Matrimoni omosessuali, una sentenza vintage

di Massimo Villone - Il Manifesto - 30/10/2015
Diritti. In un paese laico, la giurisdizione è il tempio del diritto, non di una fede. Singolare che il Consiglio di stato abbia scelto un relatore noto per le sue posizioni

Il Con­si­glio di Stato ha posto la parola fine alla vicenda delle tra­scri­zioni dei matri­moni con­tratti all’estero tra per­sone del mede­simo sesso. La tra­scri­zione non è con­sen­tita, per­ché la man­canza del requi­sito del sesso diverso rende quel matri­mo­nio un atto giu­ri­di­ca­mente nullo, ed anzi «ine­si­stente». Ed è ovvio che una ine­si­stenza non è trascrivibile.

È una sen­tenza ideo­lo­gi­ca­mente orien­tata, per­ché tra le scelte inter­pre­ta­tive pos­si­bili, sem­pre mol­te­plici, sce­glie quella indi­riz­zata verso il diniego della tra­scri­zione. La ragione tra­spare da una frase rive­la­trice, per cui la diver­sità del sesso deve rite­nersi indi­spen­sa­bile «in coe­renza con la con­ce­zione del matri­mo­nio affe­rente alla mil­le­na­ria tra­di­zione giu­ri­dica e cul­tu­rale dell’istituto, oltre che all’ordine natu­rale costan­te­mente inteso e tra­dotto nel diritto posi­tivo come legit­ti­mante la sola unione coniu­gale tra un uomo e una donna».

Qua­lun­que giu­ri­sta, anche appren­di­sta o in prova, sa che l’ordine natu­rale è con­cetto dal quale è bene tenersi lon­tani. Il diritto è sem­pre una realtà sto­ri­ca­mente e ter­ri­to­rial­mente deter­mi­nata, anche quando si auto­de­fi­ni­sce in ter­mini di perenne uni­ver­sa­lità. Ed è appena il caso di notare che la «mil­le­na­ria tra­di­zione», qua­lun­que cosa se ne pensi in prin­ci­pio, è lar­ga­mente venuta meno. Quasi tutti i paesi di «tra­di­zione giu­ri­dica e cul­tu­rale» affine o assi­mi­la­bile alla nostra rico­no­scono giu­ri­di­ca­mente il rap­porto tra per­sone dello stesso sesso. E que­sto dimo­stra che non c’è alcun «ordine natu­rale», tanto meno «costan­te­mente tra­dotto». Se ci fosse stato, non sarebbe acca­duto. A meno di non voler rite­nere che quei paesi si siano col­let­ti­va­mente con­se­gnati al pec­cato e al demo­nio. E che spetti al nostro difen­dere fino in fondo le ragioni della purezza e della grazia.

La scelta della «ine­si­stenza» è coe­rente con la pre­messa dell’«ordine natu­rale». Porta a con­se­guenze para­dos­sali. Sup­po­niamo che due per­sone del mede­simo sesso abbiano dop­pia cit­ta­di­nanza, in Ita­lia e in uno stato estero che rico­no­sce il matri­mo­nio tra omo­ses­suali. Si spo­sano in quello stato, e secondo gli arti­coli 27 e 28 della legge 31 mag­gio 1995, n.218, che disci­plina la fat­ti­spe­cie, il matri­mo­nio da loro con­tratto all’estero dovrebbe essere valido anche in Ita­lia. Invece, è ine­si­stente. Quindi, nel momento in cui scen­dono dall’aereo e pon­gono piede sul ter­ri­to­rio ita­liano il loro sta­tus giu­ri­dico cam­bia da coniu­gati a sin­gle, in modo istan­ta­neo e auto­ma­tico. Niente figli, niente comu­nione di beni, niente diritti e obbli­ghi reci­proci. Sem­plici cono­scenti occa­sio­nali. Quando risal­gono sull’aereo, tutto si rista­bi­li­sce. Uno sce­na­rio insensato.

In Ita­lia, i giu­dici hanno retto in larga misura il peso del cam­bia­mento. È per la via giu­di­ziale che il diritto a for­mare una comu­nione sta­bile di affetti e inte­ressi, ad avere dei figli, ad edu­carli, è stato costruito come un diritto fon­da­men­tale e invio­la­bile di ogni per­sona. Un diritto che come tale pre­scinde dal sesso. E che essendo di ognuno non può essere com­presso o negato dal legi­sla­tore in base a una defi­ni­zione legi­sla­tiva della coppia.

Lo dice la Corte costi­tu­zio­nale. Ad esem­pio nella sen­tenza 162/2014, sulla fecon­da­zione ete­ro­loga. Ma va aggiunto che in buona parte il pro­blema nasce con la stessa Corte. Con la sen­tenza 138/2010 lesse nel matri­mo­nio di cui all’articolo 29 la disci­plina del codice civile del 1942, che ovvia­mente cono­sceva sol­tanto la cop­pia for­mata da due per­sone di sesso diverso. Ben si poteva invece dare una let­tura evo­lu­tiva, che tenesse conto del nuovo. Ma la Corte non lo fece. E solo par­zial­mente ha poi recu­pe­rato con la sent. 170/2014, sul cosid­detto divor­zio auto­ma­tico o impo­sto nel caso di cam­bio di sesso di uno dei coniugi. Ha affer­mato il diritto a una piena tutela giu­ri­dica della cop­pia del mede­simo sesso, dichia­rando la inco­sti­tu­zio­na­lità. Ma ha rin­viato al legi­sla­tore, rima­nendo la distin­zione posta nella sen­tenza 138 con la miope let­tura della nozione costi­tu­zio­nale di matri­mo­nio. Ha così cari­cato sui diritti fon­da­men­tali tutto il prezzo dell’inerzia legi­sla­tiva. Ed è appunto quel che oggi accade.

Non era nem­meno neces­sa­rio arri­vare alla Corte di Stra­sburgo (Oliari e altri con­tro Ita­lia, 21 luglio 2015) per sapere che il vuoto nor­ma­tivo sul tema era ed è inac­cet­ta­bile. La nostra Costi­tu­zione avrebbe cer­ta­mente retto una sen­tenza più corag­giosa, e una inter­pre­ta­zione evo­lu­tiva. In que­sta mate­ria e in molte altre cose, è più avan­zata non del paese, ma delle scelte poli­ti­che oggi espresse nelle isti­tu­zioni. Forse da que­sto punto la sen­tenza del Con­si­glio di Stato ser­virà a qual­cosa, spin­gendo il dise­gno di legge Cirinnà-bis fuori dalle sec­che in cui è con ogni evi­denza finito.

Il Con­si­glio di Stato non ha inteso leg­gere il cam­bia­mento. Al con­tra­rio, la sen­tenza avrebbe potuto essere scritta tal quale venti o trenta anni fa. Una sen­tenza vin­tage, da anti­qua­riato giu­ri­spru­den­ziale. Il rela­tore Deo­dato è accu­sato di inte­gra­li­smo per le posi­zioni adot­tate sui social net­works e si difende dicendo che la pro­nun­cia è col­le­giale. Lo sap­piamo. Ma sap­piamo anche che il rela­tore ha un peso deci­sivo sulla pro­nun­cia, e che la rela­zione nor­mal­mente non si affida a chi è noto per le ester­na­zioni già fatte in materia.

In ogni caso, una sen­tenza che non rende al giu­dice un buon ser­vi­zio. In uno Stato laico, la giu­ri­sdi­zione è il tem­pio del diritto, non di una fede. Di nes­suna fede.

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