La giustizia sotto controllo

di Francesco Pardi - Il Manfesto - 13/01/2009
è difficile sottrarsi al sospetto che ormai quasi tutta la politica, di maggioranza e opposizione, guardi alla magistratura come a un potere temibile da mettere sotto controllo

In tema di giustizia Mancino propone che “sia il Parlamento a scegliere i reati da perseguire”. Violante aggiunge: “il vero problema è che oggi la magistratura è un potere dello Stato che non ha nessun contrappeso”. Ebbene, fino a non molto tempo fa, nascondendo gli autori delle frasi e facendo indovinarne alla cieca l’appartenenza politica, era assai probabile la risposta: centrodestra. Molti avrebbero potuto affermare: frasi di Berlusconi, prese direttamente alla fonte.

Oggi invece, risposte così trancianti rischiano l’accusa di essere ispirate a una visione arcaica del contrasto tra maggioranza e opposizione. Sta diventando sempre più difficile affermare un riformismo di centrosinistra che non incorpori le ragioni dell’avversario. Ma è del tutto impossibile vedere un riformismo di centrodestra che adotti la stessa logica.

Mancino è contrario alla separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e inquirenti, ma si sente in dovere di proporre che la scelta dei reati di maggior rilievo sia fatta dal Parlamento. Ciò significa abolire l’obbligatorietà dell’azione penale sancita dalla Costituzione, ma per addolcire il colpo Mancino inventa un correttivo anche più pericoloso: sia necessaria una maggioranza allargata “almeno a una parte dell’opposizione”. Come dire: mettiamoci d’accordo, tra chi vuole, su quali reati trascurare. Si è troppo maliziosi a temere che tra questi ci siano quelli di natura corruttiva a danno dell’interesse pubblico? Magari collegati al finanziamento illecito dei partiti?

Violante propone di rafforzare l’attività della polizia giudiziaria, ma è il suo modo per dire che quella va sottratta al controllo del pubblico ministero. Si potrà stare più tranquilli con le indagini di polizia ricondotte sotto il controllo del ministero dell’Interno? Ma Violante non si ferma qui. Poiché secondo lui è necessario che “le toghe accettino di perdere qualcosa” propone un Consiglio superiore della magistratura in cui la magistratura stessa sia in minoranza. Motivo? Si deve porre rimedio alle “correnti” che infestano l’organo di autogoverno della magistratura. Ma si dovrebbe poi spiegare perché un numero maggiore di membri di nomina politica diminuirebbe la temuta politicizzazione.

In realtà è difficile sottrarsi al sospetto che ormai quasi tutta la politica, di maggioranza e opposizione, guardi alla magistratura come a un potere temibile da mettere sotto controllo. Altrimenti come spiegare l’accordo quasi generale sulla proposta barocca che vuole ben tre giudici per decidere un arresto? Tutti lamentano l’enorme arretrato accumulato dall’attività giudiziaria, ma invece di ridurne l’inefficienza non si trova niente di meglio che caricare i giudici di una nuova tripla incombenza. Avranno meno tempo per occuparsi d’altro.

Il controllo della magistratura il centrodestra l’ha teorizzato senza ipocrisie. Per loro la separazione classica tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario è ormai un vecchio arnese da mettere in soffitta. Il potere legislativo va ridotto a strumento esecutivo del governo. I poteri regionali e locali saranno aumentati, ma non è detto, dal federalismo. Per garantire l’unità nazionale ci sarà il presidenzialismo, basato sul rapporto plebiscitario e a senso unico tra presidente e popolo. La magistratura dovrà acconciarsi a processare gli immigrati arrestati dalla polizia e, ogni tanto, qualche mafioso di terzo livello.

Forse Violante guarda a un diverso orizzonte quando constata che “il quadro istituzionale sta cambiando”. Ma purtroppo l’unico che si vede venire avanti è proprio quello, opaco e insidioso. E in questo contesto il riformismo di centrosinistra può farsi accettare solo se è “coraggioso”. E’ questo l’eufemismo ormai dominante per indicare un riformismo che rinuncia alle proprie ragioni e adotta quelle dell’avversario. Ma questo dovere è tutto asimmetrico. La rinuncia tutta da una parte, il vantaggio tutto dall’altra. Eppure si potrebbero immaginare tante riforme “coraggiose” per il centrodestra: ridurre la libertà imprenditoriale di moltiplicare il lavoro precario, destinare le accise sul petrolio al finanziamento delle energie alternative, aumentare gli investimenti per la scuola pubblica, dare il diritto di voto agli immigrati che lavorano e mandano i figli a scuola, stabilire l’incompatibilità tra proprietà dei mezzi di comunicazione e esercizio del potere politico…

Questo articolo parla di:

archiviato sotto: