Trump, May, Putin: una Yalta deglobalizzata

di Tonino Perna - Il Manifesto - 19/01/2017

L’arrivo di Donald Trump alla presidenza della superpotenza nordamericana ridisegna gli equilibri geopolitici e chiare tendenze già in atto ci presentano scenari legati a questo evento.
Sul piano politico, l’inedita alleanza Usa–Russia porterà ad un nuovo patto di Yalta, ad una nuova spartizione di aree di influenza, vantaggiosa per entrambi e necessaria a creare le condizioni per affrontare meglio il nuovo “nemico” che avanza: la Cina.

Il colosso asiatico ha ormai assunto un ruolo guida, dalla finanza all’industria, ed un gigante economico, finanziario e militare non può restare a lungo un nano politico.
Per la Ue questa inedita alleanza può, a prima vista, costituire una buona occasione per dare uno sbocco pacifico alla crisi ucraina e soprattutto vedere la fine della folla corsa della Nato a piazzare missili sempre più vicini al cuore della Federazione russa. Ma, esiste un rovescio della medaglia. L’ascesa di Trump e la sua entusiastica apertura verso la Brexit, può significare il distacco definitivo della Gran Bretagna dalla Ue, con un non improbabile effetto domino su altri paesi europei filo-Usa e la definitiva implosione della Ue. Allo stesso tempo, l’appoggio al governo israeliano e l’annunciato trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, unitamente ad una politica aggressiva nei confronti dell’Iran, può scatenare nuovi conflitti in Medio Oriente con conseguenze nefaste per i paesi europei, soprattutto per quelli che si affacciano sul Mediterraneo.

Sul piano economico non ci saranno grosse novità. Non ci sarà una Trumpeconomics paragonabile alla Reaganomics. L’attuale modello neoliberista non verrà intaccato, anzi. Malgrado le frecciate di Trump nei confronti dell’alta finanza il suo governo è infarcito di manager che provengono dalla Goldman Sachs, il potentissimo istituto finanziario le cui azioni, dopo queste nomine, sono volate a Wall Street . Ci sarà invece un attacco frontale ai vincoli ambientali ed alle scelte energetiche dell’amministrazione Obama. In fondo Trump e Putin rappresentano al meglio la lobby del petrolio come mai era avvenuto prima. Si può dire che rappresentano il canto del cigno nero, prima che l’umanità abbandoni rapidamente questa fonte di energia. Certamente si apre una fase di scontro globale con i movimenti ambientalisti, e i trattati internazionali per contrastare il mutamento climatico diventeranno carta straccia.
Con l’elezione di Trump a presidente della superpotenza nordamericana siamo entrati simbolicamente in una nuova fase di «deglobalizzazione». Non tanto per le annunciate misure protezionistiche nei confronti dei prodotti cinesi, di non facile applicazione, quanto per una dinamica complessiva dell’economia-mondo che va in questa direzione. Dobbiamo precisare che da quando esiste il capitalismo, e soprattutto dopo la rivoluzione industriale, si sono avuti dei cicli economici, più o meno lunghi, di globalizzazione capitalistica e di deglobalizzazione, ovvero di espansione dei commerci e di penetrazione delle forme capitalistiche di produzione, e della resistenza a questi processi e relative forme di reazione.

I segnali dell’entrata in una nuova fase di deglobalizzazione c’erano già quando è iniziata la recessione/stagnazione dell’economia mondiale, ovvero dalla crisi finanziaria del 2007. Secondo il Fondo Monetario Internazione dal 2015 siamo nuovamente in recessione a livello di economia-mondo dopo esserci stati nel biennio 2008-2010, se misuriamo i Pil dei singoli paesi in dollari anziché in valute nazionali. Soprattutto, un dato parla chiaro: a livello di economia-mondo dal 2003 al 2006 il commercio estero cresceva ad una velocità doppia rispetto al Pil, dal 2007 il commercio estero cresce in misura nettamente inferiore al Pil, e le maggiori potenze economiche hanno fatto registrare una crescita economica superiore al commercio con l’estero.
Sul piano politico-istituzionale bisogna rilevare come segni chiari di resistenza alla globalizzazione il fallimento del TTIP, il Trattato Transatlantico di libero scambio tra Ue e Nafta (Nordamerica) e la fase di arresto del TPP Trans-Pacific Partnership , il Trattato di libero scambio tra Usa e paesi dell’area del Pacifico, sia dell’America Latina che dell’Asia (esclusa la Cina).
Anche sul piano culturale e della vita quotidiana la globalizzazione intesa nell’accezione ricorrente e popolare di omologazione globale sta subendo una battuta d’arresto. La stessa comunicazione via web si sta de-globalizzando per via delle censure che il potere politico impone per diverse ragioni legate alla cosiddetta sicurezza dello Stato. Anche il razzismo emergente in tutto l’occidente, e di cui Trump è uno degli esponenti di punta, chiude le nostre società verso l’esterno, le rende schiave della paura che è il contrario del carburante che fa avanzare la globalizzazione. Si pensi solo al turismo che sembrava potesse riguardare tutto il pianeta e le cui aree visitabili perché “sicure”, dal ceto medio mondiale, sono diventate sempre più piccole.
Lo stesso Francis Fukuyama, il teorico della “fine della storia” ha dovuto recentemente fare autocritica: il modello politico-economico ed istituzionale made in Usa non si è globalizzato. Anzi, possiamo dire che il modello cinese di capitalismo autoritario, con un forte ruolo del partito unico, si sta affermando in altre parti del globo, anche dove permane una parvenza-farsa di democrazia rappresentativa (come in Russia). La democrazia rappresenta sempre più un ostacolo al funzionamento del finanzcapitalismo come lo aveva magistralmente descritto Luciano Gallino, denunciando la doppia crisi: quella sociale e quella ambientale.

Si può ancora paragonare questa fase storica, fatti i dovuti distinguo, con il Congresso di Vienna del 1815, quando le grandi potenze dell’epoca pensavano di rimandare indietro le lancette della storia. Una grande illusione. Nei decenni successivi le monarchie assolute dovettero cedere alle monarchie costituzionali e la borghesia emergente scalzò la nobiltà ed il vecchio ordine sociale. Ugualmente, e senza tema di smentita, crediamo che il vecchio modello di sviluppo capitalistico, basato sul trio finanza-petrolio- armi sarà rovesciato perché insostenibile sul piano sociale (spaventose diseguaglianze), ambientale (rapina e distruzione degli ecosistemi), esistenziale: la crescita per la crescita non ha più senso, se non per una estrema minoranza di super ricchi.
Le contraddizioni di questo modo di produzione e distribuzione del reddito, di questo uso ed abuso di risorse naturali, sono diventate potenzialmente esplosive, ma potrebbero trasformarsi in una catastrofica implosione se non ci sarà una forza politica capace di trasformare lo sfruttamento, la sofferenza, la disperazione in un progetto credibile di un’altra società.

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