Perché le uscite del ministro Claudio Scajola sul nucleare sono allarmanti? Non certo per il pericolo che venga realmente avviata la costruzione di centrali nucleari sul suolo patrio: francamente credo che di questo nessuno debba preoccuparsi, perché e assolutamente irrealistico. Il problema sta piuttosto nell’uso strumentale delle più bieche mistificazioni che questo governo fa e continuerà a fare, sui messaggi fuorvianti e obliqui. Ma che in molti casi troveranno una sponda nell’area del PD, alimentando una nobile gara già avviata da tempo: come già ieri veniva detto che il famigerato pacchetto sulla sicurezza è stato copiato da quello in preparazione da parte del governo Prodi.
Che senso hanno dunque queste «scajolate» nucleari? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, dipanando una matassa che è intricata in parte per la complessità del problema, in parte per il ritardo che oggi scontiamo, e che ha lasciato il campo alle mistificazioni della lobby filo nucleare e alle mire dell’industria energetica. Cercherò di procedere con ordine: una mia analisi più organica ed esaustiva è pubblicata sulla rivista di Medicina Democratica. 1.
Parole in libertà
Cominciamo da noi, per chiarire subito alcuni aspetti elementari, che stanno a monte dei roboanti programmi nucleari e delle mitiche [vedremo che è proprio così] centrali di 4a generazione. Non è neppure lontanamente pensabile che almeno per la prossima decina di anni si possa avviare la costruzione di centrali nucleari sul suolo patrio, per il semplicissimo motivo che nei 20 anni passati abbiamo smantellato tutte le competenze che oggettivamente si erano accumulate in questo paese per gestire i, pur malaugurati, programmi nucleari. Lo riconosce perfino una rivista smaccatamente filo nucleare come Le Scienze, dove Ugo Spezia nel giugno 2005 riconosceva onestamente che: «… è difficile pensare a una riapertura dell’opzione nucleare nel breve termine» 2 ; e più recentemente, ritornando alla carica 3 , rivendica più modestamente un rilancio della ricerca in campo nucleare [in un periodo in cui la ricerca è per tutta la nostra classe politica e imprenditoriale la Cenerentola assoluta], per non rimanere tagliati fuori dai progetti internazionali, e supportare anche le rinascenti ambizioni in campo industriale, come quelle dell’Ansaldo. A meno che non si pensi di arruolare ingegneri e tecnici nucleari che potrebbero esserci … tra gli immigrati irregolari.
Queste «scajolate» non possono essere che propagandistiche, anche se non è facile decifrarne i veri destinatari. Raccoglieranno certamente l’interessato plauso della lobby nucleare [di destra e di sinistra], che da tempo è alla ricerca di una nuova legittimazione. A parte il solerte «Siamo pronti» di Enel ed Eni, sembra proprio improbabile che essi pensino veramente di avviare la costruzione di centrali nucleari sul territorio nazionale. Né sembra pensabile che qualunque governo possa imporglielo: tutta l’industria energetica italiana è stata zelantemente privatizzata, e quindi fa quello che crede meglio fare [a torto o a ragione]. Infatti l’Enel acquista centrali nucleari all’estero, in Slovacchia, Bulgaria, Spagna: perfino quelle di fabbricazione sovietica, che tutti denunciano come pericolose, e ne progetta perfino l’allungamento della vita operativa 4 , evidentemente sono pericolose solo quando fa comodo.
Siamo «costretti» ad importare energia elettrica? Le balle sulla Francia
Ma anche a prescindere dalle difficoltà pratiche, e dalle considerazioni generali sull’energia nucleare alle quali poi verremo, tutte le argomentazioni sulla necessità di produzione di energia elettronucleare in Italia sono assolutamente strumentali e fasulle. Purtroppo ha fatto breccia fra la gente il refrain che siamo costretti a importare energia elettrica, per di più dalla Francia, che la produce a costi bassissimi dal nucleare: ma è totalmente errato. In primo luogo perché la capacità elettrica installata in Italia eccede ampiamente la domanda [88.300 MW contro 55.600 MW, dati 2006]. È vero che la privatizzazione dell’industria elettrica ha portato ad un aumento delle tariffe, particolarmente alto in Italia, mentre il sistema elettrico francese è largamente pubblico e ha mantenuto tariffe minori [finché anche l’industria italiana era pubblica le tariffe erano simili a quelle della Francia].
