Giornalisti di regime

di Francesco Baicchi - 20/02/2017

L'infimo livello etico raggiunto da una buona parte della stampa italiana, e in particolare da alcuni giornalisti 'da parata' perennemente presenti sugli schermi televisivi, è dimostrato (se ce ne fosse bisogno) dal corale tentativo di nascondere le reali motivazioni della attuale crisi del PD.

C'è chi si limita a parlare di 'questione di date', altri di 'protagonismi personali' (che indubbiamente ci sono, anche), eccetera.

Perché non analizzare invece il tentativo renziano, per troppo tempo tollerato anche dagli attuali dissidenti, di spostare un partito, già assai moderatamente di centro-sinistra, su posizioni di difesa acritica degli interessi confindustriali e finanziari, e di cooptare personaggi che molto diplomaticamente possiamo definire 'discutibili'?

Come è possibile ignorare il pesante taglio dei diritti dei lavoratori (compresi i piccoli auto-imprenditori) e l'allargamento dell'area della precarietà rappresentato dal Jobs act e dalla favola dei contratti 'a tutele crescenti', perfettamente coerente con la cancellazione dell'art. 18?

E la 'copertura' dei criminali che stanno distruggendo il nostro sistema bancario e i risparmi di tanti italiani?

L'elenco è lungo e sin troppo noto, e dovrebbe essere accompagnato anche dalla valutazione delle conseguenze disastrose sul piano sociale e economico di queste scelte, ma non può che concludersi col tentativo di stravolgere il nostro sistema istituzionale con modifiche costituzionali di taglio accentratore e autoritario e con una legge elettorale assurda, che metterebbe il Paese nelle mani di ristretti gruppi di cortigiani del leader del partito vincente, anche se rappresentativo di una limitata minoranza di elettori.

Alla sconfessione di queste politiche da parte di una larga maggioranza di italiane e italiani nelle uniche occasioni possibili (elezioni regionali prima e referendum del 4 dicembre poi) e perfino da parte di una Corte Costituzionale ampiamente 'normalizzata' che non ha potuto non ritoccare l'italicum, il capo del governo e del partito (illegittimamente) maggioritario ha reagito con arroganza e rifiutandosi di ascoltare i dissensi nonostante la continua perdita di consensi, compensata solo in parte dall'acquisto di voti sul mercato del sottogoverno.

Certo questa situazione può essere cavalcata da qualcuno anche per ambizione personale, ma il confronto con l'organigramma renziano, anche nelle sue componenti giovanilistiche, rimarrebbe comunque ampiamente a favore dei dissenzienti, e figure come quella di Emiliano riscattano la presenza di politici di lungo corso.

Solo giornalisti 'di regime' possono negare che questo dissenso politico di fondo può ragionevolmente giustificare una profonda crisi interna, che può arrivare alla scissione se il gruppo dominante (termine non casuale) del partito intende continuare a imporre la sua volontà.

E soprattutto ignorare che un chiarimento radicale della posizione e dei reali programmi politici del PD costituirebbe un essenziale contributo alla chiarezza del quadro politico e alla sua comprensibilità da parte degli elettori e delle elettrici.

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