Il discorso di fine anno delle lavoratrici e dei lavoratori della Gkn

di Dario Salvetti - minimaetmoralia.it - 06/01/2024
Smettiamo di vivere in un eterno presente senza prospettive, e proviamoci a vincere in Gkn, per dare un esempio contagioso a questo paese e al resto d’Europa. Perché sia un nuovo anno, e non semplicemente un altro anno da passare.

Allora in due anni e mezzo di assemblea permanente fare un intervento guardando l’orologio per paura di perdere il countdown è una delle cose più difficili che ci siano capitate.

E siccome poi rischio di dimenticarmelo, ma forse lo date già per scontato, faccio un po’ di spoiler: dopo il countdown e il brindisi di rito, noi ascoltiamo Zero reticoli e poi partiamo in corteo, perché è questo il motivo per cui siamo qua.

Un ringraziamento senza fine a chiunque abbia contribuito a questa serata, alle volontarie e ai volontari che sono stati ai gazebo, in cucina, al servizio d’ordine.

E invece dobbiamo delle scuse a tutte e tutti coloro che stasera non sono stati qua con noi, anche ai nostri colleghi che purtroppo travolti dalla depressione, dalla rassegnazione, dall’idea che essere qua non servisse. Noi ci scusiamo con loro, perché non siamo stati abbastanza forti, per vincere, per proteggervi, dalla fabbrica che ci vuole chiudere, che ci vuole affamare, che ci vuole buttare fuori di qua.

È facile vivere a Firenze e esaltare il Davide contro Golia, è difficile essere oggi essere quel Davide che sfida il Golia di questo sistema. E quando trovi magari quel Davide magari nemmeno lo riconosci.

Tra un po’ qua ci saranno botti, fuochi d’artificio, brindisi, ma proviamo un attimo per l’ultima volta prima di questa mezzanotte a concentrarci sul silenzio, e a sentire un rumore di sottofondo vicino a questa fabbrica, su questo territorio. Sentiamo per un attimo il rumore della speculazione immobiliare, degli interessi malavitosi, della mafia, della ndrangheta, della camorra, degli appalti, dei subappalti, della logistica, del precariato, dello sfruttamento. Sentiamolo forte, questo rumore, perché è quello con cui conviviamo ogni giorno, in un territorio alluvionato, cementificato.

Confessiamo il nostro imbarazzo come operaie e operai Gkn per avervi chiamato qua, per i nostri licenziamenti come se questo fosse l’unico problema del mondo. Purtroppo usare il termine di dramma quando si parla di licenziamenti è grottesco di fronte a quello che sta accadendo e che accade da decenni in Palestina, e che sta accadendo oggi a Gaza. È grottesco, però purtroppo la nostra vita è fatta di relativi e assoluti. Per noi quei licenziamenti sono un dramma assoluto e sono relativamente ridicoli rispetto a ciò che succede nel Mediterraneo, in Palestina, e i cinquecentomila morti nel conflitto tra Ucraina e Russia. Però noi abbiamo il compito di tenere insieme questo relativo e questo assoluto.

Se la classe qua e ora non riesce a sconfiggere le delocalizzazioni, i bassi salari e il precariato, non riesce nemmeno a occuparsi di quello che succede nel mondo.

Se noi non vinciamo la lotta per arrivare alla fine del mese, non riusciamo a vincere la lotta contro la fine del mondo.

Per tenere soggiogati in un’apparente democrazia cinque milioni e ottocentomila di poveri assoluti come in Italia, per tenere soggiogati tre milioni e mezzo di precari, per tenere soggiogati tre milioni di poveri relativi, tu in una democrazia formale li devi tenere completamente assorbiti nel modello qualunquista, consumista, inutile, in un eterno presente, senza prospettiva.

A questo eterno me ne frego fascista in cui tengono la classe operaia noi abbiamo contrapposto un noi ci prendiamo cura di un territorio, e di una comunità.

Hanno accusato le operaie e gli operai Gkn di fare politica e non sindacato. Beh, in un certo lo siamo stati, gli unici a fare politica in questo paese, e siamo stati gli unici a non farla. Non abbiamo fatto politica nel senso elettoralistico, di voto di scambio. Chi ha fatto politica sulla pelle di 185 licenziamenti è il governo Meloni, che ha fatto politica sulla nostra pelle. E contemporaneamente chi ha fatto politica presentando progetti industriali in grado di far ripartire un paese, quelli siamo noi, tutti noi e tutte voi che siete qua.

Abbiamo vinto sei condotte antisindacali in cinque anni. Ora diranno che allora c’è una via legale per la lotta. Ma noi queste condotte sindacali le abbiamo vinte in base allo statuto dei lavoratori del 1970. L’unica cosa che ci tiene in piedi è stata partorita dal bienno del ’68-’69, altroché.

In questa nostra vertenza abbiamo avuto un rapporto particolare con le organizzazioni sindacali. Le organizzazioni sindacali ci hanno sostenuto ma spesso guardato anche con diffidenza a che cosa succedeva in questa fabbrica. Noi diciamo alle organizzazioni sindacali, Cgil, Fiom, Usb, Si Cobas, che questa non è una vertenza contro le organizzazioni sindacali, ma questa è una vertenza che parla alle organizzazioni sindacali della necessità di recuperare un sindacato democratico, partecipativo, conflittuale, rivendicativo, insorgente.

E allora siccome dopo questa vittoria torneranno a lavorarci con la cronachetta, con le finte promesse, con le finte reindustrializzazioni, noi ve lo diciamo e stringiamo un patto, in questo 31 dicembre a mezzanotte: se riprendono a logorarci e ad attaccarci, sarà un nuovo… Tenetevi liberi a marzo, noi torniamo in piazza.

Così come vi annunciamo che il festival della letteratura working class tornerà a farsi e magari tutti noi ci ritroveremo lì in un festival che parla di letteratura perché in un paese che non sa fare più politica e sindacato forse recuperare narrazione e letteratura è l’unico modo di farlo.

C’è un concetto scivoloso, quello di nazionalismo, sovranismo, che lo agitano. Io credo sia giusto dire che questo governo non merita nessun tipo di aggettivo. Non sono nazionalisti, non sono sovranisti, non sono nulla. Sono servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi di questo sistema economico, questo sono. Perché altrimenti non ci sarebbe nulla da temere da migliaia di persone che si radunano a difesa di una fabbrica e di un territorio per pretendere transizione ecologica e giustizia sociale.

Dedichiamo quest’ultimo dell’anno a chi non c’è più, e in particolare, perché così abbiamo detto alla famiglia e così faremo, a Lorenzo Orsetti, che ci ricorda che tu non sai mai quando arriva la tempesta, non lo puoi sapere, ma preoccupati di essere goccia. Continuiamo a essere goccia anche nel tempo futuro. Andiamoci a prendere questo futuro. Smettiamo di vivere in un eterno presente senza prospettive, e proviamoci a vincere in Gkn, per dare un esempio contagioso a questo paese e al resto d’Europa. Perché sia un nuovo anno, e non semplicemente un altro anno da passare.

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