Contro la scelta di far pagare il debito ai cittadini

di Commissione Audit sul debito pubblico di Parma - 09/11/2012
La crisi economica sta investendo pesantemente anche la citta di Parma

L’Osservatorio provinciale sull’occupazione ha presentato un quadro occupazionale preoccupante per la caduta di molti settori produttivi (agro-alimentare, edile, metalmecca­nico, commercio, artigianato) e la perdita di centinaia di posti di lavoro. Aumenta il numero dei lavoratori precari e dei giovani senza un posto di lavoro. Ogni giorno ha luogo almeno uno sfratto esecutivo per incapacità delle famiglie di pagare l’affitto e si allunga la lista di coloro che si trovano nella condizione di non riuscire più a pagare il mutuo della propria casa. Si aggravano le condizioni di vita dei migranti, espulsi per primi dalla produzione, senza prospettive di lavoro, ridotti spesso alla condizione di mendicare. Gli anziani, specie con pensioni minime, non possono sostenere l’incalzante aumento del costo della vita e provvedere a se stessi in modo autonomo.

In questo contesto non si può riversare sui cittadini, già in sofferenza, il debito pubblico del Comune di Parma e delle sue società partecipate, che è di ben 867 milioni: salari e pensioni, già pesantemente taglieggiati dalle manovre finanziarie del governo Monti, non possono essere gravati da ulteriori prelievi, decurtazioni, sforbiciate alle spesa sociale, soprattutto in considerazione del fatto che tale debito è il prodotto delle dissennate scelte delle amministrazioni precedenti, non deriva da investimenti destinati a migliorare le condizioni di vita dei cittadini, né dalla spesa sociale, ma è in gran parte frutto di malapolitica, sprechi, sottrazione di danaro pubblico per favorire interessi privati.

È insomma in larga misura illegittimo. Non a caso, come noto, è in corso un’inchiesta penale da parte della Magistratura, alcuni amministratori ed imprenditori sono stati raggiunti da avvisi di reato ed altri sono stati soggetti a detenzione cautelare

Nella Relazione Capelli invece è esplicitamente detto che i cittadini dovranno farsi carico del debito” e ne vengono indicati i modi:

- più imposte, in particolare la triplicazione delle aliquota IMU e Irpef

- minori costi dei servizi, con aumenti delle rette ecc.

- contrazione della spesa, con minori servizi per i cittadini

Nella seduta del Consiglio comunale del 30 ottobre scorso è stata infatti deliberata la triplicazione dell’aliquota dell’IMU, in coerenza con la Relazione dell’Assessore al bilancio del 9 ottobre 2012: questa elevata tassa colpirà tutti, indipendentemente dalla condizione economica e sociale, senza alcuna tutela di coloro che, pur con modesti redditi e grandi sacrifici, hanno contratto un mutuo per comprare l’appartamento in cui vivono.

Anche riconoscendo alla nuova amministrazione la migliore volontà di farsi carico della disastrosa situazione economico-finanziaria, come può la nuova Giunta non fare una scelta prioritaria, coerente con la volontà di realizzare un nuovo corso politico, nel segno della difesa e tutela dei ceti sociali meno abbienti, di coloro che vivono di pensioni e redditi da lavoro dipendente modeste? Come può la nuova Amministrazione Comunale non individuare come priorità assoluta la destinazione di risorse là dove la crisi incide maggiormente (casa, scuola, sanità, supporto al reddito delle fasce deboli), proprio nel momento in cui la città si presenta indebolita, la disoccupazione aumenta, il costo della vita diventa intollerabile?

Come non operare con opportuni interventi nel sociale allo scopo di ridurre le disugua­glianze anziché lasciare che si amplino? Come non garantire l’accesso ai diritti – alla casa, al lavoro, allo studio, all’assistenza – anziché ad interventi caritatevoli?

Certamente la nuova Amministrazione Comunale ha ereditato una situazione economica gravissima e i trasferimenti dallo stato sono stati ulteriormente ridotti. Ma la risposta non può essere quella di “portare il peso” (ass. Capelli) delle scelte politiche ed economiche del passato, come fossero una sorta di retaggio ineludibile che deve incombere sul futuro di tutti.

