Podemos, il partito che mette scompiglio in Spagna

di Renaud Lambert - Le Monde Diplomatique - (Traduzione dal francese di José F. Padova) - 14/01/2015
A che cosa servono le formazioni politiche?

La prospettiva di una vittoria della formazione di sinistra radicale Syriza alle prossime elezioni legislative anticipate in Grecia è bastata per mettere in allarme la Commissione Europea. Altrove in Europa la resistenza alle poltiche d'austerità si organizza lontano da strutture partigiane sospettate di fare parte del problema piuttosto che esserne la soluzione. Questa è stata a lungo la situazione in Spagna, fino alla creazione di un partito che sembra cambia le carte in tavola.

Madrid, 15 maggio 2011: migliaia, poi centinaia di migliaia di manifestanti, presto soprannominati «indignati» dalla stampa, si ammassavano alla Puerta del Sol, nel cuore della capitale spagnola. Essi contestano il dominio delle banche sull'economia e una democrazia che «non li rappresenta». Infervorate, le loro assemblee proibiscono bandiere, sigle politiche e che si prenda la parola in nome di organizzazioni o collettivi. Dai loro ranghi emerge ben presto uno slogan: «Il popolo, unito, non ha bisogno di partiti».

Tre anni dopo la piazza della Puerta del Sol è vuota. Il desiderio che le cose cambino non è scomparso,ma è cambiato. In modo inatteso,la speranza si cristallizza ormai su una nuova formazione politica, Podemos («Noi possiamo»). Mentre nella maggior parte dei Paesi europei i partiti si scontrano con un discredito crescente, essa al contrario riscuote un inatteso successo.

«Si fatica a crederci», sorride l'eurodeputato Pablo Echenique in occasione di un incontro organizzato nel novembre 2014da un «circolo» parigino di Podemos. «Il nostro partito è stato creato nel gennaio 2014. cinque mesi più tardi conseguivamo l'8% dei voti alle elezioni europee. Oggi tutti i sondaggi presentano la nostra formazione come la prima forza politica della Spagna!». I dirigenti di Podemos sanno bene che un sondaggio non è uno scrutinio. In dicembre 2014 nuovi sondaggi pongono d'altronde il partito al secondo posto, dietro al Partito socialista operaio spagnolo (PSOE). Tuttavia è difficile escludere del tutto la possibilità di una vittoria alle elezioni generali, che devono svolgersi al più tardi il 20 dicembre 2015.

La creazione di Podemos nasce da una constatazione: «Secondo noi il movimento del 15 maggio si è rinchiuso in una concezione movimentista della politica, ci spiega il sociologo Jorge Lago, membro del Consiglio cittadino di Podemos, sua direzione allargata. Ora, l'idea che un accumulo progressivo di forza avrebbe necessariamente portato a una traduzione politica degli assembramenti si è rivelata errata». Sono state costituite associazioni di lotta contro le espulsioni di inquilini, sono comparse reti di resistenza contro la Cassa Malattie, ma il movimento generale si è sgonfiato prima di disgregarsi.

Sul piano elettorale stessa delusione. «_L'80% della popolazione si diceva d'accordo con il movimento, ma le persone hanno continuato a votare in maniera tradizionale», continua Lago. Da qui la doppia ipotesi dei fondatori di Podemos: e se fra le persone che simpatizzavano con il movimento del 15 Maggio alcune desiderassero pur sempre di essere rappresentate? E se, nell'attuale contesto, il passaggio attraverso lo Stato costituisse una conditio sine qua non per ottenere la trasformazione sociale?

