Piano casa da medioevo

di Bartolo Mancuso - 21/04/2014
In uno dei passaggi del nuovo Piano Casa si stabilisce che “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.”

E tutto in un tratto siamo nel medioevo. La prima legge anagrafica in Italia è del 1861, ed è stato uno dei primi atti di nascita del nostro strano Paese. La residenza, il diritto ad ottenerla, a vantare i diritti e sottomettersi agli obblighi che ne conseguono, è uno degli aspetti fondamentali del passaggio da una società fondata sugli status, ad una di cittadini uguali tra loro. È il precipitato amministrativo e giuridico all’idea moralmente altissima che un cittadino matura dei diritti e dei doveri per il fatto di esistere e di fare parte della comunità democratica a prescindere dalla discendenza e dal censo.

Infatti, la residenza fa scattare diritti e obblighi fondamentali: il diritto allo studio (con il correlato obbligo scolastico), il diritto alla salute (avere un medico) il diritto alle prestazioni sociali (asili, sussidi ecc..) il diritto al voto e, insisto, i relativi obblighi. Tutti diritti tutelati dalla Costituzione. E tutti collegati alla condizione di cittadino residente. Ma inoltre la residenza chiama in causa direttamente due diritti cardine della costituzione. L’art. 2 che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia “sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e l’art. 16 stabilisce che “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.”

Il diritto ad avere la residenza nel comune di appartenenza è così forte che la legge, prima dell’art. 5, non rimetteva la sua concessione alla discrezionalità della pubblica amministrazione. Le autorità devono solo accertare che vi sia una “dimora abituale” (lo dice l’art. 43 c.c., la legge 1228/54, e il dpr 223/89), ovunque fosse. Addirittura il ministero dell’interno nel 1995 ha affermato in una circolare che “la richiesta di iscrizione anagrafica non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tale modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale in palese violazione dell’art. 16 della Costituzione“. Adesso Renzi con un colpo di spugna crede di poterci portare indietro di centinaia di anni. La posta in gioco è altissima.

Non si può pensare di negare un diritto così fondamentale solo perché ci sono le occupazioni abusive. E per diversi motivi.

Primo: Perché i diritti fondamentali e della persona implicati dalla concessione della residenza sono ben prevalenti rispetto alla proprietà che si intende tutelare con l’art. 5.

Secondo: è inutile. Il fenomeno delle occupazioni si affronta solo scardinando il disagio sociale che le provoca. Nessuno si diverte ad occupare abusivamente. È costretto a farlo.

Terzo: non si può tornare al medioevo.

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