Londra

di Massimo Marnetto - 23/03/2017
L'auto che falcia i passanti con un fanatico che la guida è un "format" che si ripete e si ripeterà in tutta Europa, nei prossimi anni. 
 
La globalizzazione della guerra è un effetto ottico per generare panico da insicurezza e dare l'idea che il nemico può arrivare da lontano, fino nelle tue strade. La "percezione" è che non c'è più la tradizionale distanza di sicurezza tra fronte e retrovie, tra campo di battaglia e città, tra militari e civili. La guerra è ovunque, ci dicono, cambia solo la sua intensità. E così, ci sentiamo al fronte anche se usciamo per prendere la metropolitana che ci porterà in ufficio. 
 
Ma è veramente cosi? No. C'è una strumentalizzazione reciproca tra frustrazione locale che uccide in occidente e jihadismo globale che dopo rivendica la strage da oriente.
Tra il combattente urbano che si alza e decide un suicidio collettivo perché non ha più nulla da perdere e il fondamentalismo che lo arruola da morto tra le fila dei suoi eroi. Questo continuo rimando tra nemico interno ed esterno confonde le analisi e le strategie, spostando il problema sul campo militare (invasione), perdendo di vista la sua connotazione sociale (emarginazione).
 
Il panico fa dimenticare che la diseguaglianza è un elemento chimico che a contatto con il fondamentalismo religioso esplode, perché dà uno sbocco violento alla frustrazione. Quando il pazzo esce di casa e sale in macchina per ammazzare e farsi ammazzare, è tardi per evitare il peggio. Occorre lavorare prima, nelle nostre società, contro le nostre ingiustizie, perché è dalle nostre periferie che arrivano gli assassini, non dai barconi.
 
La rivendicazione dei jihadisti arriva dopo, per dare l'idea di un'organizzazione planetarie e invincibile, ma è un trucco. Gli assassini ce li creiamo in casa e il deserto da dove arrivano non è quello orientale, ma quello urbano. 
 
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