Patto di stabilità killer

di Marco Bersani (Attac Italia) - Il Manifesto - 18/10/2014

La natura fa il suo corso. Ami­che­vole, se le atti­vità umane si rela­zio­nano alla stessa rispet­tan­done le leggi fon­da­men­tali; deva­stante, se le atti­vità umane la con­si­de­rano varia­bile dipen­dente dai pro­fitti.
Genova, Parma, Ales­san­dria, Maremma, Trie­ste sono le nuove sta­zioni del cal­va­rio autun­nale, che induce a modi­fi­care il vec­chio detto popo­lare «Piove, governo ladro» nel più attuale «Piove, governo ladro e si salvi chi può».

Sul per­ché ogni volta che piove que­sto Paese vada sott’acqua e sul fatto che forse occor­re­rebbe che tutti faces­sero un corso di for­ma­zione sul cam­bia­mento cli­ma­tico, in modo da smet­tere di stu­pirsi su quanti metri cubi d’acqua in bre­vis­simo tempi sca­ri­chino i tem­po­rali, molto si è gia scritto.

Ma nell’ennesimo, spesso rituale, dibat­tito che si sca­tena su tutti i mass media ogni­qual­volta una parte del ter­ri­to­rio fini­sca sott’acqua, deva­stando le vite di intere comu­nità, con­ti­nua una strana afa­sia sulle reali cause di ciò che succede.

Non sono di quelli che pen­sano che la colpa vada imme­dia­ta­mente addos­sata ai sin­daci di turno, anche se que­sti ultimi non pos­sono bearsi ad ogni piè sospinto dei voti rice­vuti in seguito a pro­grammi elet­to­rali di cam­bia­mento anche radi­cale e poi chie­dere com­pren­sione per la pro­pria impo­tenza tutte le volte che sono chia­mati a gestire l’ennesima tra­ge­dia. Ma sono di quelli che pre­tende dai sin­daci di turno parole di verità.
Pren­diamo come esem­pio la vicenda di Genova, per­ché è quella che esprime al meglio il para­dosso. Se stiamo alle dichia­ra­zioni dei vari espo­nenti isti­tu­zio­nali, tutto è avve­nuto secondo le regole e nella piena legit­ti­mità delle pro­ce­dure. Di con­se­guenza, dovremmo dire agli abi­tanti di quella città che il buon fun­zio­na­mento delle isti­tu­zioni com­porta neces­sa­ria­mente un’alluvione almeno ogni tre anni, con quar­tieri sepolti dal fango e vite umane perse. Cosa non torna? Dove sta l’afasia? Dove sta dun­que la vera colpa dei sin­daci, «aran­cioni» compresi?

Ciò che si con­ti­nua a non dire, a destra come a sini­stra, è che il vero kil­ler di quanto è suc­cesso in que­ste set­ti­mane è il patto di sta­bi­lità interno, al rispetto del quale tutti i sin­daci con­ti­nuano a immo­lare, in una sorta di nuova reli­gione dei mer­cati, la cura del ter­ri­to­rio e delle comu­nità che lo abitano.

Quanta spesa pub­blica desti­nata alla manu­ten­zione quo­ti­diana del ter­ri­to­rio è stata tagliata, bilan­cio dopo bilan­cio, da sin­daci ogni volta fieri di aver rispet­tato i para­me­tri, entu­sia­sti di aver «risa­nato» il bilan­cio, in estasi per ogni rico­no­sci­mento sulla «sta­bi­lità» dei conti? È que­sta scien­ti­fica rimo­zione del pro­blema che rende sacro­sante tutte le pro­te­ste, per quanto con­fuse, di ogni cit­ta­dino coin­volto. E’ con que­sta car­tina di tor­na­sole che andrebbe misu­rata la neces­sità di dimissioni.

Oggi un sin­daco che volesse inter­pre­tare sino in fondo il pro­prio ruolo dovrebbe chia­mare a rac­colta la comu­nità ter­ri­to­riale e spie­gare come, senza una bat­ta­glia col­let­tiva con­tro il patto di sta­bi­lità, nes­sun miglio­ra­mento nella sicu­rezza del ter­ri­to­rio e nella qua­lità della vita sarà possibile.

Nel frat­tempo, c’è chi il nodo l’ha pie­na­mente com­preso e, gra­zie all’afasia dei sin­daci, lo gioca ancora una volta a favore dei grandi inte­ressi finan­ziari: la legge di sta­bi­lità, appena pre­sen­tata dal pre­mier Renzi, pre­vede infatti che i ricavi delle dismis­sioni delle società di ser­vizi pub­blici locali pos­sano essere spesi dai sin­daci fuori dal patto di sta­bi­lità. Que­sta volta, molto più di altre, si chiede ai sin­daci di schie­rarsi con­tro i beni comuni dei cit­ta­dini. O si ribel­lano o non sap­piamo che farcene.

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