Pur tirandosi fuori dagli appelli alla democrazia diretta della Puerta del Sol, Podemos vuole essere l'erede dello«spirito di maggio», specialmente attraverso i suoi princìpi di finanziamento partecipativo, di trasparenza e di deliberazione collettiva. Ma i suoi membri sembra abbiano fatto un bilancio critico di certe trappole del'assemblearismo. In occasione del primo congresso del partito, lo scorso ottobre, la mozione di Echenique proponeva di aumentare la decentralizzazione, l'orizzontalità, la flessibilità. Quella di Pablo Iglesias, che ha prevalso largamente, elevando questo ricercatore universitario alla funzione di segretario generale del partito, suggeriva al contrario che il raggiungimento degli obiettivi del movimento implica la dotazione di un'organizzazione meno incline a diluire le sue rivendicazioni in un'interminabile riflessione sul suo proprio funzionamento.

Fra i manifestanti del 2011 più affezionati all'autonomia del movimento sociale vi è chi è vicino a urlare al tradimento: il nuovo partito farebbe la parte dell'utile idiota del «sistema». «Podemos nasce come strumento per istituzionalizzare l'energia sociale e il processo di sperimentazione di massa» degli ultimi anni, afferma la signora Nuria Alabao, militante di un collettivo di Barcellona (1). Podemos non «ricupera» il Movimento del 15 Maggio, ma gli propone una nuova direzione di lotta, così controbatte l'entourage di Iglesias. «I movimenti sociali possono conservare molto bene la loro autonomia anche sostenendo, quando ciò sembra loro sensato, un governo che sia loro più favorevole di quelli che la Spagna ha conosciuto recentemente», osserva Lago. La questione del sostegno presenta tuttavia minori difficoltà di quella della critica: che succede quando un governo che i movimenti sociali giudicano troppo timido è ormai preda degli attacchi dei conservatori? È necessario aggiungersi al coro dei contestatori e fare il gioco dell'avversario o tacere senza riserve e tradire le proprie battaglie? Come altrove nel mondo, il problema rimane tutto intero.

Se non esistesse continuità diretta fra il Movimento del 15 Maggio e lo sviluppo di Podemos, il secondo non sarebbe stato possibile senza il primo, il quale, secondo i dirigenti del nuovo partito, gli ha offerto un soggetto politico raramente creato in questo modo in Europa: il popolo. «Non è il popolo che produce la sollevazione, è la sollevazione che produce il suo popolo», scrive nel suo ultimo libro il collettivo anonimo Comitato invisibile (2). Mentre, in altre latitudini, «popolo» resta una parola vuota - una potenza politica fantomatica che ha l'ambizione di agglomerare discorsi incantatori -, in Spagna il termine avrebbe preso consistenza durante le lunghe serate di occupazione delle piazze.

E se la sinistra si mostrasse semplice, simpatica e perfino… divertente?

L'emergere di questo «noi» collettivo si spiega in gran parte con le turpitudini delle élite del Paese, quello che Podemos ha soprannominato come «La Casta», a partire da un livello di corruzione che dà della Francia l'immagine di un tempio delle virtù. Quasi duemila episodi sono attualmente oggetto di indagini giudiziarie. Riguardano per lo meno cinquecento alti funzionari, con un costo per lo Stato stimato in 40 miliardi di euro all'anno (3). Reazione dei due principali partiti, il PP (destra, al potere) e il PSOE: mettersi d'accordo per «limitare la responsabilità penale alle persone individuali che ricevono le donazioni illegali (4)» e mantenere fuori portata dalla giustizia le formazioni politiche che ne approfittano. Perfino la monarchia, ritenuta intoccabile, non riesce più a ridare smalto al blasone delle élite, perché ormai gli scandali schizzano di fango l'Infanta Cristina di Borbone.

Quando raggiunge un tale livello, spiega Iglesias, la corruzione diviene «strutturale» (5). Impossibile, quindi, distinguerla da un concetto più generale della politica, illustrato da un grido: quello della deputata conservatrice Andrea Fabra, che l'11 luglio 2012, durante una seduta plenaria del Parlamento nel corso della quale Mariano Rajoy annunciò un nuovo taglio alle indennità di disoccupazione. La signora Fabra non seppe contenere la sua gioia. Applaudendo il capo del governo aggiunse all'indirizzo dei senza lavoro questo messaggio: «Che vadano a farsi fottere!».

