Le condizioni per la fiducia

di Francesco Baicchi - 23/05/2014
Fidùcia: Atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità... (Definizione dal vocabolario Treccani.it)

Nessuna forma di organizzazione democratica può prescindere dalla fiducia, perché la partecipazione di tutti i/le cittadini/e alle decisioni comporta inevitabilmente la delega ad alcuni per la loro attuazione, formalizzata nella scelta elettorale. E il rapporto che lega elettori e delegati non può che essere la 'fiducia' che i secondi sapranno rappresentare le idee e (perché no?) gli interessi dei primi.

Nelle nostre società complesse e affollate alla fiducia nelle persone si deve necessariamente aggiungere quella nei meccanismi istituzionali che consentono di sceglierle e che devono consentire la formazione e la verifica di un consenso maggioritario sulle scelte di 'governo'.

E non a caso è con il 'voto di fiducia' che il Parlamento conferisce all'Esecutivo i suoi poteri.

Ma in una vera democrazia la fiducia non può essere né irreversibile né acritica: il voto non cancella il potere/dovere degli elettori di esprimere la propria volontà e di partecipare alla formazione delle decisioni. La nostra Costituzione prevede gli strumenti con cui esercitare questi poteri: referendum e proposte di legge di iniziativa popolare, per esempio.

Soprattutto in democrazia l'elettore ha, sempre, il potere di non rinnovare la fiducia a chi non ha saputo o voluto farne buon uso, e il Parlamento quello di sostituire il capo del governo senza conseguenze traumatiche.

Le vicende di malaffare che vedono coinvolti tanti 'politici', di cui sono piene le cronache di questi giorni e a cui corriamo il rischio di assuefarci, minacciano di demolire in modo forse irreversibile proprio questo 'atteggiamento' essenziale per il funzionamento dei meccanismi democratici

I comportamenti di troppi 'rappresentanti' eletti dai cittadini dimostrano (senza voler generalizzare) una diffusa indegnità etica e morale, e non possono che minare non solo la fiducia nei singoli, ma soprattutto quella nel sistema che li ha portati ai loro posti di potere. Da queste degenerazioni nasce la tanto deprecata 'antipolitica', che il realtà è solo una richiesta di pulizia troppo a lungo disattesa e il sintomo di una sensazione di impotenza che può portare alla ricerca di pericolosi strumenti alternativi.

Un ruolo fondamentale in questa involuzione ha avuto il controllo quasi assoluto della informazione

da parte della 'casta' politica, perché la fiducia che guida le scelte elettorali non può che reggersi sulla 'valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni...', che ci vengono in gran parte forniti dai mezzi di informazione di massa. E, come sappiamo, l'Italia è agli ultimi posti della classifica per il pluralismo dell'informazione fra i Paesi evoluti.

L'insieme di questi fattori, degrado morale, perdita di fiducia nel sistema rappresentativo, informazione piegata agli interessi di parte, rischia di allontanare definitivamente i cittadini dal voto e di spingerli ai margini della democrazia, nel qualunquismo del 'sono tutti uguali' e nella convinzione che a noi, semplici cittadini, non rimanga nessuno strumento per ottenere un cambiamento della situazione.

Questa è la colpa più grave dei gruppi dirigenti dei partiti, responsabili della tolleranza corporativa verso la corruzione e i conflitti di interesse che a partire dagli anni '90 hanno subito una accelerazione dilagante con l'affermazione della sub-cultura berlusconiana. Così i partiti da strumento di partecipazione si sono trasformati in comitati elettorali, sostituendo alla fiducia nelle regole del sistema parlamentare rappresentativo quella nel leader carismatico che governa in paternalistico isolamento, fino a negare ai cittadini il diritto di scegliere i loro rappresentanti.

Accettare ancora, come previsto dalla legge elettorale Verdini-Renzi, di poter scegliere solo un simbolo di partito e/o il simulacro televisivo del suo leader ci riporterebbe alla condizione di subire passivamente decisioni che non ci coinvolgono, cioè, come scriveva lucidamente il professor Leopoldo Elia, di essere cittadini solo il giorno del voto, e sudditi per i rimanenti cinque anni.

Condizione che a mio avviso non muterebbe molto nella fantasiosa e pericolosa ipotesi di una 'democrazia telematica', in cui i cittadini verrebbero ogni tanto chiamati a esprimere la loro volontà via internet, su quesiti e con esiti che non sarebbero in grado di controllare, sostituendosi non solo al dibattito parlamentare, ma (nell'ultima assurda sparata elettorale) addirittura ai tribunali.

Per questo il prossimo 25 maggio abbiamo l'opportunità di esprimere un esplicito rifiuto delle 'riforme' istituzionali che l'attuale governo sta cercando di imporre a un Parlamento delegittimato e ricattabile, a partire dalla nuova legge elettorale che cancellerebbe dalla rappresentanza milioni di elettori e innescherebbe la deriva presidenzialista; neghiamo il nostro voto a tutti i leader, vecchi e nuovi, che, con ossessive campagne di disinformazione, ci chiedono solo una investitura fideistica, una delega in bianco, magari sull'onda della protesta generica o di promesse mirabolanti.

La nostra Costituzione è nata come reazione al fascismo incarnato in un duce, per impedire la nascita di un nuovo regime; ci ha finora consentito di respingere tentativi autoritari e ci fornisce gli strumenti per esprimere la nostra volontà.

Difendiamola e usiamola bene, scegliendo per il Parlamento europeo persone che, per la loro storia e le loro competenze, meritano veramente una fiducia frutto di una valutazione serena e responsabile e possono essere il seme di una concreta speranza di rinnovamento democratico.

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