Buccinasco è un paese in provincia di Milano, di circa 26.000 abitanti, un borgo lombardo, in cui, secondo il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Enzo Macrì, la presenza della ‘ndrangheta è opprimente. Buccinasco è lo specchio in cui si riflette l’Italia intera.
È di qualche giorno fa la notizia che la maggioranza di centrodestra alla guida del comune lombardo ha rifiutato di offrire la cittadinanza onoraria a Roberto Saviano, autore di “Gomorra”. La proposta avanzata da un consigliere dei Verdi, sostenuta da Pd e Rifondazione Comunista e sottoscritta on line da oltre 300 cittadini, è stata rigettata dal Pdl, che per due volte ha fatto mancare il numero legale.
La ragione di questo atteggiamento sta nella valutazione negativa dell’utilità di dare a Saviano un riconoscimento che a Buccinasco non è mai stato conferito a nessuno. Questo, almeno, sostiene il sindaco, Loris Cereda, il quale si dice pronto eventualmente a conferire la cittadinanza onoraria ad altri soggetti che lavorano “nell’ombra contro la mafia nel casertano”. Una scelta che ha il sapore di sminuire, come ha già fatto in passato il ministro Maroni, l’impegno di Saviano e l’importanza del suo lavoro nella dura battaglia contro la camorra, in particolare contro il clan dei casalesi. Una scelta che mette il Comune di Buccinasco dalla parte dei detrattori, dalla parte di chi ripudia il principio di legalità di uno Stato che giorno per giorno diventa sempre più avvezzo a sistemi fuorilegge, sempre più imbrigliato dentro gabbie di malaffare in cui belve feroci, lentamente e da più direzioni, sferrano morsi violenti sulla carne stanca della democrazia e della giustizia.
Cosa significa legalità oggi, in Italia? Lo Stato (intendendo con esso cittadini, istituzioni, attori economici) quale tipo di legalità conosce e persegue? Oggi dovremmo iniziare a dire che la legalità è qualcosa di enormemente astratto che investe molteplici aspetti della società, andando ben oltre il semplice ambito di legge a cui viene spesso riferita. La legge fondamentale di uno Stato dovrebbe essere quella che prescrive un rispetto reciproco tra istituzioni e cittadini, compresi quei cittadini che non sono nati nel territorio nazionale, ma che ci vivono dentro, ci lavorano, ci abitano, ci si muovono, “ci sono”. I
n Italia, invece, la legge fondamentale dello Stato non esiste. Esiste solo la logica dell’arrangiarsi, dell’essere furbo, dell’essere abile a scavalcare le mura che la Cosa Pubblica mette dinnanzi a sé come unico e fragile riparo dai suoi stessi figli. Mentre si urla contro i deboli, contro gli immigrati, i rom, gli emarginati delle periferie, i giovani che protestano per un loro diritto, additandoli come colpevoli di ogni male della nostra società, c’è un Paese intero, ad ogni livello, che vive grazie alla morte quotidiana di ogni regola. Si è costruito un sistema Stato che è totalmente asservito al potere economico e finanziario, in nome del quale si sacrifica tutto, compreso il futuro del sistema stesso.
Come si può parlare di legalità in una nazione che non è nazione, che gonfia di ricchezza il nord e che lascia il sud in mano a mafiosi, criminali politici ed imprenditori che stuprano da decenni il territorio, depauperandolo e svuotandolo delle persone migliori, costrette ad andar via per sopravvivere e per poter dire: “No, le cose non possono andare così, devo provare a cambiarle”. Un abbraccio mortale, finalizzato a svuotare la casa, succhiando tutte le risorse e cacciando via le persone migliori, per poi riempirla di mediocri, ignoranti, collusi. Un sottopopolo che diventa popolo, che decide per tutti in nome della propria inettitudine o volgare furbizia, grazie all’appoggio di un potere arrogante e sporco che sa come convincere e come ottenere consenso. I mezzi sono quelli peggiori, sono violenti, squallidi, farebbero indignare il cittadino di qualsiasi democrazia moderna, ma non gli italiani, che anzi ci sguazzano, si insozzano come maiali in un porcile e allo stesso modo ridono, felici, con le loro facce piene e rosa, beati e sereni come se niente fosse. Anzi, molto peggio, spesso si trasformano in lupi, che mostrano i denti a chi prova a contestare la loro felicità artificiale. E magari poi li trovi infiltrati tra gli stuoli di bravi cittadini a protestare contro quello stesso sistema di cui si nutrono avidamente ogni giorno.
