8 marzo, ma cosa c’è di nuovo da festeggiare?

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 08/03/2016

Anche quest’anno siamo qui a cercare di dare un senso a una festa che sempre di più sembra il frutto di un crudele, maligno scherzo, un escamotage per vendere fiori e cioccolatini, una ricorrenza gestita ormai giusto dalle aziende del settore dolciario. I dati dell’Istat ( che qui alleghiamo in coda all’articolo) ci parlano di ben altro, sono numeri che parlano di troppe donne uccise dai loro uomini: mariti, amanti, fidanzati, sia ex che in carica, ma anche padri, fratelli, figli… donne che subiscono in silenzio, o quando si ribellano vengono uccise, o sfigurata dall’acido, senza che le istituzioni e le forze di polizia possano tutelarle. Donne che sono comunque sempre sole davanti alla propria condizione di dolore e di violenza. Mancano leggi rigide, punizioni severe, strutture pubbliche che accolgano e proteggano le donne minacciate e in difficoltà.

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Evidentemente non stiamo parlando solo del mondo musulmano: purtroppo anche le cronache nostrane si stanno riempiendo di quelli che ormai vengono definiti “femminicidi”.

In questi anni ci sono state delle bellissime iniziative: vi ricordate “Se non ora, quando?” e le scarpe rosse sui marciapiedi di mezzo mondo e i concerti e le danze nelle strade? Ma poi che facevano le donne che numerose partecipavano alle manifestazioni, quando tornavano a casa? Molte tornavano a essere sottomesse ai loro uomini, rinunciatarie, incapaci di farsi valere, di tirar fuori la grinta, di rispettare sé stesse.

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Non basta denunciare lo stato di malessere e di violenza che ormai ha minato una società degradata e immiserita, in cui manca il lavoro e quando c’è si segnala una  netta discriminazione economica di genere, non c’è futuro per i giovani, una società in cui la scuola e la sanità pubbliche vengono sistematicamente smantellate, in cui per salvare le banche si spremono come limoni i cittadini, in cui non c’è la certezza della legalità, il rispetto dei diritti ed è sotto gli occhi di tutti la corruzione della politica, i privilegi di una casta putrida e oscena, abituata a rubare e a lucrare su tutto. E’ ovvio che  le tensioni sociali crescano e si scarichino - sia in ambito sociale che familiare - sui più deboli: poveri, vecchi, bambini e donne.

Per questo sono sorti i centri antiviolenza: in Italia i primi Centri sono nati solo alla fine degli anni novanta, ad opera di associazioni di donne provenienti dal movimento delle donne, tra cui la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna e la Casa delle donne maltrattate di Milano. Ad oggi sono varie le organizzazioni che lavorano sui vari tipi di violenza di genere. I Centri antiviolenza in Italia si sono riuniti nella Rete nazionale dei Centri antiviolenza e delle Case delle donne. Nel 2008 è nata una federazione nazionale che riunisce 58 Centri antiviolenza in tutta Italia dal nome "D.i.Re: Donne in Rete contro la violenza alle donne".

In questo link potete trovare tutti i siti, regione per regione: http://www.casadelledonne-bs.it/elenco-centri-associazioni-antiviolenza/

 

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Ma dobbiamo essere consapevoli che molto dipende anche da noi e che la rieducazione della società deve cominciare in famiglia, soprattutto dalle mamme di figli maschi, che troppo spesso educano i loro figli in modo sbagliato, inculcando diffidenza e disprezzo nei confronti delle altre donne, o trattando in modo discriminatorio le figlie femmine rispetto ai figli maschi.

Siamo noi che li portiamo in grembo, che li mettiamo al mondo, che li cresciamo, che li amiamo e li educhiamo: facciamone degli uomini veri, gentili e rispettosi di tutte le donne.

 

Barbara Fois

 

Link istat:

http://www.istat.it/it/files/2015/06/Violenze_contro_le_donne.pdf?title=Violenza+contro+le+donne+-+05%2Fgiu%2F2015+-+Testo+integrale.pdf

 

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