Ma anche il «miracolo nucleare» francese è una grandissima balla. Rispondendo ai progetti nucleari di McCain, il Financial Post lo qualificava invece come «disastro nucleare»! 5 In ogni caso, la Francia costituisce un caso unico e non ripetibile [né appetibile]. In primo luogo perché in Francia l’industria energetica è dello Stato [che non si è nemmeno sognato di privatizzare Edf], e lo Stato ha gestito il nucleare civile nel contesto dell’ambizioso programma della Force de frappe, il programma nucleare militare, che ha costi molto maggiori [comprende lanciatori, sommergibili, sistemi di allarme e controllo, ecc.], ed ha assorbito sicuramente molti costi: sfiderei chiunque a valutare il costo vero del solo programma civile francese. Per la cronaca, la situazione è completamente diversa negli Usa, dove invece l’industria energetica è privata, ed infatti da 30 anni non ordina nuove centrali nucleari. Tornando alla Francia, il sistema massiccio di produzione di energia elettronucleare è estremamente rigido: non si possono accendere e spegnere i reattori nucleari come fossero accendini, per cui per coprire la richiesta di punta il sistema produce nelle ore notturne grandi eccessi di energia, che viene quindi venduta a prezzi stracciati; mentre in altri momenti Parigi deve acquistare energia dall’estero, a costi molto alti 6. Tanto che la Francia ha deciso di riattivare le obsolete centrali termoelettriche, alcune delle quali risalgono al 1968.
Ritornando all’Italia, è necessario insistere su un’ulteriore spudorata mistificazione. Nessuno specifica con chiarezza che con il nucleare si produce solo energia elettrica, che costituisce meno del 20 per cento dell’energia utilizzata in Italia. La dipendenza energetica italiana ha ben altre cause, poco o nulla potrebbe fare il nucleare, e potrebbe aggravare la situazione. Il nostro paese importa notoriamente la quasi totalità delle risorse energetiche. Ma del petrolio che importiamo [praticamente tutto] circa un terzo va sprecato in un sistema di trasporti assurdo, totalmente sbilanciato sul trasporto su gomma [con i costi, e i consumi energetici, aggiuntivi di autostrade e altre infrastrutture]. Vero è che questo problema non è solo italiano: anche in questo la Francia costituisce un caso emblematico, con impressionanti disservizi del servizio ferroviario e sovradimensionamento del trasporto su gomma 7 in tutto simili al nostro paese. Un ulteriore 20 per cento circa dei consumi energetici è poi divorato poi da un’agricoltura non meno sbilanciata, che produce male e in modo del tutto inefficiente. È di pochi giorni fa il rapporto della Confederazione Italiana Agricoltori relativo al 2007, che denuncia il continuo peggioramento della situazione 8 , con una diminuzione dello 0,5 per cento della produzione agricola complessiva, dello 0,6 per cento del valore aggiunto, dello 0,9 dei redditi degli agricoltori, in netta controtendenza con la crescita media registrata in Europa: tra le cause principali l’aumento record dei costi di produzione [+ 6,1 per cento] e soprattutto della quota destinata alla produzione di biocarburanti, con una «bolletta petrolifera» lievitata per l’agricoltura di ben il 38 per cento dal 2005 al 2007. Gli sprechi in questo paese non si contano, e sono sotto gli occhi di tutti.
La grande mistificazione dei programmi nucleari e dei reattori di nuova generazione
Prima di venire al problema, cruciale, dei costi del nucleare, mi sembra necessario smontare un’altra mistificazione. Molte persone si chiedono che cosa siano questi mitici reattori si 4a generazione 9 , decantati dai sostenitori del rilancio del nucleare, in quanto risolverebbero tutti i problemi: dovrebbero generare al loro interno nuovo combustibile nucleare [altrimenti l’uranio si esaurirà tra pochi decenni], «fertilizzando» determinati nuclei 10 ; dovrebbero ridurre la produzione di scorie nucleari, e «bruciare» le scorie prodotte fino ad oggi; dovrebbero basarsi su un ciclo del combustibile resistente alla proliferazione militare. «Dovrebbero», appunto: perché i reattori di 4a generazione non esistono, vi sono molti [troppi, per non sollevare almeno qualche perplessità] che si cerca di realizzare, e la loro commercializzazione si prospetta nientemeno che per il 2040. Ritengo veramente disonesto promettere miracolose proprietà di progetti nucleari che dovrebbero essere disponibili fra 30 anni, per una tecnologia come quella nucleare che è maledettamente complessa, e può riservare lungo il cammino le peggiori sorprese: come è avvenuto in passato per il programma dei reattori francesi veloci «autofertilizzanti», che si è arrestato proprio quando era stato realizzato quello che doveva essere il prototipo della filiera commerciale [Superphoenix].