Dalla nuova Amministrazione Comunale ci si aspetta che rompa col passato

Come ha sottolineato la Corte dei Conti (Dichiarazione n. 17 del 2011) la politica ammi­nistrativa condotta dal Comune negli anni passati ha sistematicamente e persistente­mente compiuto “gravissime irregolarità” e messo le casse comunali in “una evidente precarietà finanziaria”. Tali rilievi impongono alla nuova classe politica, eletta al governo della città nel segno del rinnovamento, di condurre un accertamento scrupoloso delle politiche finanziarie e patrimoniali condotte per ben tredici anni, per individuare e isolare le tracce dei movimenti di fondi maneggiati dalle varie società.

Il nuovo governo della città non può prescindere dall’apertura della più ampia inchiesta interna, allo scopo di fare chiarezza sull’operato degli apparati comunali e delle società partecipate, volta a colpire ogni forma di responsabilità. Sulla scorta di tale indagine deve essere fornito ai cittadini un quadro capace di rendere conto, all’insegna della trasparenza professata, di quanto accaduto nel passato.

Crediamo che a nessun cittadino possa essere chiesto di pagare delle tasse, peraltro triplicate, se non è prioritariamente messo nella condizione di conoscere la verità in ordine alla destinazione e all’uso fatto del danaro pubblico (quindi anche suo) dai precedenti governi della città e quali scelte di discontinuità la nuova Amministrazione Comunale intende perse­guire.

Soprattutto i cittadini devono sapere: con chi l’Amministrazione Comunale ha contratto i suoi debiti, in modo particolare quanti con le imprese e quanti con le banche, per quali contratti, con quali garanzie?

Solo sulla base di tale puntuale ricostruzione, sarà possibile stabilire i termini, l’importo ed i tempi di pagamento del debito, vale a dire che se emergesse dall’inda­gine condotta che una quota di debito è stata contratta in modo illegittimo, l’Am­mi­nistrazione Comunale potrebbe trattare su posizioni di largo vantaggio nei confronti dei creditori, imponendo i tempi e le modalità di pagamento del debito più favorevoli alla collettività.

La Relazione Capelli sorprendentemente invece

- non esprime alcuna valutazione sulle responsabilità delle prece­denti amministrazioni, tanto da consentire alla classe politica che ha portato la città sull’orlo del precipizio, pur uscita sconfitta dalla storia di questa città, senza credito né prospettive, di rialzare la testa, ringraziando addirittura l’assessore per la riabilitazione ricevuta

- delega alla sola Magistratura l’onere della inchiesta sul malgoverno cittadino: infatti non accenna ad istituire una commissione d’indagine sul passato, rinunciando in tal modo a farsi parte attiva nel fornire tutti gli elementi di prova e la documentazione che possa favorire il completamento delle indagini della Magistratura

- non accenna alla necessaria ricostruzione della macchina comunale, dopo abusi e illeciti, per restituirle funzionalità, autorevolezza e responsabilità, nel segno della trasparenza e della imparzialità

- non accenna alla opportunità di condurre azioni di responsabilità o cautelari, volte a tute­lare l’Amministrazione Comunale da pericolose esposizioni verso i creditori e a consen­tirle di recuperare risorse proprio da coloro che portano le pesanti responsabilità del debito

- soprattutto si accolla il peso del debito e decide di farlo ingiustamente pagare alla colletti­vità, incolpevole, ignara e per di più ingannata

- avalla il piano di rientro dal debito indicato dal Commissario governativo Ciclosi, che prevede di recuperare 137 milioni di euro ogni anno per tre anni attraverso l’IMU, che garantirà un gettito di 99 milioni annuali, e l’addizionale Irpef che garantirà entrate per 25 milioni

Appare evidente che ben 124 milioni (pari al 90,50%) sui 137 previsti annualmente derivano da tasse a carico dei cittadini, che pagheranno peraltro un incremento di ben 72 milioni di euro rispetto alla vecchia ICI.

