Non un governo qualunque

di Francesco Baicchi - 03/04/2013
Le difficoltà finanziarie e sociali non possono essere minimizzate, ma per affrontarle in modo efficace è indispensabile per prima cosa recuperare un rapporto di fiducia nelle istituzioni e in chi si trova temporaneamente a rappresentarle

Il prolungamento della attuale situazione di stallo costituisce nel nostro Paese un oggettivo rischio per la democrazia.

Non è nemmeno il caso di argomentare che, anche se il Parlamento può fare a meno della iniziativa dell'esecutivo e svolgere comunque in qualche modo il suo compito di legislatore, la creazione di un Governo nella pienezza dei suoi poteri è un passaggio ineludibile dal punto di vista costituzionale.

Il vero pericolo per la democrazia è il rischio di cedere alla tentazione di aggirare o cancellare il dettato costituzionale, e, per eliminare il problema della 'fiducia' preventiva, passare alla forma presidenziale e a un sistema elettorale ancora più sbilanciato in senso maggioritario, concedendo cioè automaticamente pieni poteri a chiunque prenda un voto più degli altri.

Modificare la Costituzione sotto la pressione derivante dalla eccezionalità della situazione sarebbe un errore gravissimo e tornerebbe utile solo a chi, come Berlusconi (ma non solo), da anni cerca di eliminare i vincoli di legalità e democrazia che impediscono la trasformazione del Paese in senso autoritario.

Perché all'origine di questa situazione non ci sono certo i meccanismi costituzionali.

Il voto di febbraio ha visto gli elettori dividersi fra una maggioranza relativa che non ha votato (25%) e tre liste con un consenso intorno al 20% degli aventi diritto. In termini di voti validi le tre principali liste 'valgono' ognuna fra il 25 e il 30%. La maggioranza parlamentare è quindi ottenibile solo con l'accordo di due di esse, anche se una legge elettorale assurda, tradendo la volontà popolare, crea una maggioranza artificiale alla Camera.

In ogni altro Paese la soluzione sarebbe ovvia, ma non in Italia.

Perché una di queste liste e 'impresentabile' (come giustamente ha fatto notare l'Annunziata), in quanto programmaticamente finalizzata alla sistematica violazione dei fondamentali principi costituzionali (eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, autonomia della Magistratura, equità fiscale, diritti dei più deboli, ecc...) e interessata di fatto principalmente alla tutela degli interessi del suo leader.

Una seconda rifiuta il confronto e rappresenta un elettorato variopinto, unito solo dall'invettiva e lo sberleffo (e un po' anche dalla speranza di tutelare interessi di categoria), e pretende i pieni poteri senza condizioni perché probabilmente qualunque altra soluzione ne provocherebbe l'implosione.

La terza, che ha la maggioranza alla Camera perché la più votata, ha perso quasi completamente il rapporto con i cittadini, di cui non coglie i bisogni e gli orientamenti, e a cui non riesce a rispondere credibilmente anche a causa delle divisioni interne, che riesce a mediare solo sul piano del potere.

E' dunque lecito chiedersi se affidare i pieni poteri a una delle tre forze, oltre che costituire una mostruosità sul piano istituzionale, risolverebbe efficacemente i problemi del Paese.

L'ostacolo vero è costituito dalla natura stessa delle forze che si contrappongono, dalle loro finalità e da come si è formato il loro consenso elettorale.

Perché non credo di essere l'unico convinto che il successo berlusconiano sia essenzialmente dovuto al controllo (proprietario e non) di buona parte dei mezzi di informazione, su cui oltre i tre quarti degli italiani formano le loro opinioni, e alla illimitata disponibilità di risorse finanziarie, che si sono rivelate spesso assai 'convincenti' nei confronti di 'testimonial' importanti.

Mentre è evidente che il voto al M5S non discende dalla adesione a un programma realistico di governo, ma è per la massima parte di pura protesta verso una classe politica che si è rivelata inaffidabile e incompetente, quando non corrotta.

E per le divergenze che separano PD e SEL, e lo stesso PD al suo interno, solo temporaneamente mediate a fini elettorali, basta pensare ai temi etici e della laicità dello Stato.

In questo quadro la ricerca della mediazione e delle convergenze per il 'bene comune', necessarie per la formazione di una coalizione di governo, è praticamente impossibile, perché prevale la necessità di salvaguardare equilibri e coesione interni ai singoli schieramenti, e perché le loro reali finalità sono spesso inconfessabili.

Ma questa è proprio la ragione per cui sarebbe un grave errore pensare di risolvere il problema adeguando la Costituzione alle necessità contingenti: perché così si cristallizzerebbe il risultato di una degenerazione dei rapporti politici (enormemente accelerata nel ventennio berlusconiano), che deve invece essere rimossa, per un ritorno all'armonia istituzionale su cui i Costituenti vollero fondare la Repubblica.

Ed è anche la ragione per cui quanti si pongono l'obiettivo di un ritorno alla legalità costituzionale non possono pensare a un governo che non affronti subito e senza esitazioni il problema del conflitto di interessi di Berlusconi (indispensabile a rimuovere l'immagine falsa che è riuscito a dare di se stesso come leader politico) e delle leggi ad personam che si è votato, quello della corruzione dilagante (responsabile di buona parte dell'eccessiva spesa pubblica), la lotta alla criminalità organizzata (compresi i suoi rapporti con segmenti importanti dello Stato).

Pensare che questi temi siano meno rilevanti della crisi occupazionale ed economica significa voler curare i sintomi senza riconoscere la malattia.

Le difficoltà finanziarie e sociali non possono essere minimizzate, ma per affrontarle in modo efficace è indispensabile per prima cosa recuperare un rapporto di fiducia nelle istituzioni e in chi si trova temporaneamente a rappresentarle.

La sostituzione degli attuali gruppi dirigenti con persone competenti e dalla dimostrata moralità pubblica, la cancellazione dei privilegi della 'casta', la certezza del diritto (cioè la garanzia di efficienza ed efficacia della Magistratura), la riaffermazione dei principi di solidarietà e di equità su cui si fonda lo spirito della Costituzione non sono una utopia: sono le condizioni indispensabili per affrontare le sfide del nostro tempo che, per le loro caratteristiche, rendono indispensabile un recupero di credibilità anche sul piano internazionale.

Per questo non possiamo che guardare con preoccupazione all'ipotesi di un governo, qualunque ne sia la durata programmata, che comprenda le forze che proprio dello stravolgimento del dettato costituzionale hanno fatto il loro principale obiettivo; e dobbiamo chiederci come sia possibile affidare a loro rappresentanti (penso a Quagliariello e Violante, per fugare ogni dubbio) il compito di definire un programma di 'riforme' istituzionali.

3 dicembre 2018

DANNI DISCONOSCIUTI DELLA LEGGE FORNERO

Maurizio Sbrana - Liberacittadinanza
26 ottobre 2018
16 ottobre 2018

Un pericoloso atto di autolesionismo

Giuristi Democratici, Articolo 21, vedi altri in fondo all'articolo
22 settembre 2018