Mentre un disoccupato su due non riceve più indennità, trentatre delle trentacinque maggiori società anonime spagnole sfuggono all'imposta attraverso filiali nei paradisi fiscali (6). Dopo il 2009 un mezzo milione di bambini sono stati abbandonati alla povertà, ma i grandi patrimoni del Paese prosperano: la loro consistenza è balzata in alto del 67% in media dopo l'arrivo di Rajoy al potere (7). E poi, per contenere il pericolo di vedersi strapazzare da una popolazione ostile, dal dicembre scorso una legge detta di «sicurezza cittadina» vieta metodicamente tutto ciò che aveva reso possibile la mobilitazione del 2011: riunioni nei luoghi pubblici, distribuzione di volantini, occupazione delle piazze, ecc.

Podemos ritiene che l'esplosione della bolla immobiliare spagnola ha infranto le basi materiali sulle quali si fondava il «consenso» inaugurato dalla Costituzione del 1978, con il suo patto di transizione, la sua monarchia - ormai discreditata a tal punto che Juan Carlos ha dovuto cedere il trono al figlio - e le sue speranze di ascesa sociale. «La crisi economica, spiega Lagos, ha provocato una crisi politica - il tipo di situazione eccezionale che costituisce il requisito preliminare a ogni trasformazione sociale profonda». Dopo il processo «destituente» del maggio 2011, sarebbe venuta l'ora di avviare un processo «costituente»: trasformare lo Stato a partire dallo Stato.

Il periodo che la Spagna attraversa sarebbe ugualmente pieno di tutti i pericoli. Perché, sottolinea Iglesias, l'estrema destra vi si muove come un pesce nell'acqua» (marzo 2013) (8). In questo ambito, tuttavia, la sinistra spagnola beneficia di un vantaggio in rapporto alla sua omologa francese: una larga frangia dell'estrema destra nazionalista si trova formalmente integrata nel Partito Popolare. Difficile, per essa, produrre un discorso antisistema simile a quello del Front National [=Marine Le Pen], il quale non ha mai governato altro che semplici Comuni.

Eppure il contesto, drammatico, della Spagna non basta per spiegare il recente incremento di Podemos. Da molto tempo la formazione Izquierda Unida [IU, Sinistra  Unita] difende un programma politico simile, senza riuscire a smuovere l'ordine politico. È quindi anche questione di metodo.

Per i dirigenti di Podemos la sinistra ha pescato [nell'elettorato] con le sue analisi astruse, i suoi oscuri riferimenti e il suo vocabolario in codice. Ora, pensa Iglesias, «la gente non vota per qualcuno perché si identifica nella sua ideologia, nella sua cultura o nei suoi valori, ma perché è d'accordo con lui» (30 luglio 2012). E la gente lo fa tanto più in quanto la persona in questione sa mostrarsi normale, simpatica, perfino… divertente.

Il primo lavoro di Podemos consiste nel «tradurre» il discorso tradizionale della sinistra partendo da linee guida discorsive, capaci di ottenere l'adesione più ampia: le questioni della democrazia, della sovranità e dei diritti sociali. «In concreto», precisa Lago, noi non parliamo più di capitalismo. Difendiamo l'idea di democrazia economica». Dimenticata, dunque, nei discorsi, la dicotomia «sinistra-destra». «La linea di frattura, spiega Iglesias, oppone ormai quelli che come noi difendono la democrazia (…) e quelli che stanno dalla parte delle élite, delle banche, del mercato, ci sono quelli del basso e quelli dell'alto, (…) una élite e la maggioranza» (22 novembre 2014).

