Quel fascino sottile del ritorno alle elezioni

di Massimo Villone - Il Manifesto - 09/04/2018

Il primo ciclo di consultazioni si è chiuso senza sorprese. Le posizioni degli attori principali erano note, e non sono emerse novità. Mattarella ha preso atto, e ha consigliato paternamente di riflettere. Ma le distanze non sembrano diminuire.

Tanto che al prossimo giro il centrodestra andrà – a quanto si legge – in unica delegazione. L’ultimo paradosso è che lo spread scende, e la borsa sale. Dev’essere l’effetto ansiolitico della calma quirinalizia.

Eppure, il confuso sgomitare tra le forze politiche suggerisce che un ritorno immediato alle urne è oggi più probabile di quel che molti pensano, se i veti incrociati dovessero rimanere. Ed è chiaro che la partita è in mano alle forze politiche più che al capo dello Stato, anche se analisti e commentatori avanzano infinite e fantasiose ipotesi. Questo non per il non-protagonismo di Mattarella, ma per ragioni oggettive.

La prima domanda è: potrebbe Mattarella, tardando il parto di un nuovo governo, congelare Gentiloni a Palazzo Chigi?

La risposta è negativa.

Gentiloni – purtroppo per lui – è a capo di un governo clone, in piena continuità-identità con l’esecutivo Renzi che lo ha preceduto. Oggi, è il governo di chi ha perso, e ha visto la propria proposta politica respinta a grande maggioranza dal paese. Potrebbe rimanere in carica per il tempo strettamente necessario a tornare immediatamente alle urne per la constatata impossibilità di formare un esecutivo, ma nulla più. Non c’è alcun modo costituzionalmente corretto di farlo diversamente sopravvivere senza un passaggio di fiducia parlamentare, che le forze maggioritarie nelle due camere non accorderebbero.

La seconda domanda è: potrebbe Mattarella puntare a un governo tecnico alla Monti (o, per alcuni, il governo del «terzo»)?

Realisticamente, è un percorso che si apre solo se le forze politiche parlamentari temono le urne. Ma oggi almeno due degli attori principali sono potenzialmente interessati a votare subito, prima di usurarsi in un governo altrui.

La Lega e Salvini, per regolare i conti con Fi e Berlusconi all’interno del centrodestra, e M5S per regolare i conti col Pd. E si azzerano reciprocamente i richiami di tutti al senso di responsabilità.

I veri controinteressati a un nuovo voto immediato sono Fi e il Pd, cui si aggiunge l’arcipelago della sinistra. Berlusconi e i leaders della sinistra tengono comportamenti politicamente razionali nel contesto dato. Non così il Pd, che può trarre solo danno dalla posizione aventiniana.

La cosa si spiega con il sovrapporsi della strategia personale di Renzi sull’interesse del partito. Un soggetto politico degno di questo nome avrebbe già provveduto a cambiare leadership e rotta.

Non così il Pd, per le ragioni spiegate su queste pagine da Floridia. Il 4 marzo ha segnalato il termine di corsa per un progetto che è apparso tarato fin dalla sua genesi a chi – come me – non lo ha mai condiviso. Gli ammiccamenti verso un esperimento alla Macron che vengono dalla cerchia renziana hanno il senso di una diffida ai malpancisti Pd.

Quale migliore occasione di un lavacro nelle urne per una nuova genesi? Soprattutto considerando la provata efficacia del Rosatellum in chiave di pulizia etnica?

A fronte di questo, un governicchio comunque chiamerebbe le forze politiche maggioritarie in parlamento a fare i primi conti con il mantenimento delle promesse di campagna elettorale. Questo effetto verrebbe inevitabilmente anche dal contratto alla tedesca vagheggiato da Di Maio, non privo di rischi elettorali in un sistema politico ben più volatile come quello italiano.

Per contro, non è alla fine indispensabile un governo di scopo per una nuova legge elettorale.

È ben vero che il nuovo mantra è quello della maggioranza «certa», con buona pace della rappresentatività delle assemblee.

Ma già il Rosatellum basta a rafforzare i vincenti del 4 marzo (M5S e Lega), a danno degli altri. Quindi, il quadro di insieme degli interessi delle forze politiche prevalenti indica che si potrebbe tornare alle urne subito, magari anche prima dell’estate, e qualunque sia l’opinione di Mattarella.

Ovviamente, rebus sic stantibus.

Certo, i mattarelliani del Pd potrebbero sorprenderci con un ruggito da leoni. O Di Maio folgorato sulla via di palazzo Chigi potrebbe avere un ravvedimento operoso. Berlusconi potrebbe ritirarsi a vita privata e risolvere i problemi di Salvini.

Ma potrebbe Renzi trasformarsi in uno statista pensoso dalla salus rei publicae?


 
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