Una risposta seria deve essere: «Benissimo, allora aspettiamo il 2040, e se quei reattori saranno realizzati, e avranno le caratteristiche che ci raccontate, ne riparleremo allora». E invece – con il pretesto della limitazione della produzione di CO2,. – viene strumentalmente proposto un massiccio programma di rilancio del nucleare. I reattori proposti vengono chiamati di 3a generazione [si sottilizza anche sui miglioramenti di una generazione 3+], e sono versioni – indubbiamente migliorate, con l’aggiunta di meccanismi di sicurezza intrinseca – dei reattori di 2a generazione esistenti. Questi reattori possono anche essere più sicuri, ma senza dubbio presentano tutti i problemi dei reattori esistenti – scorie, rischi di proliferazione, ecc. – per cui aggraverebbero ulteriormente i problemi attuali: in attesa della mitica soluzione.
Anche la maggiore sicurezza rischia di essere compromessa dal fatto che, per ridurre i costi, alcuni progetti propongono di eliminare quel contenitore esterno, che veniva vantato rispetto ai reattori sovietici 11.
Il nucleare è proprio una pacchia?!
Veniamo brevemente al problema dei costi e dei tempi di costruzione [strettamente legati, perché si tratta di immobilizzare enormi investimenti]. I filo nucleari vogliono farci credere che il nucleare è oggi conveniente rispetto ad altre scelte energetiche. Non sono in gado di entrare nel merito, ma vi sono circostanze evidenti che mettono seriamente in dubbio questa pretesa. Se così fosse, infatti, le banche dovrebbero fare a gara per offrire alle imprese prestiti per la costruzione delle centrali nucleari: si scopre facilmente, invece, che le banche statunitensi sono disposte a fornire questi prestiti solo se il Governo Federale li garantisce! Provate a cercare con un motore di ricerca «guaranteed loans» e vedrete che valanga di notizie. Dunque, sono i privati a considerare gli investimenti nel nucleare rischiosi e non convenienti, checché ne dicano le mosche cocchiere del rilancio del nucleare.
Quanto poi alla dilatazione dei costi e dei tempi di costruzione, è eloquente l’andamento della costruzione del primo nuovo reattore francese EPR di 3a Generazione ad opera del consorzio Areva-Siemens in Finlandia [Olkiluoto-3]: il 28 dicembre 2007 è stato annunciato 12 un ulteriore ritardo nella costruzione, dopo altri annunciati in precedenza, che porterebbero per ora ad un ritardo complessivo di 2 anni e mezzo [estate 2011] ed un aumento dei costi previsti probabilmente di 3 miliardi di euro. Il governo finlandese è diviso sull’energia nucleare.
È istruttivo [anche in riferimento alle «scajolate»] il motivo che sembra essere all’origine di questi ritardi e aumenti di costi: esso sembra infatti essere dovuto al fatto che da troppi anni non vi è esperienza di costruzione di nuove centrali. Le specifiche per il vessel di metallo e il contenitore di cemento sono estremamente rigorose, devono consistere un un’unica fusione e un’unica colata di cemento, ma sembra appunto che vi siano stati problemi, e che si ripetano per il secondo reattore EPR di cui è iniziata la costruzione in Francia.
D’altra parte, l’allarme sui costi del nucleare è stato autorevolmente lanciato nientemeno che dal Wall Street Journal, secondo il quale i costi di una centrale lieviterebbero da 5 miliardi di dollari a ben 12 miliardi. 13
Sicurezza?