I guardiani dell'ortodossia marxista denunciano questo tipo di analisi sociale indifferenziata. Il 24 agosto 2014 un militante interpella Iglesias in occasione di una conferenza. Perché non utilizzare mai il termine «proletariato»? il giovane dirigente politico risponde: «Quando il Movimento del 15 Maggio ha iniziato, studenti della mia Facoltà - studenti molto politicizzati, che avevano letto Marx e Lenin - hanno partecipato per la prima volta ad assemblee di persone "normali". E presto si sono strappati i capelli: "Ma questi qui non capiscono niente!". Urlavano: "Tu sei un operaio, anche se non lo sai!". Le persone li guardavano come fossero extraterrestri e i miei studenti tornarono a casa loro indispettiti. (…) Ecco ciò che il nemico si aspetta da noi. Che noi adoperiamo parole che nessuno capisce, che restiamo in minoranza, al riparo dei nostri simboli tradizionali. Lo sa bene, lui: fintanto che noi restiamo là non lo minacciamo».

Fondato, almeno in parte, da militanti di estrema sinistra, alcuni usciti dalla formazione Izquierda Anticapitalista [Sinistra A.], Podemos si compiace del fatto che il 10% dei suoi elettori, lle europee del maggio 2014, rima di allora avessero votato per la destra. Il reclutamento sociale del partito si è allargato anche attraverso la creazione in tutto il Paese di più di mille «circoli». I giovani ultradiplomati e urbanizzati degli inizi sono stati integrati da operai, impiegati, da gente che vive in campagna.

Tuttavia la storia dimostra che una simile alleanza di classi tende ad andare in pezzi quando sono state soddisfatte le aspirazioni dei più favoriti (9). Come garantire che Podemos non finirà sullo stesso scoglio? «Noi non possiamo garantirlo, concede Lago. Ma è un problema che non si pone se non per coloro che sono in grado di vincere. Preferisco doverlo affrontare piuttosto che proteggermi dietro la tradizionale marginalità della sinistra».

Amalgamati alle analisi di Antonio Gramsci, i dirigenti di Podemos considerano che la battaglia politica non potrebbe limitarsi al rovesciamento delle strutture economiche e sociali esistenti, ma che deve svolgersi anche sul piano culturale, su quello dell'«egemonia» che legittima il dominio dei potenti agli occhi dei dominati. Ora, in questo ambito, il nemico impone i suoi codici, il suo vocabolario, la sua drammaturgia. E vi è uno strumento più potente degli altri per formare il «senso comune»: la televisione.

Un sistema elettorale pensato perché nulla cambi

Dal 2003 Iglesias e i suoi amici (fra i quali il docente universitario Juan Carlos Monadero, che ritroviamo oggi alla testa di Podemos) creano i loro propri programmi audiovisivi, fra i quali «La Tuerka» [ndr.: programma molto seguito e parecchio dirompente]. Programma di dibattiti politici diffuso da diverse catene tv locali e su Internet [ndt.: https://www.youtube.com/user/LaTuerka ], svolge anche il ruolo di centro di riflessioni «per tentare di comprendere il mondo in una prospettiva leninista, per essere pronti quando verrà il momento» (Iglesias, marzo 2013). Invitando, quando si presenta l'occasione, personalità spiccatamente di destra, i giovani compagni acquisiscono una notorietà che permette loro d'intervenire nei dibattiti politici organizzati dalle grandi catene TV, mentre il secondo elemento della loro strategia consiste nel «non concedere terreno al nemico».

Per il momento tutto questo non si traduce in talk-show come equivalenti iberici di Closer e neppure in una smisurata docilitàIl 6 dicembre 2014 una delle principali trasmissioni politiche della TV spagnola e primo canale della TV pubblica nel Paese, «La notte in 24 ore», riceve Iglesias. Di primo acchito questi mette in chiaro di non considerare l'invito come un favore: «Si è dovuto combattere per farmi arrivare qui, osserva davanti al mortificato giornalista conduttore del programma, Sergio Martín. Mi permetterete di ringraziare i lavoratori di questo canale perché, come ben sapete, senza la pressione che hanno esercitato non mi avreste mai ricevuto sul vostro palcoscenico».

