C’era una volta l’accordo di governo. Ora abbiamo la minaccia di governo. Tale almeno appare lo scambio sulla prescrizione tra Renzi dall’assemblea di IV, e il ministro Bonafede. Le voci di saggezza e di buon senso anche giuridico sono flebili.
A Palazzo Chigi il barometro volge di nuovo al basso. Vengono al pettine anche altre questioni. È stato fissato per il 29 marzo il voto per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. La cosa non ha fatto notizia ed è passata quasi inosservata, perché si anticipa una facile vittoria dei sì. Ma oggettivamente, con il probabile esito positivo del voto popolare, si riapre la via per uno scioglimento anticipato delle camere. Due voci autorevoli evidenziano da destra valutazioni divergenti.
Il 29 gennaio su La Verità Tremonti auspica fortemente lo scioglimento delle camere subito dopo il referendum, e comunque prima dell’elezione del capo dello stato nel 2022. Brunetta su Repubblica avanza l’opposta tesi di un cambio di governo a legislatura invariata, aprendo a Renzi e Italia Viva, a partire proprio dalla prescrizione. Due diversi copioni: il primo, voto al più presto per l’egemonia di una destra a trazione leghista; il secondo, no al voto immediato, per difendere uno spazio al centro, e allentare l’abbraccio soffocante dell’amico-nemico leghista.
Preliminarmente, va detto che il taglio dei parlamentari – come realizzato – è una riforma inaccettabile, nel merito e nel metodo. Riduce drasticamente la rappresentatività delle camere con la sola giustificazione di un risibile risparmio, e al di fuori di qualsiasi riflessione organica e di sistema. Paragoni con precedenti proposte, anche da sinistra, sono improponibili. Quelle proposte venivano quando vere organizzazioni di partito erano un collettore effettivo della domanda sociale, poi tradotta dai rappresentanti degli stessi partiti nelle istituzioni, espressione del paese grazie a un sistema elettorale pienamente proporzionale. Il numero dei rappresentanti era elemento assai meno critico che nella realtà di oggi, in cui le solide organizzazioni di un tempo sono ridotte – salvo la Lega – a ectoplasmi, e la rappresentatività delle assemblee è condannata come lesiva del sommo bene della governabilità.
Oggi, ridurre la rappresentatività delle assemblee elettive reca danni non recuperabili. Ancor più considerando che i rattoppi ipotizzati dalla stessa maggioranza – dal superamento della base regionale per il senato a una legge elettorale proporzionale – sono lontani dal realizzarsi, e forse sono in dubbio più di ieri. In M5S sembra prevalere la linea dimaiana dell’isolamento, confermata dal reggente Crimi e da ultimo praticata con l’anatema nel caso dell’assessore M5S nella giunta di Pesaro. Questo proietta M5S nella posizione di competitor nelle competizioni elettorali, come è già accaduto in Emilia-Romagna e Calabria, accadrà il 23 febbraio nelle suppletive per un seggio senatoriale a Napoli, potrebbe accadere nelle regionali di maggio. Questo accentua la propensione di ciascuna forza politica alla tutela esclusiva del proprio interesse, e certo può incidere negativamente sulle riforme da fare.
È inaccettabile che manomissioni della Costituzione anche di grande rilievo – come è il taglio dei parlamentari – siano strumentalizzate come bandierine identitarie, o moneta di scambio per la costruzione di accordi di governo, per di più precari. Si apre così la strada a una perenne instabilità delle regole fondamentali, in ultima analisi legate alle fortune di questa o quella forza politica. La salus rei publicae richiede di costruire gli argini possibili: aggravare l’art. 138 Cost. con innalzamento del quorum e referendum necessario; adottare un sistema elettorale rigorosamente proporzionale con soglia non troppo alta; scrivere una legge sui partiti politici fondata sui diritti degli iscritti e sulla loro giustiziabilità.
Tagliare per il solo risparmio di spesa, al di fuori di un quadro organico di interventi sul testo costituzionale e sul sistema elettorale, è stato un errore. Impone nel voto del 29 marzo il chiaro segnale di un NO, quali che siano previsioni e sondaggi.
Su iniziativa della Fondazione Einaudi se ne discute martedì 4 febbraio a Roma, nella sala Isma del Senato in piazza Capranica 72, in una assemblea generale dei nascenti comitati per il no.