Naturalmente degli incidenti precedenti nemmeno si parla più. Secondo la versione «ufficiale» la gravità dell’incidente di Three Mile Island del 1979 viene liquidata affermando che non ha avuto conseguenze sulla salute della popolazione. Ma le ricerche sulle conseguenze dell’incidente sono state poche, discontinue, e limitate all’area più prossima alla centrale, per cui non è possibile dire se l’incidente abbia o non abbia causato vittime. Le conclusioni sono controverse, ma gli aumenti dei numeri di morti infantili, tumori ed altre malattie sembrano inequivocabili 14 . Del resto poco si parla dei ripetuti incidenti nel paese secondo al mondo come programmi nucleari, il Giappone: dimenticato il gravissimo incidente di TokaiMura 15 del 1999, pochissimo si è saputo anche di quello del 2007 dovuto a un terremoto 16 . Nel 2002 in un reattore dell’Ohio «l’industria nucleare statunitense ha sfiorato più da vicino un disastro dall’incidente di Three Mile Island del 1979» 17 : poiché incidenti di questa gravità fanno al più una rapida apparizione nella cronaca per scomparire il giorno dopo, riporto in nota informazioni più dettagliate e rimandi, per la rilevanza di questi aspetti per tutto il problema che stiamo analizzando 18.
Riduzione delle emissioni di CO2?
Ma è poi vero che una massiccia costruzione di reattori ridurrebbe le emissioni di CO2? In primo luogo, solo la fase di fissione del combustibile nel reattore non produce emissioni, ma le producono tutte le altre fasi di estrazione e lavorazione del minerale, trasporto, arricchimento. È probabile comunque che nel complesso le emissioni siano minori rispetto alle centrali termoelettriche. Il problema però è un altro. Poiché il nucleare produce solo energia elettrica [meno del 20 % dell’energia consumata nel mondo], quanti reattori si dovrebbero costruire per avere una sensibile riduzione delle emissioni [tenendo conto anche che molti andrebbero a sostituire i reattori attualmente in funzione, e al termine della vita operativa]? Nel caso degli Usa, se la domanda di elettricità nel 2050 rimanesse quella attuale, per raddoppiarne la percentuale prodotta dal nucleare [20 % oggi, da 104 reattori] si dovrebbero costruire circa 100 nuovi reattori: poiché la produzione di elettricità contribuisce oggi per un terzo alle emissioni di CO2, 100 reattori in più ridurrebbero le emissioni appena del 6-7 % rispetto a oggi. Si tenga presente che per evitare cambiamenti climatici dannosi le emissioni dovrebbero essere ridotte dell’80 % nel 2050. In assenza di misure addizionali di risparmio e di efficienza i consumi elettrici negli USA quasi raddoppieranno da qui al 2050.
Calcoli analoghi valgono a livello mondiale: centinaia di miliardi di investimenti per pochi percento di riduzione delle emissioni.
Se si viene, più modestamente, al nostro paese, c’è da chiedersi, anziché vaneggiare di improbabili centrali nucleari, quali risparmi di produzione di CO2 [per non parlare di quelli economici, e ambientali] sarebbero stati possibili rinunciando alla costruzione di qualche autostrada, dell’Alta Velocità ferroviaria, e si fosse invece ridotto consistentemente il trasporto su gomma valorizzando una delle reti ferroviarie migliori del mondo.
Un pauroso inquinamento radioattivo del pianeta
Vi sono infine alcune considerazioni e mistificazioni di fondo sul nucleare e i suoi rischi, che vengono celate all’opinione pubblica, ma sono di una gravità senza precedenti. È stato esercitato un cover-up sistematico sui problemi generati non solo dai reattori nucleari, ma in generale dalla tecnologia nucleare. Il ventennale dello spaventoso incidente di Chernobyl, del 1986, ha celebrato proprio il tentativo di autorevoli istituzioni di sdrammatizzarne completamente la portata e le conseguenze 19 [come era stato fatto per l’incidente di Harrisburgh , 1979 20. Scienziati «non embedded» [anzi emarginati, ed anche perseguitati dall’establishment] hanno seriamente documentato l’inaudita gravità dell’inquinamento radioattivo dell’atmosfera 21 ed una vera «epidemia di cancro», di cui parla perfino l’OMS 22 : esso deriva dai test nucleari, nell’atmosfera e sotterranei [iodio radioattivo, a breve vita nella tiroide; stronzio-90 nelle ossa, ecc.], dai rilasci delle centrali nucleari, dall’uranio impoverito [prima di quello dei proiettili, che quando esplodono rilasciano microparticelle radioattive, l’uranio contenuto nelle bombe che, a temperature di milioni di gradi, rilascia nanoparticelle ancora più persistenti in tutta l’atmosfera, ed inalabili od ingeribili ] 23
Note
1 A. baracca, “No alla barbarie nucleare. Cercando di decifrare il libro dei sogni (o degli incubi) dei faraonici programmi nucleari”, Medicina Democratica, n. 176, novembre-dicembre 2007: ma uscito di recente, ancora in libreria.
