Berlusconi vuole il presidenzialismo come il compimento della sua biografia personale. Non si accontenta di avere in pugno due poteri su tre. Dopo aver asservito il Parlamento al governo, pretende ora che evapori l'autonomia della magistratura. Dice che la riforma della giustizia è pronta e sarà battezzata al primo Consiglio dei ministri del 2009. Anticipa quel che ci sarà scritto: i pubblici ministeri se le scordino le indagini. Diventeranno lavoro esclusivo delle polizie subalterne al ministro dell'Interno, quindi affar suo che governa in nome del popolo. I pubblici ministeri, ammonisce, diventeranno soltanto "avvocati dell'accusa". Andranno in aula "con il cappello in mano" davanti al giudice a rappresentare come notai, o come burocrati più o meno sapienti, le ragioni del poliziotto. Dunque, del governo. Con un colpo solo, si liquidano l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione, "Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge"); l'indipendenza della magistratura (art. 104, "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere"); l'unicità dell'ordine giudiziario (art. 107, "I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni"); l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale"); la dipendenza della polizia giudiziaria dal pm (art. 109, "L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria").
Soltanto un effetto autoinibitorio può impedire di udire, nelle "novità" di Berlusconi, una vibrazione conosciuta e cupissima. Anche a rischio di indispettire il suo alleato decisivo (Bossi), il mago di Arcore rimuove ? per il momento ? il federalismo dalle priorità del 2009 per rilanciare il castigo delle toghe e la nascita della repubblica presidenziale. Sarà un gaffeur o un arrogante, sarà per ingenuità o per superbia, Berlusconi propone la necessità di una riforma costituzionale con le stesse parole - e per le stesse ragioni - di Licio Gelli. Se non lo si ricorda, davvero "le memorie deperiscono e i fatti fluttuano", come ripete nel deserto Franco Cordero.
Appena il 4 dicembre il "maestro venerabile" della P2, intervistato da Klaus Davi, ha detto: "Nel mio piano di rinascita prevedevo la creazione di una repubblica presidenziale, perché dà più responsabilità e potere a chi guida il Paese, cosa che nella repubblica parlamentare manca". Berlusconi, 20 dicembre: "Sono convinto che il presidenzialismo sia la formula costituzionale che può portare al migliore risultato per il governo del paese. L'architettura attuale non permette di prendere decisioni tempestive e non dà poteri al premier".
Fa venire freddo alle ossa il farfuglio dell'opposizione di fronte a questo funesto programma da realizzare presto (si annotano soltanto parole che dicono d'altro). E' un silenzio che lascia temere o lo stato confusionale di opposizioni ormai assuefatte al peggio o un'altra letale tentazione di quella commedia bicamerale che, senza sfiorare il conflitto di interessi, concesse al mago di Arcore l'impero mediatico e, in nome del primato della politica sulla giustizia, la vendetta sulla magistratura. Dio non voglia che, con il prepotente ritorno al proscenio di qualche campione di quel tempo, la stagione si rinnovi. In una giornata di sconcerto, sono così un balsamo le parole di Giuseppe Dossetti, padre della Costituzione e dello Stato poi fattosi monaco (le ha ricordate ieri Filippo Ceccarelli). Vale la pena tornarci ancora su.
In memoria del suo grande amico Giuseppe Lazzati, e in coincidenza della prima vittoria delle destre, Dossetti pronuncia un discorso famoso. Il titolo lo ricava da un salmo di Isaia (21,11) "Sentinella, quanto resta della notte?". In quei giorni del 1994, egli vede affiorare un male diagnosticato con molti anni di anticipo: la supremazia di una concezione individualistica, in cui il diritto costituzionale regredisce a diritto commerciale (il primato del contratto, l'eclissi del patto di fedeltà); il dissolversi di ogni legame comunitario, mascherato dietro l'appello al "federalismo" (il "politico" diventa pura contrattazione economica); il rifiuto esplicito di una responsabilità collettiva in ordine alla promozione del bene comune (la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole sino alla riduzione al singolo individuo). Non si può sperare, dice Dossetti e parla ai cattolici, che si possa uscire dalla "nostra notte" "rinunziando a un giudizio severo nei confronti dell'attuale governo in cambio di un atteggiamento rispettoso verso la Chiesa o di una qualche concessione accattivante in questo o quel campo (la politica familiare, la politica scolastica)".
Dossetti non nega la necessità di cambiamenti. Elenca: riforma della pubblica amministrazione; contrasto alle degenerazioni dello Stato sociale; lotta alla criminalità organizzata; valorizzazione della piccola e media imprenditoria; riforma del bicameralismo; promozione delle autonomie locali. Teme però riforme costituzionali ispirate da uno "spirito di sopraffazione e di rapina". "C'è ? avverte ? una soglia che deve essere rispettata in modo assoluto. Questa soglia sarebbe oltrepassata da ogni modificazione che si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici, sociali previsti dalla Costituzione. E così va pure ripetuto per una qualunque soluzione che intaccasse il principio della divisione e dell'equilibrio dei poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario, cioè per l'avvio, che potrebbe essere irreversibile, di un potenziamento dell'esecutivo ai danni del legislativo ancorché fosse realizzato attraverso referendum che potrebbero trasformarsi in forma di plebiscito".
I referendum, segnati da "una forte emotività imperniata su una figura di grande seduttore", possono trasformarsi infatti "da legittimo mezzo di democrazia diretta in un consenso artefatto e irrazionale che appunto dà luogo a una forma non più referendaria ma plebiscitaria". Il "padre costituente" denuncia senza sofismi quel che vede dietro la "trasformazione di una grande casa economico-finanziaria in Signoria politica". Vede la nascita, "attraverso la manipolazione mediatica dell'opinione", di "un principato più o meno illuminato, con coreografia medicea". Dossetti chiede allora ai cristiani di "riconoscere la notte per notte" e di opporre "un rifiuto cristiano" ritenendo che "non ci sia possibilità per le coscienze cristiane di nessuna trattativa".
Nessuna trattativa. Per trovare queste parole che aiutano a sperare ancora in una via diurna, si deve ricordare Dossetti. Dove sono le "sentinelle" a cui si può chiedere oggi: "Quanto resta della notte"?
Dovremmo aver imparato in questi quindici anni che, nonostante l'abitudine alla menzogna, Berlusconi non nasconde mai i suoi appetiti. Il sermone di fine anno ci ricorda che la sua bulimia non conosce argini.