Elezioni 2018, la ridicola campagna elettorale degli anti-Spelacchio

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 12/01/2018

Gli effetti mirabolanti del Rosatellum si stanno dispiegando ogni giorno di più e se solo l’altroieri assistevamo alle scaramucce singolarmente patetiche tra Pd e Radicali dopo l’Epifania sono stati i Re Magi di Arcore, secondo la definizione di Mentana, che sotto il sontuoso anti-Spelacchio del padrone di casa o meglio del padrone tout court si sono platealmente ricongiunti nella consapevolezza di “essere chiamati ancora una volta alla grande responsabilità di governare l’Italia“.

B. che ha messo il suo nome nel simbolo a caratteri cubitali e per non dare adito a dubbi ha aggiunto “presidente” non si stanca di ripetere che “la nostra battaglia è tutta contro i 5 Stelle che sono il più grave pericolo per il futuro dell’ Italia dal dopoguerra” e dunque avrebbero brillantemente superato anche i comunisti che mangiavano i bambini. Poco gli importa che i suoi alleati convocati al vertice di Arcore a cui ha imposto anche la “quarta gamba” dei poltronisti, aborriti a parole da Salvini, siano allarmati dall’assenza di qualsiasi cenno vagamente battagliero nei confronti di Renzi: non si cura nemmeno di far finta di fugare “la soluzione larghe intese” che a dare credito ai dati sulle intenzioni di voto di tutti sondaggisti potrebbe essere più che l’opzione A, un esito quasi scontato.

Infatti, il supercelebrato federatore di Arcore guarda con qualche apprensione ai  sondaggi che con ostinazione continuano a confermare che il M5S è il primo partito nelle intenzioni di voto al 28,2%; che il Centrodestra nonostante tutte le ammucchiate della vigilia rimane lontano dalla mitica soglia del 40% e si ferma al 36,1 con FI al 14,8%; e che il Pdr dell’amico Matteo tra Natale ed Epifania, nonostante o forse anche a causa delle trovate acchiappavoti settimanali è sceso al 24,1%. E per sedare un po’ gli animi surriscaldati nella coalizione delle meraviglie dove si assiste ad un continuo travaso di voti da un partito all’altro, senza nessun incremento complessivo e senza scalfire quel 15,8% di indecisi dove sono approdati diversi elettori dei 6 milioni fuggiti da FI, il “nuovo” B. ha annunciato pure che il centrodestra avrà il 45% e che c’è “un supercandidato segreto”. Non per niente da ottuagenario, e da “riabilitato” fai-da-te ha ottenuto la preferenza di Scalfari rispetto al terrificante Di Maio e 17 anni dopo è ha conseguito persino l’attestato di fit a governare l’Italia dall’eufemisticamente imprevedibile Bill Emmot.

Ma a completare il quadro pittoresco del centrodestra e cioè del fronte dove lo spirito di coalizione sta producendo i frutti “più copiosi” rispetto ai miseri risultati del Pd c’è il passo indietro, di lato o semplicemente prudente di Roberto Maroni. L’attuale governatore della Lombardia non si ricandida “per motivi squisitamente personali” e “non chiede niente”, l’ha ripetuto 5 o 6 volte, se non probabilmente quel seggio da senatore che può scongiurare almeno fino a sentenza definitiva gli effetti di una condanna per indebita induzione, cioè per concussione prima della riformulazione della Severino, nel processo in corso a Milano e in via di definizione.

Ma se la decisione di Maroni ha registrato una divergenza con “il leader carismatico ed incontrastato” della coalizione come ama definirsi B., soprattutto riguardo il nome del candidato alla successione, le parole che ha usato per definire i nemici assoluti del centrodestra e del paese sono identiche: preoccupazione assoluta per un governo Di Maio, “una Raggi al cubo” che ridurrebbe “l’Italia come Spelacchio”. E sembrerebbero di per sé sufficienti a garantirgli un futuro al riparo da incresciosi inconvenienti piuttosto che l’uscita dalla scena politica ripetutamente evocata.    

Già da ora mi sembra che possiamo avere un’idea abbastanza chiara delle forze, degli uomini e delle alleanze più o meno trasparenti che si stanno mobilitando per evitare che “l’Italia possa cadere nelle mani dei grillini”. Ma il prosieguo di una campagna elettorale già alla partenza oltre le peggiori aspettative promette ancora molto. Pure sotto il profilo mediatico e puntualmente in casa Rai dove, secondo previsione, sono stati bocciati in Vigilanza gli emendamenti del M5S e dunque, tra molto altro, saremo allietati anche dai teatrini politici dei conduttori-artisti Vespa e Fazio che già tanta prova hanno dato della loro vis di intervistatori che non si accontentano mai della prima risposta.

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