L’Italia non conosce una guerra, o qualcosa di simile, da ottant’anni. L’ultima terminò l’otto settembre 1943, con lo sfascio completo di tutto ciò che era ufficialmente italiano: il re scappa, i generali scappano, gli americani bombardano, i tedeschi rastrellano e danno fuoco. Eppure, l’Italia allora sopravvisse: l’alpino o il comunista che si fa comandante partigiano, il contadino del Sud o l’operaio milanese che, incontrandosi nello sfacelo, imparano fra gli spari e la neve la lezione dura. E poi gli anni durissimi della ricostruzione, con le biciclette davanti alle fabbriche che diventano motorini e poi lambrette e poi cinquecento e seicento. E coi grandi statisti di allora - i Togliatti, i De Gasperi, gli Einaudi, i Nenni - con la loro repubblica, e con quel popolo buono di cui il Covid uccide ora gli ultimi anziani testimoni.
Certo, tempi antichissimi, di cui non sappiamo niente, e niente vogliamo sapere: eppure, la chiave è là. Bisogna sapere chi erano quei politici, e che cosa hanno fatto. Non per paragonarli agli attuali, che sono comici, e nemmeno per imitarli: ma semplicemente per sapere che si può sopravvivere al panico, riflettere e fare Stato con calma e sicurezza. Non sono i vecchi capi e notabili che ci caveranno dai guai: sarà una generazione giovane, d’età o di cuore, parlando poco, facendo molto e affrontando i problemi ad uno ad uno.
* * *
Noi, qui, ci occupiamo di mafia, è l’antimafia il nostro mestiere. Sappiamo dunque qual è il primo problema italiano, dei denari che mancano, del lavoro abolito, dei giovani che se ne vanno (altro che paura degli immigrati!) o restano a vegetare cupi e silenziosi. Non è vero che c’è la crisi: non c’è per tutti. I soldi invece ci sono, moltissimi sono di mafia e una parte addirittura sono formalmente confiscati.
Abbiamo visto, quest’estate, come questa confisca sia solo teorica e come le risorse vitali restino in mano ai mafiosi e vengano negate a chi ne avrebbe bisogno e saprebbe farle fruttare.
Perciò, il primo passo è semplice: prendere le ricchezze illegali e darle in gestione a chi lavora. Non come elemosina, ma come investimento sano e produttivo, come un grande Piano Marshall dei poveri, come - per dirla in prosa - un potentissimo calcio nel sedere all’economia italiana, a tutta l’incastellatura di privilegi, incompetenze, pigrizie e autocrazie che è, prima ancora del virus, la malattia congenita del belpaese.
* * *
“I soldi dei mafiosi a chi lavora”: con questa parola d’ordine comincia il nostro concreto lavoro di quest’anno. E’ un obiettivo politico, diciamolo con chiarezza: ma di un’altra politica, quella della repubblica, del dopoguerra. I nostri “politici” siete voi che ascoltate, ragazze e ragazzi che arrivate ora, o amici che avete già fatto parte, in un modo o nell’altro, della nostra storia. Il momento è ora: questo è l’otto settembre e nessuno ci salverà se non ci salveremo noi stessi.
I Siciliani giovani