Probabilmente il contenimento delle spese e degli investimenti permetterà di salvaguar­dare gli interessi dei creditori (che sono principalmente le grandi banche), ma è accettabile che il prezzo del salvataggio di questi interessi finanziari si traduca in un taglio generaliz­zato della spesa nel sociale e un aumento del prelievo fiscale?

Vale appena la pena di sottolineare che l’attuale Giunta nel corso della campagna elettorale si era dichiarata contro il debito pubblico e i suoi responsabili, e soprattutto contraria al fatto che fosse riversato sulla cittadinanza il suo ripianamento.

 

Contro la scelta di perseguire una linea di subordinazione nei confronti delle banche

Il quadro dell’indebitamento fornito, ben lungi dal presentare una presunta sostenibilità, individua nella “disponibilità” delle banche verso l’Amministrazione la via d’uscita.

Tale sforzo sarebbe vano se non fosse accompagnato dalla massima disponibilità del ceto bancario, ha detto l’Assessore, che ha rincarato la dose: “o le banche ci aiutano o si aprono scenari con esiti non prevedibili”.

Di quali banche sta parlando l’assessore Capelli? Di quelle che a proposito di Spip 2 e Spip 3 hanno elargito crediti su base ipotecaria per l’acquisto di terreni enormemente sopravvalutati rispetto ai prezzi di mercato? Delle banche che hanno disatteso il compito di vigilare attentamente sul rispetto delle condizioni per la concessione dei mutui ipotecari? Delle banche che hanno avallato come garanzie delle lettere di patronage non deliberate dal Consiglio Comunale e addirittura firmate da funzionari che non avevano il potere di firma?

Quale sarebbe insomma il prezzo per godere della “massima collaborazione del ceto bancario”? Perché quelle stesse banche invece non dovrebbero farsi carico del danno che potrebbe derivare da una sopravvalutazione dei terreni oggetto di apposite stime, le quali peraltro paiono non corrispondere al valore di mercato dei terreni stessi?

 

La situazione economico finanziaria del sistema Comune-Società partecipate è e resta gravissima

L’ammontare del Debito Complessivo Consolidato è di € 874.533.266 (come si legge nella tabella finale unita alla Relazione Capelli). L’indebitamento delle Società partecipate risulta essere di € 607.839.879, a cui occorre aggiungere quello del Comune. Pur considerando il Patrimonio Netto Consolidato di € 112.821.912, il debito raggiunge circa il 90% dell’attivo.

Queste cifre confermano al centesimo il quadro dell’indebitamento fornito dalla Rela­zione del Commissario Ciclosi, il quale concludeva però che i dati forniti “richiedono alla gestione commissariale interventi radicali e immediati per mettere in sicurezza il bilancio del Comune da un potenziale dissesto”.

Lo stesso assessore Capelli solo in data 17 settembre 2012 (www.repubblica.it) descriveva la situazione economica del Comune con un “siamo sull’orlo di un precipizio. Una ventina di giorni dopo, nella sua Relazione in Consiglio comunale ha invece sorpren­dente­mente dichiarato che il debito del Comune di Parma è sostenibile, in quanto coperto dal patrimonio pubblico. “Un debito di per sé non è un problema, se esso è sostenibile, ha affermato, volendo spegnere i riflettori sulla gravissima situazione economica in cui versa il Comune per alleggerire il pressing sulle banche e per distogliere l’attenzione dei cittadini, che saranno chiamati a pagare il piano di rientro del debito.

Per essere sostenibile, un indebitamento deve essere commisurato alla capacità di reddito (per imprese e famiglie) o di Entrate (per Enti), cioè non basta commisurarlo al patrimonio.

Restando all’esempio, citato dall’assessore Capelli, della famiglia che si indebita per comprare un appartamento, la sostenibilità del debito, gravato dagli interessi, non è data dal patrimonio (rivendendo l’appartamento che ha comprato), ma dalle entrate della famiglia. Rivendere patrimonio (peraltro solo quello che è vendibile) è naturalmente possibile, ma quale ne è il senso se per acquisirlo abbiamo contratto debiti e contratto interessi su quel debito e acquistato prodotti finanziari (i derivati), di cui non si parla, dal (finora) dannoso esito? A quali condizioni di mercato si può rivendere un bene in modo vantaggioso? Affin­ché non si svenda e quindi non si configuri un danno patrimoniale per l’Amministrazione pubblica? (si veda il caso di Stu Pasubio). O ancora, affinché non si alienino strutture fondamentali come l’ex-Romanini, senza alcun piano o progetto, ma col solo intento di fare cassa?

