E se votassimo domani?

di Francesco Baicchi - 15/01/2014
Quale sarà il ventaglio delle alternative che sarà proposto a quella vasta area di elettorato che finora ha scelto l’astensione o il voto di protesta e può essere determinante per la formazione di un governo migliore?

Nonostante l’accordo che pare sia stato stipulato fra Napolitano e Renzi sulla sopravvivenza del governo Letta-Alfano almeno fino al 2015, credo sia piuttosto difficile trovare qualcuno disposto a scommettere sul completamento naturale della legislatura. Troppi sono gli elementi che lo rendono quanto meno improbabile: le vicende interne al PD, l’assurdità di un’alleanza fra forze politiche da sempre avversarie (almeno le loro basi …) e la oggettiva debolezza di Alfano, il profilo veramente basso di buona parte dei suoi componenti, la assoluta mancanza di idee e strategie (forse dovuta ai troppi debiti da saldare con aree solidamente conservatrici del Paese), e la conseguente impossibilità di assumere provvedimenti efficaci per uscire dalla crisi.

La motivazione in genere accettata per la sopravvivenza di un esecutivo così discusso è legata al semestre italiano di presidenza UE, ma anche su questo sarebbe il caso di riflettere. Se, come molti affermano, dovremmo spingere per una revisione dei meccanismi comunitari e un deciso passo avanti verso una unità vera e non pensata solo per il mondo della finanza e della speculazione, alla presidenza sarebbe meglio non andasse l’ennesimo personaggio legato a Bilderberg e Trilaterale, impastoiato a casa propria da una maggioranza divisa su quasi tutto.

E proprio il fatto che per impedirne il crollo sia necessario un accordo che aggira completamente il Parlamento, e si pone quindi fuori dalla Costituzione, è una ulteriore dimostrazione della fragilità dell’attuale esecutivo.

Ma la caduta del governo Letta-Alfano porterebbe quasi inevitabilmente al voto.

Infatti, anche se la stessa sentenza dichiara nel pieno dei propri poteri il Parlamento in carica (e quindi validi i provvedimenti che assume), non ci sono dubbi sulla sua illegittimità democratica

(“Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono … tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost”).

Inoltre la pubblicazione della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha bocciato il ‘porcellum’ esclude esplicitamente che ci siano ostacoli allo scioglimento immediato delle Camere da parte di Napolitano, dichiarando perfettamente valida la legge elettorale che residua dopo la abolizione delle parti incostituzionali (“la normativa che rimane in vigore stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l’attribuzione di tutti i seggi”).

Non a caso Matteo Renzi sta, almeno sembra, forzando i tempi per l’approvazione di una nuova legge elettorale che eviti il rischio (per lui) di votare con un sistema proporzionale, veramente rispondente all’orientamento originario della Costituente.

Anche se la sentenza della Corte, con le sue dettagliatissime motivazioni, indica una serie di ‘paletti’ cui non sarà possibile sfuggire, imponendo di mantenere entro dimensioni ragionevoli la distorsione che può essere apportata dalla applicazione di meccanismi premiali e la presenza di un rapporto diretto fra elettori ed eletti che ridimensiona il ruolo delle segreterie dei partiti (tali disposizioni- quelle annullate NdR- non consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione e la collocazione in lista di tutti i candidati, renderebbero il voto sostanzialmente “indiretto”, posto che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori”).

e’ dunque comunque lecito pensare che presto torneremo a votare e, anche se non sappiamo con quale legge elettorale, forse dovremmo chiederci in quale scenario. Soprattutto quale sarà il ventaglio delle alternative che sarà proposto in particolare a quella vasta area di elettorato che finora ha scelto l’astensione o il voto di protesta e può essere determinante per la formazione di un governo migliore.

Finora infatti il grande mondo dell’ambientalismo (quello vero), dei beni comuni, dei referendum sull’acqua e il nucleare, e anche della difesa della Costituzione, della Magistratura e del sistema parlamentare riesce difficilmente a riconoscersi nelle forze che si sono divise il consenso elettorale nel febbraio scorso e che hanno dimostrato una sostanziale indifferenza rispetto alla volontà espressa dagli elettori.

Eppure è proprio da questo arcipelago di associazioni, movimenti, reti e circoli locali che potrebbe nascere un nuovo modello di politica in grado di superare anni di inciuci e corruzione e di recuperare quel rapporto di fiducia nelle istituzioni democratiche che rischiamo di vedere cancellato definitivamente se, ancora una volta, verranno presentate le solite facce di quanti, qualunque sia la loro età, in questi ultimi decenni, hanno portato il nostro Paese alla situazione attuale.

Certo che, proprio perché si tratta di un arcipelago, sarebbe assurdo pensare a una coincidenza di posizioni su tutti i temi e alla costituzione di un ‘soggetto politico’ tradizionale, ma non dovrebbe essere utopistica l’idea di una generale confluenza su una piattaforma centrata sulla volontà di restituire una dimensione etica anche al confronto delle idee diverse, sulla conferma dei principi di solidarietà sociale, giustizia, libertà di espressione e democrazia reale su cui è nata la nostra Repubblica, e sulla ricerca e sperimentazione di forme di coinvolgimento nei processi decisionali che in genere sono definite ‘democrazia partecipativa’.

Quella che troppo superficialmente viene bollata come ‘antipolitica’ è spesso il rifiuto di una corporazione che (cronaca di questi giorni) conferma a un personaggio come Fiorito il vitalizio a carico delle finanze regionali, o giustifica atteggiamenti mafiosi come quelli della DeGirolamo. Solo per citare gli esempi più recenti.

L’alternativa non deve però essere cercata nei soli dati anagrafici, ma in una nuova dimensione dell’impegno politico e della responsabilità civica che corrisponda al modello di cittadino su cui si verificò la convergenza nella Costituente.

Non abbiamo bisogno di unanimismi e ‘larghe coalizioni’, ma di rispetto reciproco e di meccanismi decisionali democratici. Ma il rispetto occorre meritarselo. Una ‘casta’ che si difende corporativamente dalla Magistratura, e invece di fare pulizia in casa propria punta a ridurre l’indipendenza dei giudici non merita rispetto.

Siamo ancora in tempo a scongiurare il rischio di dover votare ancora una volta non ‘per’ qualcuno, ma solo ‘contro’; a condizione di non aspettare passivamente.

 

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