Sui tre quesiti contro il Jobs Act

di Francesco Baicchi - 15/01/2017

Il quesito sull’articolo 18 presentava dei rischi di inammissibilità, ne eravamo tutti coscienti; speravamo che la Consulta lo ammettesse in coerenza con decisioni passate, ma non è andata così. La bocciatura era una delle possibilità.

Per quanto riguarda il quesito sui voucher solo una sua radicale riforma, che cancellasse l’attuale possibilità di abusi, potrebbe farlo decadere; ma anche questa possibilità esiste perché siamo in presenza di un governo e di una maggioranza pienamente coscienti della propria illegittimità e privi di scrupoli, disposti a tutto pur di impedire una libera espressione della volontà popolare, anche a contraddirsi quotidianamente.

Rimane il quesito sulla responsabilità nei subappalti. Ammesso che anche su questo argomento non intervengano modifiche alla norma, l’argomento, pur riguardando un tema fondamentale come la sicurezza, è comunque il più tecnico, difficile e meno coinvolgente; quello meno adatto a ottenere il quorum dei votanti previsto dall’art. 75 della Costituzione.

Non per questo l’iniziativa della CGIL deve essere già considerata un fallimento.

Intanto  aver costretto la scalcagnata maggioranza che sorregge Gentiloni a rivedere sostanzialmente l’assurdo sistema dei voucher (utilizzabili positivamente in altri Paesi, ma non certo nel nostro, in cui gli abusi sono la regola) e a prendere atto che sono serviti solo ad aumentare la precarietà, costituirebbe in sé un oggettivo successo.

In realtà i tre referendum abrogativi, unico strumento di democrazia diretta utilizzabile in una situazione di clamorosa illegittimità istituzionale (parlamento delegittimato dalla sentenza 1/2014, governo fotocopia di quello costretto a dimettersi da una clamorosa sconfitta referendaria, Presidente della Repubblica silente, ecc….) costituiscono un coerente attacco alla politica economica iper-liberista degli ultimi anni, che vede nella compressione dei diritti e dei salari e nella precarietà generalizzata l’unico strumento di competitività per le nostre aziende, riconoscendo così implicitamente l’incapacità del mondo imprenditoriale italiano di agire sul piano della innovazione e della managerialità.   

Il (prevedibile) ricorso a un cavillo giuridico non deve bloccare l’ennesima dimostrazione che i cittadini non si riconoscono in questa classe dirigente e che pretendono che la dignità dei lavoratori non venga trattata come una merce qualsiasi.

L’articolo 18, in pratica utilizzato in rarissimi casi nel corso degli anni, è giustamente considerato un simbolo, limitando il potere di ricatto del datore di lavoro e imponendogli motivazioni oggettive per il licenziamento; la sua cancellazione è in palese contraddizione con lo spirito della nostra Costituzione, che mette la dignità e i diritti del lavoratore e della lavoratrice a fondamento dei principi di giustizia e solidarietà su cui è fondata la nostra Repubblica. Proprio l’impegno profuso per eliminarlo ne esalta l’importanza come conquista di civiltà.

I quesiti sono indissolubilmente legati, e dovranno rimanerlo nella campagna referendaria affinché sia vincente; anche se essa avesse per oggetto uno solo dei tre, deve essere chiaro che il vero obiettivo è difendere un principio fondamentale di giustizia sociale dal tentativo di subordinarlo alla logica del profitto fine a se stesso. Se ce ne fosse bisogno ce lo ricorda l’articolo 41 della Costituzione: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana …”.

3 dicembre 2018

DANNI DISCONOSCIUTI DELLA LEGGE FORNERO

Maurizio Sbrana - Liberacittadinanza
26 ottobre 2018
16 ottobre 2018

Un pericoloso atto di autolesionismo

Giuristi Democratici, Articolo 21, vedi altri in fondo all'articolo
22 settembre 2018