I dati forniti sono in realtà inquietanti

Il quadro fornito della situazione economico finanziaria è ben lontano dal dipingere un’immagine della città pacificata e normalizzata. Risulta infatti che:

a) Il Comune deve ancora riscuotere i proventi iscritti a bilancio come residui attivi per un valore di 150 milioni. Di essi ben 41 milioni devono venire dalle vendite di immobili a Società partecipate, che come sappiamo, versano in grave stato di salute (dunque con l’incognita in merito alla loro capacità di corrispondere quanto dovuto).

b) Alcune società partecipate (Spip, Stu Pasubio, ecc.) hanno un debito di 296 milioni, circa il 48% della quota del debito. Per Spip, con un debito di 109 milioni, si fa affidamento al buon esito della procedura di concordato preventivo, ancora molto lontano e tutta da valutare. Per STU Pasubio, la vendita della quota pubblica della società, atto necessario, è stata tuttavia condotta senza aver accuratamente ricostruito e quantificato il danno patrimoniale derivato al Comune

c) Parma Infrastrutture ha un debito di oltre 66 milioni, pari al 10% del totale. Per far fronte a questo debito è stato affermata la necessità di contrarre “un nuovo debito bancario” per “evitare effetti devastanti”. Sono già in corso trattative. A quali condizioni?

d) Le rimanenti società, il cui debito è pari al 24% del debito totale, non sono ancora state esaminate!

Insomma:

- di 41 milioni di debito ancora non si può dire nulla

- per 65 milioni è necessario ottenere un prestito dalle banche

- i 150 milioni dovuti dalle partecipate non è detto che rientrino in cassa

- di 296 milioni sono in corso o andranno in corso ipotesi di concordato preventivo, il cui esi­to è dichiaratamente subordinato all’assenso dei creditori, cioè delle banche

A chi giova dunque il non accertamento delle responsabilità del debito? Ai cittadini che saranno chiamati a pagare tasse triplicate sulla casa e consistenti riduzioni dei servizi o a coloro che hanno la responsabilità del debito e da esso hanno tratto lauti benefici?

 

Le nostre proposte

Alla luce di questa legittima domanda, avanziamo con spirito di collaborazione alla nuova Amministrazione Comunale le seguenti richieste, su cui aprire un dibattito e coinvol­gere la città:

1. tutelare le fasce con basso reddito che hanno acquistato l’appartamento in cui vivono con mutuo, esentandole dal pagamento dell’aliquota triplicata dell’IMU

2. destinare alla spesa sociale il 20% del sovragettito delle entrate tributarie, affinché dei sacri­fici dei cittadini beneficino altri cittadini in maggiore difficoltà e non le sole banche

3. istituire una commissione di indagine comunale, volta ad acclarare le responsabilità ed irre­golarità compiute che hanno reso possibile la costituzione di un tale debito

4. rinegoziare con le banche il debito, ricontrattando i tempi di restituzione (non c’è nessuna ragione per cui i tempi di restituzione debbano essere di tre anni, come stabilito dal Piano triennale 2012-14!), i tassi di interesse applicati dalle banche, l’entità del debito, sulla base di una capacità di contrattazione dell’Amministrazione Comunale che le deriva dalla conoscenza delle irregolarità compiute, dalla volontà di utilizzare una parte delle risorse a difesa dei ceti meno abbienti, e dalla certezza di disporre comunque di entrate costanti, derivanti dal prelievo fiscale e dai trasferimenti statali

5. definire le linee fondamentali di una politica del debito, in base alla quale reimpostare il bi­lancio comunale, al fine di indicare dei tempi di rientro che allentino la morsa ai danni dei cittadini

 

La Commissione Audit sul debito pubblico di Parma, 7 novembre 2012

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