Si fa ma non si dice

di Francesco Baicchi - 21/02/2014

Mentre il 'presidente incaricato' continua la sua marcia trionfale verso l'incoronazione e risolve a passo di carica (?) il problema di formare un governo con chi dichiara di non condividere le sue proposte, facendo finta di tenere all'opposizione invece il suo maggior alleato, alla Camera prosegue l'iter di approvazione della peggior legge elettorale della nostra storia unitaria, le cui conseguenze vengono accuratamente ignorate.

Infatti, al di là della conferma dei fattori di incostituzionalità dovuti alla impossibilità di esprimere preferenze, alla assegnazione dei seggi su base nazionale che annulla il rapporto elettore-eletto, alla dimensione insopportabile delle 'soglie', che rischia di tenere fuori dal Parlamento tre milioni di elettori, ancora più gravi sarebbero le conseguenze indirette della applicazione della legge Berlusconi-Renzi.

Nella stessa logica della legge Acerbo del 1923, voluta da Mussolini, e peggiorando molto la previsione della 'legge truffa' del 1953, l'insieme delle procedure in via di approvazione ha per obiettivo l'attribuzione di fatto a un solo partito della maggioranza assoluta del Parlamento, indipendentemente dalla sua rappresentatività e dalla volontà espressa dagli elettori. Il meccanismo del 'ballottaggio', ragionevole a livello di collegio uninominale, applicato a livello nazionale a due simboli di partito rischia di avere effetti devastanti sulla stessa credibilità delle istituzioni.

Con queste procedure e il nome del capo-partito (o coalizione) sulla scheda, che fine farebbero le prerogative assegnate dall'articolo 92 Cost. al Presidente della Repubblica per la ricerca del massimo consenso? Quale autonomia avrebbe nell'assegnare l'incarico di formare il nuovo governo? Si confermerebbe solo la violazione costituzionale già tollerata nel ventennio berlusconiano.

E una volta formato un governo monocolore, garantito da una maggioranza blindata di 'nominati' grazie alla mancanza delle preferenze, quale ruolo rimarrebbe al Parlamento, se non di mera ratifica delle decisioni del capo dell'esecutivo?

Inoltre la maggioranza avrebbe il potere di influenzare in modo determinante la composizione di organi di garanzia come la Corte Costituzionale e il CSM, e di approvare da sola riforme costituzionali che potrebbero essere bloccate solo col ricorso al referendum con le procedure previste dall'articolo 138, che non sono certo facili da attuare.

Le norme volute da questa maggioranza autosufficiente, inoltre, potrebbero essere cancellate solo con il ricorso ad altri referendum, ma i quesiti dovrebbero essere accettati, appunto, dalla Corte Costituzionale. E' appena il caso di ricordare che fra queste è già prevista anche una 'riforma' del sistema giudiziario, che rischia di sancire definitivamente la perdita della indipendenza della Magistratura, che negli ultimi venti anni ha costituito una delle poche garanzie democratiche funzionanti e per questo subisce continui attacchi anche dai vertici dello Stato.

La vicenda della mancata elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica ci insegna, fra l'altro, che queste gravi deformazioni della rappresentanza non garantiscono affatto la stabilità dell'esecutivo, che può cadere per faide interne allo stesso partito maggioritario; viene così a mancare una delle principali motivazioni addotte per giustificare un sistema assurdo che esclude la nascita di un Parlamento rappresentativo della volontà popolare, tradendo addirittura il fondamento del sistema democratico.

Insomma con le procedure ordinarie previste per la legge elettorale si rischia di far passare un vero e proprio stravolgimento della Costituzione, mascherato dai proclami sulla necessaria 'stabilità', sul potere di ricatto dei 'partitini', sui 'costi della politica' (che però non si fa niente per ridurre), sulla necessità di sapere subito 'chi governerà per i prossimi cinque anni'. In realtà il nuovo sistema non consentirebbe di conoscere il nome degli eletti che dopo i conteggi nazionali, e potrebbero essere esclusi, per assurdo, candidati che avessero ottenuto una stragrande maggioranza nel loro collegio, ma appartenenti a liste che non superano la soglia a livello nazionale.

L'unico vero obiettivo appare dunque la cancellazione per legge del pluralismo e l'imposizione di un bipartitismo artificioso.

Non a caso Berlusconi è entusiasta del testo su cui è stato trovato l'accordo, e non intende accettare che venga modificato. Ha anzi approfittato delle tribune che gli vengono ancora ampiamente concesse nonostante la condanna, per ribadire punto per punto che considera questo solo il primo passo per riprendere la realizzazione del progetto 'Rinascita' della P2, che gli Italiani hanno bloccato a larga maggioranza con il referendum del 2006.

Rimane da sperare in un soprassalto di dignità di almeno una parte dei parlamentari, che si rifiutino di sottoscrivere quello che nella storia rimarrebbe come uno dei momenti più oscuri della nostra Repubblica.

Ma nel frattempo, nei pochi giorni che ci rimangono, sarebbe opportuno che noi cittadini trovassimo il modo di far sentire alto e forte il nostro NO a questo ennesimo inganno e pretendessimo che la nostra volontà venga ascoltata e rispettata, anche dai massimi livelli del potere.

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