Non è una minoranza che sta distruggendo questo Paese, è la maggior parte degli italiani, una maggioranza che sembra divisa ed eterogenea, ma che è invece compatta e massificata, assuefatta ad un modello di benessere preciso, con idee di consumo precise, da realizzare in ogni modo, con ogni mezzo, anche a prezzo della salute propria, dei propri concittadini, dei propri figli. C’è un mare in tempesta che bagna il presente per annegare il futuro. I giovani, quelli validi, sono tenuti sotto sale, sono carne da tenere nel congelatore, da tirare fuori a piccoli pezzi, ogni tanto, quando se ne sente il bisogno, infischiandosene se nel frattempo rischia di marcire, di andare a male, perché tanto ci sarà sempre carne di qualità, da qualche parte, da prendere e ricongelare. Ed allora, se non sei capace di spendere, se non hai i mezzi per andare via, se non hai i soldi per affrontare percorsi lunghi, fatti di master, stages non retribuiti, viaggi, affitti, sei costretto ad accontentarti, sei costretto a sederti dentro un congelatore in attesa del macellaio di turno. Poi, se vivi al di sotto di Roma, fai prima a prendere un po’ di sale dal mare, cospargertene e prepararti a diventare prodotto di conserva.
Perché è così che funziona, le imprese italiane lo sanno bene. Fanno tanti proclami, si schierano contro il racket, ma poi pensano solo ai loro interessi, trattano i lavoratori come merce, mettono i giovani in attesa, li condannano ad abbandonare i propri sogni e le proprie aspirazioni, i più resistenti li tengono sulla corda per più tempo, fino a quando non si convinceranno che è meglio accettare qualsiasi cosa pur di lavorare, che non sono tempi in cui si possono coltivare i propri sogni di bambino. È un ricatto infinito. Cosa serve lottare contro il racket in Sicilia, se poi si costringono i giovani a scappare? Cosa serve espellere chi paga il pizzo se poi si mantengono dentro coloro che violentano il territorio e che vogliono continuare a farlo indisturbati, fregandosene dei tumori, delle malformazioni, dei morti, delle lacrime? La crisi economica è diventata un pretesto per giustificare tutto, per scavalcare ogni residuo di legalità.
E la politica, compatta, ha deciso di dare il fianco o, più spesso, la mano a questo sistema diffuso, aiutandolo con propagande di triste memoria, con una sistematica e strategica dissoluzione di ogni principio di legalità. Pretende la gogna per i deboli, per chi non ha nulla, perfino per chi non ha documenti, per chi è discriminato da un’idiozia burocratica. Per tutto il resto invece ci sono applausi, favori, sorrisi, abbracci, voti. La gente si lascia convincere, perché non ha più cultura, perché non conosce più indignazione, perché pensa solo a sé stessa e si chiude nel proprio regno fatto di interessi, meschinità ed ignoranza.
C’è solo una parte minoritaria che oggi si batte, si indigna, cerca di analizzare criticamente la realtà. Lavora in silenzio, tra mille difficoltà, tra le minacce di ogni piccolo potente e le calunnie, in mezzo alla solitudine ed all’amarezza, lottando quotidianamente contro lo spettro della rassegnazione. Ma spesso questa minoranza non si conosce, non riesce a darsi forza, oppure protesta ma poi rifluisce, perché manca qualcosa o qualcuno, perché manca il tempo o la serenità. Non è una minoranza fatta solo di giovani, anzi, qui le categorie non c’entrano nulla, perché non è una questione d’età. Ci sono certo tanti ragazzi e ragazze, oggi, che si buttano anima e corpo nell’impegno sociale e civile, spesso spaesati e bisognosi di una guida, qualche volta sicuri di sé e capaci di trascinare gli altri, ma ci sono purtroppo anche tanti altri giovani, quella maggioranza di cui scrivevo prima, che sono disinteressati e abulici, oppure, peggio ancora, sono complici dello stesso sistema contro cui gli altri combattono, sono vigliacchi e arrivisti, drogati da sfacciate ed irritanti “vecchie maniere” apprese da cattivi maestri del malaffare e della gestione del potere.
È una lotta interna, uno scontro silenzioso e lontano tra due tipi d’Italia, uno scontro che ancora non si è combattuto su un campo concreto, fisico. Per fortuna, perché in questo momento, la maggioranza dei faccendieri è dominante, forte, guidata da leaders potenti. Sarebbe difficile vincerla. E allora meglio continuare a lottare, riflettere a fondo e organizzarsi, per venire fuori da questo incubo e per allontanare la rassegnazione, cercando di dare la cittadinanza onoraria d’Italia alla giustizia ed alla legalità.