La classe dirigente spagnola dispone di un sistema elettorale favorevole alle due formazioni dominanti e ai partiti che raccolgono voti su un territorio ristretto, come i nazionalisti. «L'aritmetica è semplice, spiegava il sociologo Laurent Bonelli nel novembre 2011. Ai nazionalisti della Navarra, quelli di Geroa Bai, occorrono 42.411 voti per ottenere un seggio, 60.000 al PP, 64.000 al PSOE e 155.000 a Izquierda Unida… (10)». Senza contare che la strategia di Podemos mirante a rifiutare fronti comuni di ogni genere - una «macedonia di sigle» che rischierebbe di reinserire la formazione nella tradizionale divergenza destra-sinistra - potrebbe privare il partito dei voti dei nazionalisti di sinistra o dei militanti di Izquierda Unida, che denunciano l'«irresponsabilità storica (11)» di Podemos. L'élite iberica sembra tuttavia essere inquieta: il 1 dicembre 2014 il capo della Confindustria spagnola Juan Rosell chiamava a una Grande Coalizione «alla tedesca» fra il PP e il PSOE.

«Il programma di Podemos non ha nulla di massimalista (12)», fa notare Iglesias: assemblea costituente appena arrivati al potere, riforma fiscale, ristrutturazione del debito [pubblico], opposizione allo spostamento dell'età pensionabile a 67 anni, passaggio alle trentacinque ore settimanali di lavoro (contro le 42 attuali), referendum sulla monarchia, rilancio industriale, recupero delle prerogative sovrane dello Stato cedute a Bruxelles, autodeterminazione delle regioni spagnole… Prevedendo fin da subito un'alleanza con forze similari del Sud dell'Europa (in particolare Syriza, in Grecia, la cui vittoria alle prossime elezioni è temuta dalla Commissione Europea), i progetti di Podemos minacciano tuttavia i poteri finanziari, quelli che Iglesias chiama «l'Europa tedesca» e «la casta».

La quale mostra già i denti. Un articolo del giornalista Salvador Sostres uscito sul quotidiano El Mundo il 2 dicembre paragonava Iglesias al'antico dirigente romeno Nicolae Ceausescu, sospettandolo di non avere in testa che un'idea: «Fare scorrere il sangue dei più poveri, fino all'ultima goccia» (13). Qualche settimana prima un eletto del PP era ancor più diretto: «Che gli si ficchi una pallottola nella nuca!».

 

(1) Nuria Alabao, « Podemos y los movimientos », Periódico Diagonal, 7 novembre 2014.

(2) Comité invisible, A nos amis, La Fabrique, Paris, 2014.

(3) « Investigadores de la ULPGC analizan como estimar el coste social de la corrupción en España », communiqué de l’université de Las Palmas, 29 juillet 2013.

(4) Europa Press, Madrid, 28 novembre 2014.

(5) Pablo Iglesias, Disputar la democracia. Política para tiempos de crisis,Akal, Madrid, 2014.

(6) « La responsabilidad social corporativa en las memorias anuales del IBEX 35 », 10e édition, Observatorio de responsabilidad social corporativa, Madrid, 2012.

(7) Vicente Clavero, « Los dueños del Ibex son un 67 % más ricos desde que gobierna Rajoy », Público, 7 mai 2014.

(8) Sauf mention contraire, les citations de M. Iglesias proviennent de conférences publiques consultables sur Internet. Les dates se réfèrent à la mise en ligne des vidéos.

(9) Lire Dominique Pinsolle, « Entre soumission et rébellion », Le Monde diplomatique, mai 2012.

(10) Lire Laurent Bonelli, « Bourrasque conservatrice en Espagne  », La valise diplomatique, novembre 2011.

(11) Europa Press, 12 décembre 2014.

(12) Iglesias, Disputar la democracia, op. cit.

(13) Salvador Sostres, « El matrimonio Ceaucescu », El Mundo, Madrid, 2 décembre 2014.

(14) Site du quotidien 20 Minutos, Madrid, 7 novembre 2014

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