I panni sporchi della sinistra

di Daniela Gaudenzi - Il Ponte rivista di politica economica e cultura fondata da Piero Calamandrei - 27/04/2014
Recensione sul libro "I panni sporchi della sinistra" di Stefano Santachiara e Ferruccio Pinotti, edito da Chiare lettere.

Il libro è uscito già da qualche mese, ma le recenti performances del PD culminate nella inusuale “staffetta” tra Letta e Renzi, a seguito di uno spettacolare quanto disinvolto colpo di mano del partito che è stato il maggiore azionista delle “larghe intese” nonché ridotte intese, hanno contribuito a prolungare l’estrema attualità dell’inchiesta e a confermare la bontà delle ragioni che l’hanno determinata.

In estrema sintesi si tratta di un’indagine documentata a tutto campo sulla trasformazione del PD, tra personalismi esasperati sfociati da ultimo nel capolavoro del blitz renziano, scandali sedimentati, opacità diffuse, connivenze con affarismi trasversali che rendono sempre meno riconoscibile il partito che fu di Enrico Berlinguer e Pio La Torre.

Ci sono i protagonisti: da D’Alema a Renzi, passando per Veltroni, il precursore del superamento dell’antiberlusconismo attraverso la rimozione in campagna elettorale del nome dell’avversario politico derubricato a “il principale esponente dello schieramento a noi avverso” ed in primis c’è

Giorgio Napolitano, regista onnipotente dei governi di larghe e piccole intese che ha preteso al momento della formazione del governo Renzi

di cancellare dalla casella Giustizia il nome di Nicola Gratteri, mentre non ha avuto assolutamente niente da obiettare sulla nomina di vice-ministri e sottosegretari in quota PD già indagati per reati che spaziano dall’abuso di ufficio al peculato.

C’è il dietro-le- quinte dei raccomandati e degli impresentabili, tutti quei nomi che nonostante le primarie, nonostante la pressione di una base sempre più attenta alla trasparenza e al merito, come hanno dimostrato di recente i giovani di Occupy PD, resistono tetragoni e intangibili, all’apparenza senza una logica spiegazione.

C’è la lunga teoria di interessi incompatibili con la buona politica, al di là dei risvolti giudiziari: dall’indimenticabile “abbiamo una banca” nell’estate drammatica della scalata Unipol quando uomini chiave del partito, in primis Massimo D’Alema non si sono limitati a tifare a bordo campo, fino agli sviluppi recenti ed inquietanti del tracollo del MPS dove si è manifestata una commistione tra partiti e banche non riconducibile alla fisiologia dei rapporti tra finanza e politica in una grande democrazia.

E nei capitoli dedicati agli affari e alle mazzette si spazia dal Nord al Sud: dal collaudato “sistema Sesto” di Filippo Penati, l’uomo che Bersani si era portato alla segreteria del partito e che doveva impersonare la riscossa del PD in Lombardia fino alla gestione della sanità pugliese secondo il modello di Alberto Tedesco avallata politicamente anche da Nichi Vendola di recente rinviato a giudizio a Taranto con l’accusa di concussione per aver preteso dalle autorità competenti di “alleggerire” le risultanze sull’inquinamento ambientale dell’Ilva.

Per dare una visione d’insieme del bilancio ormai ventennale della sinergia negativa della sinistra italiana con la cosiddetta destra berlusconiana che rappresenta tuttora per il paese una zavorra insuperabile anche sul fronte della credibilità internazionale, nel libro viene evidenziata un’analisi impietosa ma difficilmente contestabile di Pier Camillo Davigo attualmente Consigliere di Cassazione dopo essere stato la mente giuridica più sottile di Mani Pulite: “Dopo Tangentopoli il potere politico tutto, di centrodestra e di centrosinistra non si è affatto preoccupato di prendere provvedimenti per contrastare la corruzione, ma semplicemente di contrastare e di rendere più difficili i processi… Il centrodestra l’ha fatto in modo talmente spudorato da risultare vergognoso […]. Ma il centrosinistra ha dimostrato abilità più sottili […] : cose passate in silenzio senza il clamore delle leggi ad personam, ma che hanno reso più difficile contrastare i processi…”.

E quanto il clima di fastidio al controllo di legalità a 360° a cui è chiamata la magistratura nel rispetto della Costituzione e contemporaneamente di profonda simpatia riservato a protagonisti della politica gravati da “ombre pesantissime” fosse diffuso nella nomenclatura del PD trova conferma anche in una lunghissima serie di dichiarazioni ai massimi livelli.

Tra le tante quella di Nicola La Torre alter ego di D’Alema durante la scalata a BNL e interlocutore, in quel periodo anche di Giacomo Mancini, numero due del Sismi e implicato sia nel sequestro di Abu Omar che nel dossier Scurity Telecom. Il senatore La Torre nel 2007 non aveva alcun imbarazzo nel dichiarare: “Con il senatore Dell’Utri esiste un rapporto di grande cordialità e di stima reciproca. La mia impressione su di lui è estremamente positiva: penso che sia una persona pacata, sensibile, di spessore”.

Era il marzo 2007 e da allora ad oggi molte cose sono cambiate; successivamente dopo la conferma della condanna in appello per associazione mafiosa, Nicola la Torre ha chiesto le dimissioni da parlamentare di Marcello Dell’Utri e notoriamente Berlusconi alle ultime elezioni “ha sacrificato” l’amico di una vita sull’altare della “presentabilità”.

Intanto in vastissima compagnia all’interno del PD Nicola La Torre si è scoperto insieme all’ex tesoriere del partito Sposetti e a moltissimi altri che contro Renzi avevano sparato a palle incatenate, rigorosamente e caldamente renziano.

Quello che gli autori del libro definiscono “l’innovatore ambiguo”, già fan “senza se e senza ma” nel 2011 di Marchionne e disinvoltamente a suo agio con i vecchi amici del Partito Popolare e con i nuovi delle Cayman ora è alla prova dei fatti su molti caldissimi fronti.

E una delle scommesse più difficili ed improbabili, viste anche le premesse delle logiche poco entusiasmanti nella composizione del governo e del consolidamento della vecchia nomenclatura dietro i molti giovani di non provate qualità in prima fila, è quella dell’inversione di tendenza su lotta all’evasione e contrasto alla corruzione nonché l’annunciata, al tempo ormai remoto delle primarie, legislazione sul conflitto di interessi.

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