Autunno o primavera gialloverde? Per chi vede i nuovi barbari al potere, siamo all’autunno, perché si avvia la dimostrazione che alle mirabolanti promesse non possono e non potranno seguire i fatti. Ma è proprio così?
Con la chiusura sull’Ilva, la maggioranza segna un punto. Ma la vicenda è emblematica, perché segnala la distanza tra un collettore indifferenziato di proteste – marchio di fabbrica M5S – e un soggetto di governo.
Dopo il 4 marzo, M5S risponde non più a una ristretta base di militanti, ma a quasi undici milioni di votanti. Che siano grandezze incomparabili e incomponibili è certificato dalla contrapposizione tra i lavoratori, favorevoli all’accordo per salvare l’impianto, e una parte dei militanti M5S, che ne volevano la chiusura. Su questo M5S deve riflettere, per altre ingarbugliate matasse come Tap, Tav o il ponte Morandi. E si sottolinea la illusorietà di risposte di instant democracy come la piattaforma Rousseau, quand’anche se ne potessero accrescere esponenzialmente la modesta partecipazione e sanare la debolezza di fronte agli hackers.
Anche il ddl spazzacorrotti segna un punto per la maggioranza. Ci aspettiamo polemiche su punti nodali come il daspo o l’agente sotto copertura. Qualcuno vorrà argomentare di incostituzionalità, e vedremo. Ma ricordiamo che la Corte costituzionale si è mostrata saggiamente restia a entrare nelle scelte legislative su reati e sanzioni.
Quanto alla Lega, Salvini ci regala dichiarazioni truculente, in specie contro la magistratura. Sapendo di rischiare ben poco, assume censure, invettive e anatemi come medaglie. Più d’uno ritiene che il sequestro dei fondi alla fine gli serve a chiudere la partita con la Lega che fu. Il maggiore ostacolo interno ai disegni di Salvini è dato dai malpancisti duri e puri, ancora legati alle insegne di Alberto da Giussano e del granducato di Toscana. Forse la mediazione con loro sarà trovata sulla più ampia autonomia e le maggiori risorse richieste da regioni del nord e del centro. Intanto, i toni bellicosi tengono buoni i followers. Ma si ammorbidisce l’antieuropeismo, e si contribuisce a far scendere lo spread.
I partners di governo sono in una crisi di crescenza, tra sussulti e contrasti più o meno visibili. Che sia l’autunno o la primavera gialloverde dipende da come gestiranno la crescita. Fin qui, il loro consenso non cala per la truculenza delle parole e dei comportamenti. Nemmeno sul tema dei migranti, lasciato al Pd e alla sinistra. Siamo diventati un paese di razzisti e xenofobi? Perché i richiami alla Costituzione, alla solidarietà, a principi minimi di decenza e umanità, alla nostra stessa storia di migranti cadono in una sostanziale indifferenza, e non rallentano la marcia dei nuovi barbari?
Ogni scenario ha una chiave di lettura principale. In un paese profondamente segnato dalla precarietà e dall’incertezza, che vede cinque milioni nella fascia di povertà assoluta e altri milioni in quella relativa, la chiave è la paura. Dei penultimi di diventare ultimi, degli ultimi di essere dimenticati e scivolare fuori classifica, dei figli di stare peggio dei padri. Chi ha visto il ceto medio impoverito entrare in una mensa della Caritas, magari vergognandosene, può capire come tante persone dalla pelle scura suscitino il timore che con il prossimo barcone di migranti diventi più difficile trovare un posto. Lo stesso vale per il ragazzo che lavora fuori da ogni regola per una paga miserabile, per chi non può permettersi l’affitto e aspetta invano dal comune l’assegnazione di un alloggio, per chi vive in un degrado segnato dalla criminalità. Ecco le reclute di Salvini. A chi citasse i diritti costituzionalmente protetti di chicchessia risponderebbero: «E i diritti miei la Costituzione come li tutela?».
I nuovi barbari in realtà non sono né nuovi né barbari. Sono i nostri figli e nipoti. Discendono da chi per un quarto di secolo non ha orientato la centralità politica che pure aveva verso i bisogni e le paure di tanti. Da chi ha colpevolmente dissolto i partiti radicati nel territorio che avrebbero potuto cogliere quelle paure e quei bisogni, tradurli in politica, segnalarne l’urgenza.
Chi oggi vuole uscire dall’irrilevanza deve scrivere un progetto che veda italiani e migranti protagonisti insieme di una crescita di diritti individuali e collettivi. Una nuova stagione di eguali speranze. Ma non se ne vede al momento il segno.