2 Ugo Spezia, “Energia: quale futuro?”, Le Scienze, n. 442, giugno 2005, p. 49.
3 E. Perugini, “Caorso, mon amour”, Le Scienze, gennaio 2008, pp. 86-91.
4 Alessandro Iacuelli, “L’ENEL nucleare e i reattori VVER”, 04/03/2007, http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=14707.
5 Lawrence Solomon , “McCain’s French kiss. The Republican nominee backed nuclear this week, but the U.S. shouldn’t try to imitate the French disaster, Financial Post, 13 maggio 2008 (http://network.nationalpost.com/np/blogs/fpcomment/archive/2008/05/12/the-limits-to-nuclear-mccain-shouldn-t-try-to-follow-french-disaster.aspx). Molto interessante anche la replica dello stesso giornalista alle argomentazioni dell’Ambasciatore francese: “French power miths”, Financial Post, 21 maggio (http://network.nationalpost.com/np/blogs/fpcomment/archive/2008/05/22/french-power-myths.aspx).
6 Tra l’altro è una grossolana mistificazione affermare che “L’Italia acquista energia elettrica dalla Francia”, perché il mercato dell’energia funziona in modo completamente diverso: come per il petrolio, c’è un’asta internazionale in cui vengono scambiate quantità di energia elettrica.
Altri fattori che rendono il caso francese unico e non ripetibile sono:
? la centralizzazione del programma francese consentì la limitazione a pochi modelli standardizzati di reattori: il caso francese sarebbe difficilmente ripetibile, perfino in Francia oggi;
? il nucleare francese non competeva sul mercato internazionale dell’energia, prima dell’apertura recente al mercato europeo; il governo francese è sempre stato parco di informazioni, e ciò “rende difficile paragonare il costo dell’elettricità generata da fonte nucleare in Francia e negli USA”;
? l’eccessiva dipendenza dal nucleare rende il sistema rigido, e vulnerabile a circostanze esterne eccezionali: in occasione delle onde di calore e della siccità del 2003 e del 2006, mentre Germania e Spagna riducevano il livello di potenza, o chiudevano altre centrali, la Francia fu costretta a chiudere alcuni impianti nucleari e ad importare elettricità;
? non potendo ricorrere alle altre fonti energetiche comunemente usate per modulare la produzione di energia con le fluttuazioni della domanda (fino al 50 % nelle 24 ore), la Francia è costretta a ridurre i livelli di potenza dei reattori, o a spegnerne alcuni, e questo abbassa il fattore di carico attorno all’80 , a fronte del 90 % dei reattori statunitensi ;
? ma queste fluttuazioni della potenza dei reattori genera anche problemi di sicurezza, aumentando i rischi di improvvisi picchi di potenza, che potrebbero provocare danni significativi al combustibile, fino al caso estremo di meltdown;
? il sistematico ritrattamento del combustibile ha creato alla Francia notevoli problemi: l’accumulo di migliaia di tonnellate di uranio (che come combustibile è più caro del minerale di uranio) e di circa 50 tonnellate di plutonio (che era destinato al programma di reattori veloci, chiuso dopo le fallimentari esperienze di Phénix e Superphénix, mentre procede a rilento lo sviluppo del combustibile misto MOX, molte volte più caro dell’uranio leggermente arricchito: al ritmo attuale ci vorrebbero decenni per eliminare il plutonio accumulato fino ad oggi): “Le misure di sicurezza per questi depositi sono inadeguate”;
? in queste condizioni, “la Francia ha sospeso l’applicazione degli standard vincolanti di protezione fisica della IAEA, che la costringerebbero a innalzare la sicurezza”.
