La vicenda del figlio di Di Pietro

di Pancho Pardi - 31/12/2008

Molti giornali mettono al centro dell’attenzione la vicenda di Cristiano Di Pietro. Il figlio del leader dell’Italia dei Valori, consigliere provinciale a Campobasso, compare in alcune intercettazioni telefoniche al margine dell’inchiesta sugli affari intercorsi tra l’imprenditore napoletano Romeo e vari rami della politica campana.

Non è indagato, ma il solo fatto che sia intercettato apre, a chi vuole trarne vantaggio, la possibilità di accomunare anche IdV nel calderone dei rapporti ambigui tra politica e affari. E magari di usare la posizione critica del figlio per indebolire il padre e IdV.

Il fatto avviene dopo settimane molto critiche per il centrosinistra. L’alleanza ha dovuto affrontare le elezioni abruzzesi in condizioni di aperta difficoltà a causa dell’inchiesta che aveva portato in prigione il presidente regionale Del Turco. Poi nel volgere di pochi giorni Toscana, Basilicata e Campania sono state messe a rumore da inchieste, separate e diverse tra loro, ma tutte accomunate dalla scoperta di rapporti oscuri tra politica e affari. In tutti i casi appaiono in primo piano persone di rilievo nell’ambito del Partito Democratico. La comparsa del figlio di Di Pietro ha dato la possibilità di coinvolgere anche IdV sullo stesso terreno. Possibilità addirittura anticipate da un’altra intercettazione in cui chi parla progetta apertamente di inventare qualcosa per ricattare Di Pietro.

Il presidente di IdV ha affrontato la questione con una logica molto diversa dalla difesa familistica. Ha detto che i magistrati non dovevano essere intralciati nella loro attività di indagine. E, allo stesso tempo, ha ritirato la presenza del partito dalle giunte in Campania. Scelte ispirate al principio di trasparenza.

Ieri, Cristiano Di Pietro, che sostiene di non aver fatto niente di illegittimo, ha ritenuto di uscire da IdV ed è confluito nel gruppo misto dell’assemblea elettiva provinciale. A conforto della sua scelta Stefano Passigli ha sostenuto sul Corriere che una raccomandazione non è necessariamente atto riprovevole e che talvolta, se si raccomandano persone meritevoli, può essere addirittura positivo. L’opinione può avere fondamento ma non mi sembra che tocchi la questione principale.

Poiché IdV si propone come il partito della trasparenza ritengo non solo utile ma necessario un confronto sereno e aperto sulla questione. Discuterne nel partito e nell’area sempre più larga di cittadini che hanno guardato e guardano oggi al partito come a qualcosa di più limpido nella politica italiana è essenziale per confortare e rafforzare questa opinione crescente. Su temi come questo la pluralità delle opinioni è assai preferibile all’unanimità.

Fatta salva la sincerità dell’intenzione di Cristiano Di Pietro di non far gravare la sua vicenda sul padre e su IdV, ritengo che non abbia scelto il modo migliore. In questo caso l’elemento che può imbarazzare non è che il figlio stia nello stesso partito del padre. E’ invece il fatto che il figlio, in quanto tale, possa aver usato in modo improprio il prestigio ricavato dalla sua condizione.

Naturalmente essere consigliere provinciale di IdV aggiunge una connotazione in più alla difficoltà che il padre e il partito devono fronteggiare. Ma non è con l’uscita dal partito che il figlio risolve la questione. In genere si esce dal partito solo per dissidi con il partito, e il trasferimento al gruppo misto discende dal riconoscimento di una rottura inevitabile. Non è affatto questo il caso. Perciò a mio avviso era assai più convincente la scelta di restare nel partito e invece dimettersi dalla carica di consigliere, ovvero dalla posizione ufficiale in cui si trovava nel momento in cui aveva adottato il comportamento che gli viene rimproverato.

I pezzi del mosaico non devono far perdere di vista il quadro d’insieme: il centrodestra vuole usare in modo spregiudicato le debolezze attuali del centrosinistra per attirare il PD sul terreno di una controriforma della giustizia. Lo scopo è limitare il controllo di legalità che la magistratura deve esercitare sulla politica. La Lega ha sostenuto a spada tratta la necessità del coinvolgimento dell’opposizione nel lavoro parlamentare sul federalismo fiscale. E per incoraggiarla faceva intendere di avere opinioni autonome sulla giustizia. Non sarebbe realistico temere che, una volta ottenuto il federalismo fiscale da sbandierare come propria vittoria, la Lega si adatti a seguire Berlusconi nell’offensiva contro l’autonomia della magistratura? Bossi si sta facendo convincere a rinunciare alle intercettazioni per i reati a danno della pubblica amministrazione. Perché l’opposizione dovrebbe fidarsi?

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