L'ottusità e la burocrazia militare messe a nudo dalla gatta Agata

di Daniela Gaudenzi - Liberacittadinanza - 24/12/2013
Bisogna far comprendere all’universo militare che non può essere all’infinito un mondo a parte, né può sottrarsi al controllo e al giudizio dell’opinione pubblica e dei cittadini che, dettaglio non piccolo, lo finanziano con le imposte.

In meno di ventiquattro ore, senza che la notizia avesse raggiunto le copertine dei Tg o fosse circolata nei talk show pre-natalizi la petizione lanciata dall’Ente Nazionale Protezione degli Animali a difesa dell’ufficiale medico colpevole di aver soccorso una gatta allo stremo, ha abbondantemente oltrepassato le diecimila firme. (http://firmiamo.it/sig--ministro-salvi-il-medico-amico-degli-animali).

Per una volta il richiamo ad una “giustizia giusta”, anche se si tratta di quella militare, non è strumentale e interessato e soprattutto non è contrario a principi giuridici di ordine generale, oltre che a quelle “leggi non scritte” che dovrebbero guidare i comportamenti umani, prima ancora dell’osservazione dei codici.

Il caso che ha toccato migliaia di comuni cittadini e che mi ha spinto ad occuparmi, alla vigilia di un Natale particolarmente grigio, di un episodio che risale al 10 maggio del 2012 è quello dell’allora ufficiale medico Barbara Balanzoni, in servizio alla base italiana in Kossovo che, in assenza del medico veterinario, interviene per salvare da morte certa la gatta Agata che non riesce a partorire. Per questo intervento dettato solo dalla volontà di “salvare un essere vivente in difficoltà” come sostiene l’imputata, la dottoressa Balanzoni è finita indagata per oltre un anno, oltre ad essere isolata ed emarginata nella base, ed il 7 febbraio sarà processata davanti al tribunale militare di Roma con l’accusa di disobbedienza aggravata continuata per non aver rispettato il divieto firmato dal comandante della base di avvicinare animali randagi.

L’imputata che comprensibilmente si è sentita sprofondare in un incubo si domanda in cosa consista la mancanza che le viene contestata ed eccepisce che se per un ufficiale è un dovere assoluto rispondere ad una chiamata, a maggior ragione era suo dovere rispondere alla chiamata per un animale a rischio di vita, tanto più che avrebbe potuto causare all’interno della base anche un problema di sanità pubblica.

Al di là del fatto che il procedimento disciplinare si richiami ad un articolo del codice sbagliato, come sostiene l’inquisita, sembra incredibile come dimostra questa vicenda tristemente kafkiana e surreale, che i principi fissati anche nel Trattato di Lisbona non abbiano la più pallida cittadinanza nella base italiana di Pec che è a tutti gli effetti in Europa.

L’art. 13 del Trattato fa infatti espresso riferimento alle “esigenze di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”. E per quanto riguarda espressamente l’Italia con legge 29 luglio 2010 n.120 che ha modificato il codice della strada è stato introdotto un obbligo di soccorso per gli animali incidentati e lo stato di necessità invocabile anche per gli animali: non sono cioè penalmente punibili infrazioni stradali motivate dall’urgenza di mettere in salvo un animale.

Una firma alla petizione, supportata anche da una interrogazione parlamentare, per rivendicare il diritto-dovere a salvare “un essere senziente” nel rispetto della legislazione vigente in ambito nazionale ed europeo può contribuire ad affermare un “piccolo” principio di civiltà e soprattutto a far comprendere all’universo militare che non può essere all’infinito un mondo a parte, né può sottrarsi al controllo e al giudizio dell’opinione pubblica e dei cittadini che, dettaglio non piccolo, lo finanziano con le imposte.

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