? La Francia importa il 100 % dell’uranio che usa: fino ad oggi ha usufruito delle condizioni eccezionali di sfruttamento brutale delle risorse uranifere di paesi come la Nigeria, da dove per 40 anni ha importato il 30 % del proprio fabbisogno a prezzi ridicolmente bassi: ma le contraddizioni stanno esplodendo, la guerriglia si è sviluppata, il governo nigeriano ha appena imposto un aumento dei prezzi del 50 %, e nel futuro si prospettano aumenti maggiori, oltre che vere “guerre per l’uranio”, come già le “guerre per il petrolio”, e per tutte le risorse. Areva poi è accusata di avere creato una grave contaminazione ambientale da uranio in Nigeria e Gabon.
7 V. Philippe Bovet, “Des poids lourds qui pèsent sur l’environnement”, Le Monde Diplomatique, octobre 2003, p. 31.
8 V. ad esempio il manifesto, 01/02/2008, p. 8.
9 I reattori di Ia generazione sono i prototipi del periodo postbellico, la 2a generazione consiste nei reattori che sono stati costruiti nei decenni successivi fino ad oggi. Vedremo cosa si intende per 3a generazione.
10 Nuclei come l’uranio-238 e il torio-232 non subiscono la fissione, ma sono “fertili” perché, se bombardati con neutroni veloci, trasmutano rispettivamente in plutonio-239 e in uranio-233, che sono fissili.
11 Rimando per dettagli al mio più ampio articolo su Medicina Democratica, ma segnalo anche un autorevole studio critico molto circostanziato della Union of Concerned Scientists: Lisbeth Gronlund, David Lochbaum e Edwin Lyman, Nuclear Power in a Warming World: Assessing the Risks, Addressing the Challenges, Dicembre 2007, http://www.ucsusa.org/global_warming/solutions/nuclearandclimate.html.
12 “Olkiluoto-3 completion targeted for summer 2011”, http://www.platts.com/Nuclear/News/7764540.xml
13 Keith Johnson , “It’s the Economics, Stupid: Nuclear Power’s Bogeyman”, The Wall Street Journal
14 May 12, 2008; “Sky-Rocketing Reactor Costs Hit Europe”, News from Beyond Nuclear, May 6, 2008
15 J. Mangano, “Three Mile Island: health study meltdown”, Bulletin of the Atomic Scientists, Vol. 60, n. 05, September/October 2004, pp. 30-35; M. C. Hatch et al., “Cancer Near the Three Mile Island Nuclear Plant,” American Journal of Epidemiology, vol. 132, no. 3, pp. 397-412 (1990); e “Cancer Rates After the Three Mile Island Nuclear Accident and Proximity of Residence to the Plant,” American Journal of Public Health, vol. 81, no. 6, pp. 719-24 (1991). S Wing et al., “A Re-Evaluation of Cancer Incidence Near the Three Mile Island Nuclear Plant,” Environmental Health Perspectives, vol. 105, no. 1, pp. 52-57 (1997). M. Susser, “Consequences of the 1979 Three Mile Island Accident Continued: Further Comment,” Environmental Health Perspectives, vol. 105, no. 6, pp. 566-67 (1997). E. O. Talbott et al., “Mortality Among the Residents of the Three Mile Accident Area: 1979-1992,” Environmental Health Perspectives, vol. 108, no. 6, pp. 545-52 (2000); e “Long-Term Follow-up of the Residents of the Three Mile Island Accident,” Environmental Health Perspectives, vol. 111, no. 3, pp. 341-48 (2003).
16 C. Lanzieri, “Ad un anno dall’incidente di Tokaimura”, http://guide.dada.net/fisica_applicata/ interventi/2000/11/16173.shtml.
L’impressionante serie di incidenti agli impianti nucleari giapponesi
• 8 dicembre 1995. Il reattore veloce di Monju viene chiuso dopo un grave incidente.
• 11 marzo 1997. Esplosione e incendio all’impianto di ritrattamento di Tokaimura, rilascio di radiazioni, 37 lavoratori esposti. I gestori dell’impianto ammettono di avere atteso 5 ore prima di informare le autorità
• 30 settembre 1999. Il più grave incidente in Giappone, ancora nell’impianto di ritrattamento di Tokaimura: nella preparazione di combustibile nucleare per il reattore veloce sperimentale JOYO, versando in un recipiente inadatto nitrato di uranile arricchito al 18,8 %, viene superata la massa critica, si innesca una reazione a catena, fortunatamente arrestata prima di un’esplosione, ma prodotti di fissione si diffondono nell’ambiente. 3 lavoratori gravemente contaminati, 2 deceduti, altri 119 esposti a radiazioni (dosi superiori a 1 mSv #); decine di residenti ospedalizzati e decine di migliaia costretti a rimanere in casa per 24 ore.
