi, generano una ostilità corporativa nei confronti della Magistratura, che viene lasciata sola a difendere la legalità e l’interesse comune, e spesso messa per questo sotto accusa con tentativi di ridurne l’indipendenza.

Possiamo a questo punto stupirci se fasce crescenti di cittadini decidono di non far valere il diritto/dovere di esprimersi col voto, che vedono sistematicamente disatteso?

E’ questa la ‘pistola alla tempia della democrazia’ con cui il magistrato Domenico Gallo qualche giorno fa concludeva un suo commento alla nuova legge elettorale. Ed è questa la assoluta priorità che deve vedere uniti tutti coloro che intendono mantenere il Paese nell’area democratica e credono nel pluralismo delle idee.

Nelle ultime settimane numerose iniziative si sono mosse finalmente in tal senso, nel tentativo di far valere in qualche modo, prima che sia troppo tardi, una volontà popolare che ormai un parlamento illegittimo e non rappresentativo non è in grado e non vuole interpretare.

Non possiamo che auspicare che la gravità della situazione induca a rinunciare a protagonismi individuali e a tentativi di difendere posizioni di privilegio, creando i presupposti di un grande movimento unitario.

Ma chi è stato per troppo tempo in qualche modo coinvolto nella involuzione del sistema istituzionale e non ne ha saputo o voluto cogliere finora la pericolosità, accettando troppi compromessi, non può pensare di riacquistare immediatamente la credibilità perduta.

E’ indispensabile che nuovi soggetti, rappresentativi di quella società che, pur non votando, è impegnata spesso sul piano sociale e culturale, emergano e costituiscano una reale alternativa a una ‘casta’ che si è dimostrata incapace di rigenerarsi .

Solo così possiamo sperare di disarmare la pistola che abbiamo puntata alla tempia.

 

 

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