Gabriel García Márquez ha scritto un romanzo memorabile “L’amore ai tempi del colera”, in cui il colera fa solo da sfondo e cronologia a una storia d’amore a distanza, costruita soprattutto su un rapporto epistolare intenso, ma anche depistante, fuorviante eppure più appassionato e più sentito, perché cresciuto e nutrito dal cuore e dall’immaginazione e non dalla vicinanza fisica. Un amore che i due amanti Florentino e Fermina consumeranno solo dopo "cinquantun anni nove mesi e quattro giorni, notti comprese" di attesa.
Beh?, vi e mi chiederete, e cosa c’entra con il corona virus? C’entra eccome: attualmente le nostre relazioni interpersonali sono stabilite da precise ordinanze governative, da suggerimenti di comportamento cauti e prudenti, oltre che banali e scontati: lavarsi le mani, coprirsi la bocca e il naso se si starnutisce, stare distanti da assembramenti, non stringersi le mani e tanto meno abbracciarsi e baciarsi come si faceva prima con amici e conoscenti, o bere dallo stesso bicchiere. Tutti i locali pubblici stanno chiudendo, compresi scuole, musei e teatri, sconsigliate le festicciole in casa e proibito recarsi negli ospedali, se non in casi di assoluta emergenza.
Anche noi torneremo… veramente stiamo già tornando… a rapporti epistolari, certo molto più veloci di una volta: c’è internet, skype, whatsapp, il cellulare oltre al telefono, i social, etc.
Norman Rockwell
Si potrà fare lezione via internet, come in alcuni racconti di fantascienza degli anni 60, i bambini nasceranno per inseminazione artificiale e verranno cresciuti da robot domestici, che si possono disinfettare…
E va bene, è una provocazione e me ne sto andando per fratte, come quella lettrice di fantascienza che sono, ma non è tutta science fiction quella che accade sotto i nostri occhi, purtroppo. E il sospetto che ci sia qualcosa che non ci viene detto cresce di giorno in giorno e diventa consapevolezza che la data del 15 marzo, per tirare i remi in barca e fare il punto della situazione, non è che una tappa e non certo il traguardo finale, tanto è vero che in pochi giorni è già scivolata al 3 aprile.
In questo grande dramma mondiale ci sono tanti piccoli drammi personali, storie minime, ma dolorose: chi non ha potuto raggiungere amici o parenti nel nord Italia; chi si è sposato solo coi parenti stretti; chi si doveva laureare e non ha potuto farlo; chi ha sepolto i suoi cari in assoluta solitudine; chi doveva mettere in scena uno spettacolo, ormai posticipato sine die; chi doveva essere la solista in un saggio di danza che non si fa più; chi deve partorire ma non sa più dove e mille altre storie di angosce, oltre che di paura e di psicosi. Anche fare la fila alla cassa del market crea ansia e non si sa più come impegnare i bambini che non solo non vanno a scuola, ma non possono fare nessuna delle attività (sport, piscina, lezioni di danza o di lingua straniera, etc.) che si facevano “prima del virus” e rischiano di venir parcheggiati davanti alla TV o al computer…
Ma noi cosa facevamo nelle precedenti epidemie? Eh sì, perché abbiamo attraversato diverse volte contingenze come questa, ma non con questa sensazione di fine del mondo. Mio fratello mi ha segnalato questo sito
https://video.corriere.it/cronaca/nel-1969-l-epidemia-hong-kong-colpi-l-italia-servizio-rai-50-anni-fa/6ad11fba-5d2d-11ea-ad92-9d72350309c8
