Mimmo Lucano è indubbiamente un giusto. Un uomo che ha messo l’umanità davanti alla legge, alle procedure, come altri prima di lui nella storia hanno fatto, pagando in prima persona. Mimmo Lucano invece è considerato un fuorilegge da questo Paese arido e dai soloni giustizialisti che confondono la legalità con la giustizia. La narrazione della vicenda di Riace si è riempita di giudizi sull’operato di un sindaco arrestato, nella Locride, non per ‘ndrangheta o per arricchimento personale, ma per non aver abbandonato la sua gente e per aver salvato dei migranti da un sistema burocratico criminale. Legale ma criminale. Leggendo l’ordinanza di arresto del gip, questa vicenda assume contorni molto più chiari di quanto certa stampa e certa cattiva politica vogliano far credere.

Scorrendo le 132 pagine che compongono l’ordinanza emerge infatti una imbarazzante condotta delle indagini da parte delle forze dell’ordine. Così come imbarazzanti appaiono le richieste del pm, con conclusioni basate su relazioni piene di errori o palesemente superficiali. Per tale ragione, dei tanti capi di imputazione chiesti, il gip ha accolto solo i due che riguardano il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e il fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. Entrambe le imputazioni, peraltro, mettono in evidenza la labilità dell’accusa, come dimostrano proprio le carte.

Nel primo caso parliamo di una violazione di legge, ossia i matrimoni di comodo, che però era l’unica strada possibile, in presenza di una normativa caina e ottusa, per evitare che dei migranti, con alle spalle anche storie difficili, potessero incorrere nell’espulsione dal nostro Paese e, quindi, di fatto rimanere senza alcuna tutela, alla mercé di sfruttatori e criminali. Nel secondo caso, la questione è l’affidamento a due cooperative sociali non iscritte all’apposito albo regionale e quindi non idonee a ottenere la possibilità di stipulare convenzioni in deroga alla legge sugli appalti.

Un’azione giustificata dalla necessità di affidare la gestione dei rifiuti a realtà locali, conosciute e trasparenti, in grado di dare lavoro a soggetti disagiati, italiani e stranieri, in una terra, come la Calabria e in particolare la Locride, in cui sulla gestione dei rifiuti ci sono solitamente le mire e il controllo delle ‘ndrine e del malaffare. Parliamo dunque di due reati che hanno non una finalità fraudolenta o criminale, ma semplicemente rientrano nella necessità di difendere il futuro di un territorio, il suo modello virtuoso e la dignità delle persone più svantaggiate. Il resto delle accuse muore invece nell’assurda modalità di indagine, negli errori grossolani, nelle supposizioni basate su affermazioni di colpevolezza non suffragate da prove.

Un esempio eclatante è costituito dalle accuse legate agli errori di rendicontazione e ad alcune forzature contabili che però, a detta del gip, non corrispondono a dimostrate acquisizioni di denaro per fini personali. Nella gestione dello Sprar e del Cas, ad esempio, così come nel caso di altri introiti delle cooperative interessate, non vi sono prove che quei soldi, gestiti attraverso una contabilità un po‘ raffazzonata, non siano stati poi spesi per tutte le attività e i servizi di un modello di accoglienza che, infatti, funzionava perfettamente. Siamo quindi davanti a congetture, ipotesi, conclusioni carenti di prove. Ecco perché questa vicenda assume un contorno preoccupante.

In molti si chiedono se ci sia dietro un disegno politico, figlio di un clima peggiorato con l’avvento di Salvini al governo: non è possibile rispondere con certezza, ma è meglio continuare a pensare che non sia così. Perché, osservando il periodo nel quale sono iniziate le indagini e leggendo le intercettazioni, si intuisce come tutto ciò sia precedente al 4 marzo. Nei testi delle intercettazioni, ad esempio, non di rado Mimmo Lucano lamenta le storture normative derivanti dalle azioni dell’ex ministro Minniti, che costringevano a violare le regole pur di salvare delle vite umane da un destino nuovamente tragico e di esclusione.

E non è un caso che, di fronte alla vicenda Riace, proprio la parte politica del ministro Minniti non abbia speso una parola a sostegno di un sindaco che si è più volte autodenunciato per accendere i riflettori su un regime di violazione dei diritti degli esseri umani che anche il governo precedente ha messo vergognosamente in atto.

Al di là della politica, però, quello che lascia perplessi è l’atteggiamento del procuratore di Locri, Luigi D’Alessio, un atteggiamento incomprensibile e contraddittorio. Se è vero, come egli sostiene, che non vi è accanimento ma esclusivamente una esigenza irrinunciabile di tutela di un principio di legalità, come mai allora l’azione della procura non si svolge esclusivamente nell’ambito giudiziario, attraverso il ricorso presentato contro le decisioni del gip e nulla più? Per quale ragione il procuratore D’Alessio ha invece ritenuto necessario farsi intervistare sulla stampa, lanciando accuse gravissime nei confronti di Lucano e lasciandosi andare ad affermazioni perentorie sulla certezza di prove a carico del sindaco, nonostante il gip abbia già respinto e negato la fondatezza di quelle accuse nella sua ordinanza di custodia cautelare?

Qual è dunque l’obiettivo del procuratore? Non è possibile pensare che un magistrato della sua esperienza possa aver bisogno di pubblicità accusando, in una terra infettata dalla‘ndrangheta, un sindaco che ha violato delle procedure esclusivamente per perseguire finalità virtuose. Non è nemmeno ipotizzabile che la magistratura, come qualcuno pensa, possa essere diretta dall’alto o possa agire per soddisfare e ingraziarsi una parte politica. Semplicemente si può affermare che il procuratore stia commettendo degli errori e stia sbagliando a insistere su una tesi costruita in maniera superficiale e con diversi errori, come sostiene il gip in più passaggi e come si evince dalla lettura delle carte.

Ancor di più sta sbagliando nel portare sui media quelle che, allo stato attuale, sono solo considerazioni e congetture e non accuse provate e confermate dal gip. Lo stesso gip che, peraltro, ha negato il rischio di inquinamento delle prove e del pericolo di fuga, ma ha disposto la custodia di Lucano agli arresti domiciliari perché ritiene possibile la reiterazione del reato, ossia la cosa forse più improbabile per chi viene messo alla gogna e attrae su di sé e sul suo operato l’attenzione mondiale.

Insomma, di tutta questa vicenda, ricca di contraddizioni e sospetti, di polemiche politiche e di interessi mirati a vedere finito un modello che è simbolo di una alternativa possibile e virtuosa, la cosa più bella sono le parole di Mimmo Lucano affidate a una lettera. E naturalmente la reazione di tanta gente che, in tutta Italia (e non solo), ha scelto di testimoniare vicinanza a Lucano ed è scesa in piazza a Riace e in tante città per difendere il suo operato, la sua lotta e il suo modello di accoglienza, integrazione e rinascita che mette a nudo l’idiozia di certe leggi e della politica che le ha prodotte e ulteriormente peggiorate. Quella stessa politica arrogante, sguaiata o vergognosamente silenziosa, che è evidentemente frustrata e irritata dalla propria incapacità, in tutti questi anni, di rendere quello di Riace un modello condiviso e diffuso in tutto il Paese.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org