Perché maggioritario?

di Francesco Baicchi - 18/12/2013
La sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittime alcune parti della cosiddetta ‘legge Calderoli’ (più nota come porcellum) ha imposto l’accelerazione del confronto sui sistemi elettorali, che si trascina da anni.

Arriva così finalmente a scadenza una vicenda che ha generato forti dubbi sulla reale volontà delle forze politiche di porre rimedio a una situazione la cui irregolarità è nota da tempo.

In presenza della possibilità di un rapido ritorno al voto (ipotesi non remota vista la perenne precarietà dell’attuale governo) il Presidente Napolitano ha addirittura escluso, non è chiaro in base a quale norma costituzionale, l’utilizzabilità del metodo proporzionale quale risulta dalle cancellazioni operate dalla Corte.  
Sembra così prevalere lo schieramento favorevole a un mantenimento del sistema maggioritario. La formula nasconde però malamente la volontà di forzare il quadro politico verso un vero e proprio bipartitismo obbligato.
I sostenitori del maggioritario si richiamano spesso alle esperienze di altri Paesi, anche a noi vicini, non riuscendo però a cancellare le forti perplessità sulla applicabilità di tali modelli alla situazione italiana.
A favore vengono citate la immediata individuazione dei vincitori, la successiva stabilità del governo conseguente e la possibilità di una chiara alternanza fra schieramenti opposti.
In realtà la stabilità, come dimostrano le nostre vicende recenti, è tutt’altro che certa: il maggioritario, a maggior ragione se con premio ‘di maggioranza’, spinge alla formazione di coalizioni ampie e non omogenee, nelle quali anche piccoli gruppi parlamentari possono detenere un forte potere di ricatto. La sovra-rappresentazione della Lega a livello regionale è il migliore esempio di questa stortura.

Inoltre riservando sostanzialmente l’accesso alle Assemblee legislative ai due primi soggetti (o alle prime due coalizioni), si ottiene una semplificazione forzata del quadro politico, ostacolando anche la nascita di nuove formazioni, che potrebbero invece assumere la rappresentanza della crescente area di sfiducia nei partiti esistenti, che attualmente si esprime con l’astensionismo.

Anche sul concetto di ’alternanza’ è forse bene riflettere.
L’alternanza è normale nei Paesi in cui il confronto avviene fra due o più soggetti che si diversificano sul piano programmatico, ma si riconoscono nello stesso sistema istituzionale. Negli USA, in Francia o nel Regno Unito il passaggio della responsabilità di governo fra partiti alternativi non mette in dubbio né la struttura delle Istituzioni statali, né i principi di fondo su cui si basa la convivenza civile.                                                                 
La situazione italiana è notoriamente diversa, perché con l’ingresso sulla scena politica, all’inizio degli anni ’90, di una formazione come Forza Italia, ‘padronale’ e estranea al patto costituzionale dl 1948, sono stati sostanzialmente messi in discussione alcuni fondamenti stessi del metodo democratico: il  sistema parlamentare rappresentativo e la ricerca del massimo consenso, la separazione dei ‘poteri’ e l’autonomia della Magistratura, l’ uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, la preminenza e ineludibilità della Costituzione come fonte del diritto.     

Si è aperta così una fase di disordine istituzionale caratterizzata da continue violazioni delle ‘regole del gioco’, piegate di volta in volta alle esigenze delle forze politiche. Basta pensare allo scivolamento verso il presidenzialismo, con la presenza sulla scheda elettorale del nome del ‘capo coalizione’, che prefigura un vincolo all’autonomia garantita dall’articolo 92 al Presidente della Repubblica nella scelta della persona cui affidare l’incarico di formare il governo. Oppure al progressivo trasferimento del potere di proposta legislativa dal Parlamento al Governo, evidenziato dalla prevalenza dei decreti e delle proposte di legge governative rispetto ai ddl che hanno origine in una delle due Camere. O ancora ai ripetuti tentativi di comprimere l’autonomia della Magistratura e l’obbligatorietà dell’azione penale.

Ma ben più grave di questi aspetti formali è stata la sistematica contestazione mossa (non solo dai sostenitori di Berlusconi) agli obiettivi attribuiti allo Stato dal secondo comma dell’articolo 3 (“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli …” ), messi in dubbio dalla approvazione di leggi ad personam (uguaglianza dei cittadini davanti alla legge),  dalla compressione di diritti personali fondati sulla solidarietà sociale, dalla negazione dell’obbligo di partecipazione ai costi della struttura statale mediante un prelievo fiscale progressivo, ecc...

In una tale situazione l’introduzione di un sistema maggioritario che punti a garantire maggioranze blindate per l’intera legislatura, unita alla possibile cancellazione (le riforme!!) dell’indipendenza degli organi di garanzia finirebbero con il sottrarre l’Esecutivo al confronto  parlamentare e alle altre forme di controllo previste dalla Costituzione,con il definitivo stravolgimento del nostro modello istituzionale democratico, senza possibilità di ritorno all’assetto precedente. Altro che ‘alternanza’.
Non può essere infine trascurata, fra le conseguenze del tentativo di imporre il maggioritario già in atto, la progressiva disaffezione degli elettori. La legge elettorale non può essere considerata solo lo strumento mediante il quale si consegna a una parte politica un potere quasi assoluto, ma piuttosto lo strumento che consente ai cittadini di concretizzare quel ruolo attivo che viene loro assegnato dal primo articolo della Costituzione (“…La sovranità appartiene al popolo …”). La mancata partecipazione al voto e la conseguente limitata rappresentatività degli eletti costituiscono il maggiore fallimento del modello democratico.

La sentenza della Corte Costituzionale potrebbe consentire l’apertura di un dibattito che, per la natura assolutamente politica dell’argomento, non può essere affidato ai ‘tecnici’, ma deve prendere l’avvio dalla ricerca di un accordo proprio sui compiti che si intende affidare al sistema elettorale e, prima ancora, dalla volontà o meno di confermare quei principi di giustizia, solidarietà, eguaglianza per la cui realizzazione la Costituzione è stata mirabilmente equilibrata. Dare per scontata la scelta maggioritaria costituirebbe un errore imperdonabile.
La Costituzione affida ai cittadini la sovranità: pretendiamo di esercitarla, così come pretendiamo che i principi costituzionali vengano realizzati e non stravolti.

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