Si tratta di film Luce, documentari che parlano della epidemia di influenza di Hong Kong, che colpì il mondo nel 1969. I numeri sono ben più gravi di quelli odierni, ma il tono è molto più sereno. Forse è per questo che francamente io non mi ricordavo affatto di questa epidemia, sarà che oltre tutto nel 1969 noi ragazzi di allora vivevamo una stagione politica esaltante, entusiasmante e nuova e non ci preoccupavamo di contagiarci in affollatissime assemblee, manifestazioni e cortei, anche perché nessuno ci diceva che poteva essere pericoloso. Invece ricordo molto bene l’epidemia precedente, quella dell’ “Asiatica” del 1957; ce la prendemmo tutti in famiglia: mamma, papà, il mio fratellino ed io. Ricordo benissimo che la mia amatissima zia arrivava ( aveva le chiavi di casa nostra) con la domestica (povera!) portandoci il pranzo, che veniva poggiato, in grandi fagotti di pentole e zuppiere, su una bassa cassapanca dell’ingresso. Poi scappavano via e di pomeriggio venivano portati via i piatti e le pentole. Mamma e papà – quando stavamo ormai meglio – ci impegnavano in giochi divertenti: ricordo soprattutto lo “Shangai”, coi bastoncini colorati che dovevano essere sfilati senza muovere gli altri, Monopoli, e “mari-monti-fiumi-città” gioco bellissimo in cui, estratta una lettera, si dovevano trovare i nomi di diverse categorie di cose ( un gioco bello e utile che continuammo a giocare, a livelli più alti di difficoltà, per anni e anni a venire) e non avevamo internet, TV e altre distrazioni. La mamma ci raccontava, come fossero fiabe, i classici del passato: l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, ma anche le grandi storie: quella di Mowgli ne Il libro della giungla e quella di Kim di Kipling; e poi Zanna Bianca di Jack London e tanti altri classici. Chissà perché di quella epidemia ho un ricordo allegro e divertente, come una vacanza insperata. Forse lo spirito che dobbiamo ritrovare oggi deve essere quello di allora: godiamoci il fatto di essere sani, di stare insieme ai nostri familiari avendo il tempo di ricostruire e approfondire rapporti che si sono diradati e resi superficiali da una vita fin troppo agitata e inzeppata di numerosi impegni giornalieri, in gran parte non proprio fondamentali. Vivere di nuovo in famiglia, trovando nuovi motivi per stare insieme: rimettere a posto la casa, rifacendo tende e cuscini, riparando piccoli guasti; imparare a fare il pane o la pizza, o qualche ricetta regionale; fare gare di qualche gioco divertente come “indovina il titolo del film”; leggere insieme qualche storia immortale e che i ragazzini di oggi non conoscono più se non in cartone animato o in film, come Peter Pan, Alice, Pinocchio o il giornalino di Giamburrasca; fare maratone di vecchi film o serie tv, etc. All’inizio sarà difficile, ma poi tutto scorrerà liscio come l’olio e si uscirà da questa contingenza molto più ricchi e consapevoli di prima. E più uniti.
Lo so, lo so, sono una inguaribile ottimista, ma penso davvero che si deve trovare il meglio in qualsiasi situazione e il tempo passerà più in fretta. Parlo per noi a cui non si chiede di essere eroi e di mettere in gioco la salute e la vita aiutando gli altri. Noi dobbiamo trovare solo il modo più utile e piacevole per venire a capo di questo periodo infelice. E con questo spirito costruttivo ce la faremo, non ho dubbi.
Salvador Dalì
Ma questo tempo da Purgatorio deve anche servire a capire quello che sta succedendo al nostro pianeta e riflettere su che rapporto ci può essere fra l’inquinamento selvaggio e questo virus, per esempio. Le polveri sottili in Cina e in Lombardia hanno qualche legame? E il fatto che in Cina il virus sembri in remissione, avrà un relazione col fatto che nessuno gira più in macchina e l’atmosfera è più pulita? Magari sto dicendo sciocchezze, ma se queste riflessioni ci portassero a una maggiore consapevolezza del nostro compito di protettori e guardiani della Natura, non sarebbe una grandiosa e straordinaria occasione di crescita umana e culturale? Speriamo di sì. E buona fortuna a tutti noi.
Barbara Fois