Con chi sciopera il 5 maggio

di Andrea Bagni - da E'cole - 05/05/2015

Ma con chi ce l’hanno questi insegnanti? Come mai sempre così arrabbiati, non è evidente che è tutto un disastro la scuola e qualcosa bisogna fare? Non sarà che difendono solo i loro privilegi?

Sì, c’è un privilegio che le donne e gli uomini che insegnano difendono. Il senso del loro lavoro, la qualità del sapere e del luogo in cui vivono. La bellezza del lavorare con bambine e bambini, ragazze e ragazzi. La bellezza e la fatica – perché anche certa fatica è un privilegio. Ti fa stare in contatto con il mondo, vicino ai suoi inizi, all’infanzia, all’adolescenza. Ti fa essere dentro le cose, le conoscenze e i sentimenti, non fuori o sopra. Difendono lo stare insieme ai giovani intorno ai banchi a cercare di capire, a costruire le forme del sapere, quelle che danno una possibilità e un significato al vivere insieme. Anche se fuori fa sempre più freddo e la solitudine, il desiderio di affidarsi e di obbedire, dominano. Sono l’altra faccia della miseria culturale in cui siamo immersi.

Di quella miseria il governo Renzi è ormai il massimo rappresentante.

Non uno straccio di idea di che cosa insegnare, come, perché e per chi. Nessuna attenzione alla qualità specifica del lavoro e della vita nella scuola.

Non c’è un centesimo veramente in più per la scuola pubblica. Gli stipendi sono bloccati da quasi dieci anni. Non vengono immessi in ruolo neppure tutti quei precari che già lavorano da una vita e hanno visto  riconosciuto dall’Europa il loro diritto. Anzi alcuni non potranno più lavorare affinché non acquisiscano quel diritto. Il sapere è solo una spesa, la pubblica istruzione un pezzo dell’odiato stato da ridurre: finanziamenti e risorse vadano alle scuole private, dove si lavora solo se si è d’accordo con il datore di lavoro – o della stessa religione.

Perché questo conta. Che decida tutto Uno. E che nessuno gli remi contro, come si diceva nel ventennio precedente. Toccherà al Dirigente scegliere gli insegnanti, magari fra quelle/i che conosce, premiarli con più soldi se gli vanno bene, decidere se possono restare o devono andarsene. Tutte e tutti dovranno adeguarsi se vogliono evitare problemi. Anche la libertà di insegnamento è un privilegio, essere lavoratori dipendenti ma non subordinati. In quale fabbrica, in quale azienda, si gode di libertà nel lavoro? Già lo respirano nell’aria i nostri studenti: per lavorare non conta la conoscenza, contano le conoscenze. Tutti dovranno essere subordinati al Dirigente, sottoposti al suo giudizio.

Ma come, gli insegnanti che passano il tempo a dare voti temono di essere a loro volta valutati, hanno paura del giudizio di un Dirigente?

Sì, proprio così.

Proprio perché sanno bene che vuol dire valutare. Come sia complicato il mondo del ragazzo o della ragazza che si giudica, quante variabili entrino in quella relazione di classe. Quanto lo stesso insegnante sia coinvolto sempre in quel rapporto. Soggettivamente, emotivamente.

E sanno come la comunità scolastica possa essere distrutta da gerarchie e premi se non sono vissuti come legittimi e condivisi. Se non è la comunità stessa che riconosce autorità e ruoli, all’interno di una relazione che resta di collaborazione, non di miserabile competizione per qualche euro in più. Non c’è professionalità nella scuola se non c’è discussione, confronto, ricerca comune.

E non si tratta solo di scuola, è tutta la democrazia così. Fatta di relazioni e tessuto politico diffuso. Certo è più facile far decidere tutto a un leader sorridente e poi magari comprare un altro prodotto elettorale fra cinque anni. Ma è mercato, commercio di slide e volti – non democrazia. Quella chiede impegno personale.

La scuola avrebbe certo bisogno di interventi, ma per dare aiuto, un po’ di spazio e voce a chi cerca di inventarsi tutti i giorni qualcosa che funzioni, che coinvolga, che sia aperto alle domande e ai dubbi, ai desideri di ragazze e ragazzi. Avrebbe bisogno di moltiplicare i luoghi di confronto e discussione sul proprio lavoro. Che altrimenti resta sempre più isolato, quasi privato. Per ricostruire un po’ di fiducia, un po’ di entusiasmo, che non sia solo il ritagliarsi in classe uno spazio decente o addirittura felice di sopravvivenza. Nessuno si salva da solo.

È per questa scuola che noi di école siamo con chi sciopera il 5 maggio. Per un lavoro a cui teniamo. Per i bambini e le bambine che come insegnanti aiutiamo a crescere. Per le ragazze e i ragazzi che abbiamo tutti i giorni di fronte. Che ci mettono in crisi spesso. Ci chiedono di credere in quello che facciamo, di assumercene la responsabilità.

E noi ce le assumiamo le nostre responsabilità. Perfino con una certa gioia. Ma solo le nostre.

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