• Settembre 2002. la più grande centrale giapponese, TEPCO, costretta a spegnere i rettori per 17 ore per timori sulla sicurezza, dopo avere ammesso la falsificazione di dati sulla sicurezza.
• 9 agosto 2004. La fuoriuscita di acqua bollente e vapore per la rottura di una conduttura nel reattore-3 della centrale di Mihama uccide 5 lavoratori.
• 16 luglio 2007. Il più grande impianto nucleare del mondo viene chiuso per i danni causati da un terremoto di magnitudine 6,8
Un dirigente del Citizens’ Nuclear Information Centre di Tokyo, Satoshi Fujino, dichiara che gli incidenti hanno una doppia causa, inadeguatezza della normativa governativa, e la cultura del management dell’industria di nascondere gli errori: negligenza nei controlli di sicurezza preventiva e delle ispezioni. “Il segreto sembra essere una caratteristica dell’industria nucleare, specialmente in Giappone … l’informazione viene occultata facilmente, perché il sistema sociale sostiene questo tipo di cultura” (Sarah Buckley, “Japan’s shaky nuclear record”, BBC New Online, 24/03/2006 (http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/3548192.stm).
17 Victor Gilinsky (consulente sui problemi energetici, già commissario della NRC dal 1975 al 1984), Washington Post, 28 aprile 2002, p. B01: http://www.washingtonpost.com/ac2/wp-dyn?pagename=article&node=&contentId=A57994-2002Apr27¬Found=true.
18 Il 6 marzo 2002 i lavoratori scoprirono un’apertura della lunghezza di un piede aperta per corrosione nel vessel del reattore dall’acqua borata: la camicia conteneva 80.000 galloni (circa 3.000 m3) di acqua radioattiva ad alta pressione. Nell’aprile 2005 la NRC infliggeva una multa di 5,4 milioni di dollari alla First Energy, proprietaria dell’impianto, per non avere scoperto più prontamente il problema (problemi simili erano già noti), e proponeva di escludere la System Engineer Andrew Siemaszko dai lavori nell’industria per 5 anni, per avere falsificato i registri del vessel del reattore. La camicia di acciaio aveva cominciato a gonfiarsi pericolosamente: se fosse scoppiata, avrebbe scaricato l’acqua di raffreddamento vitale per la sicurezza e minacciato anche il sistema di arresto di emergenza del reattore. “Se questo fosse accaduto in Russia, avremmo detto che non potrebbe mai accadere qui. Altrettanto inquietante è il responso appena percepibile (barely audible) della NRC (Nuclear Regulatory Commission)” (Victor Gilinsky, cit.). Comunque, il rapporto della NRC “rivela che una rete di disinformazione, scarsa vigilanza e negligenza dell’operatore fece si che un problema prevenibile diventasse un seri rischio per la sicurezza (http://www.mindfully.org/Nucs/2002/NRC-Blame-Ohio10oct02.htm). Come non bastasse, il 20 agosto 2003 uno Slammer worm (una nuova minaccia informatica nell’interrete mondiale Internet – conosciuto anche come DDOS.SQLP1434.A, W32/SQLSlammer, Sapphire e W32/SQL Slam-A – da molti considerato tra i peggiori di sempre, rende di fatto inutilizzabile la rete) penetrò in un computer della rete dell’impianto nucleare – per fortuna chiuso dal febbraio 2002 – mettendo fuori uso un sistema di sicurezza per cinque ore, malgrado la convinzione del personale della centrale che la rete fosse protetta (http://www.theregister.co.uk/2003/08/20/slammer_worm_crashed_ohio_nuke/).
19 OMS e IAEA: Chernobyl Forum Report: Chernobyl’s Legacy, Health, Environmental and Socio-Economic Impacts (http://www-pub.IAEA.org/MTCD/publications/PubDetails.asp?pubId=7382; http://www.who.int/mediacentre /factsheets/fs303/en/print.html; http://www.IAEA.org/Publications/Booklets/Chernobyl/chernobyl.pdf). Fortunatamente più prudenti autorevoli riviste: R. Stone, “Return to the inferno: Chornobyl after 20 years”, Science, Vol. 312, 14 April 2006, p.180-82 (www.sciencemag.org); D. Williams e K. Baverstock, “Too soon for a final diagnosis”, Nature, Vol.440, 20 April 2006, pp. 993-4); M. Peplow, “Counting the dead”, Nature, cit, pp. 982-3. Assai più drammatico, ma forse realistico, il rapporto di Greenpeace, The Chernobyl catastrophe, consequences on human health, Aprile 2006 (http://www.greenpeace.org/international/press/reports/chernobylhealthreport).
20 La versione ufficiale è criticata ad esempio in: J. Mangano, “Three Mile Island: health study meltdown”, Bulletin of the Atomic Scientists, Vol. 60, n. 05, September/October 2004, pp. 30-35.
21 Bastino alcuni riferimenti: J. Mangano, “An unexpected rise of Strontium-90 in U.S. deciduous teeth in the 1990s”, Science of The Total Envir., Vol. 317 (1-3), December 30, 2003, pp. 37-51 (http://www.radiation.org/), e “Improvements in local infant health after nuclear reactor closing”, Environ. Epid. & Toxic., 2 (1-4), 2000; J. Gould, “Explanation of black infant mortality rates”, The Black World Today (http://www.tbwt.org/home/). E.J. Sternglass, Secret Fallout: Low Level Radiation from Hiroshima to Three Mile Island, New York, McGraw-Hill, 1981. R. Bertell, “Victims of the Nuclear Age”, The Ecologist, November 1999, pp. 408-411 (http://www.ratical.org/radiation/NAvictims.html). Documentatissimo (molto più ampio del titolo): Lauren Moret, “Depleted uranium weapons, the war against earth”, World Depleted Uranium Weapons Conference: The Trojan Horse of Nuclear War, Hamburgh, Germany, October 16-19, 2003 (http://www.traprockpeace.org/wuwc_reader4_civilians.pdf). È interessante menzionare il fatto che la consapevolezza scientifica sui danni alla salute e all’ambiente delle radiazioni ionizzanti e dei test nucleari risale agli albori dell’era nucleare: il fatto che la gente sia stata tenuta completamente all’oscuro si configura ancor più come un vero crimine. Fino dal 1943 gli scienziati Conant, Compton e Urey inviarono al Gen. Groves (Direttore del Mahnattan Project) un pro-memoria, tenuto allora segreto, su “Uso di materiali radioattivi come ordigni militari” (http://www.mindfully.org/Nucs/Groves-Memo-Manhattan30oct43a.htm). Se ne raccomandava appunto l’impiego sul campo di battaglia, specificando anche che le sottili particelle radioattive passerebbero attraverso tutte le maschere antigas, anticipando così l’impiego dell’Uranio Impoverito (DU): non a caso il suo uso sconsiderato è avvenuto solo nel 1991, non appena il crollo dell’Urss ha distrutto l’equilibrio bipolare che aveva retto durante la Guerra Fredda. Anche per i test nucleari, è notevole che fin dal 1958 lo scienziato sovietico Sakharov aveva stimato che circa 10.000 persone avrebbero contratto tumori, mutazioni genetiche ed altre malattie per ogni megatone di potenza di un’esplosione nucleare in atmosfera, per le piccole dosi: “Radioactive carbon from nuclear explosions and nonthreshold biological effects”, Soviet Journal Atomic Energy, Vol. 4, 6, 1958 (tradotto in Science & Global Security, Vol. 1, 1990, pp. 175-86).
22 World Health Organization Press release: “Global cancer rates could increase by 50 to 15 million by 2020”, Ginevra, 2 Aprile 2003. Bisogna, a questo proposito, denunciare l’accordo gravissimo del 1959 tra la IAEA e l’OMS, per cui nessun rapporto sugli effetti sanitari del nucleare può uscire senza l’avvallo della IAEA. European Committee on Radiation Risk, 2003 Recommendations, Brussels, 2003, pp. 182-183 (http://www.euradcom.org).
23 Nelle testate nucleari più perfezionate la percentuale di uranio o di plutonio che fissiona non arriva al 40 % (ma nelle testate di vecchia generazione al 20 %), a causa della disintegrazione della testata che estingue la reazione a catena: l’uranio o il plutonio rimanenti subiscono questa estrema polverizzazione.