La legge del caos o la legge del più forte.

di Corrado Fois - Liberacittadinanza - 30/04/2020
Bisogna scegliere tra la supervisione totalitaria e la responsabilizzazione del Cittadino e tra isolamento nazionalista e solidarietà mondiale ( Yuval Harari)

Yuval Harari è uno dei consulenti strategici , relativamente alle ricadute sociali dei processi di trasformazione e degli eventi imprevisti, di imprenditori come Bill Gates, ma anche di politici del calibro di Angela Merkel. Nella sua prestigiosa attività di storico e di divulgatore, che è alla base della sua notorietà, ha scritto un libro straordinario che apre il campo a riflessioni profonde su come ripensare il modo di vivere e di interpretare la realtà in cui siamo, spesso inconsapevolmente, immersi . Lo suggerisco per chi non l’avesse letto: Sapiens da animali a dei ( Bompiani ). Le sue recenti riflessioni sulla pandemia in corso, apparse nella stampa internazionale, sono estremamente stimolanti. Non consolatorie , non allarmanti, ma fattuali. Dice Harari , lo riporto in sintesi, prima di tutto che le pandemie sono parte della nostra storia ed avvengono con ciclicità da sempre, anche se fingiamo di accorgercene solo ora. Ad esse reagiamo in modo sostanzialmente simile. Ad esempio, come abbiamo visto nell’interessante articolo di Barbara, si riscontrano assolute simmetrie, anche comportamentali, tra le politiche di contingentamento del Covid19 e la crisi da febbre Spagnola . Harari considera tuttavia che negli anni abbiamo compiuto due passi avanti assolutamente paralleli. Da un lato le pandemie sono accelerate dai mezzi di trasporto e di contatto sociale che sono veicolatori potenti ( tempo pandemico stimato oggi 12 giorni contro i presumibili 12 mesi del passato ) e di contro abbiamo sviluppato la capacità di individuare velocemente il virus ( circa 2 settimane oggi , sconosciuto il tempo in passato). Dunque se da un lato siamo più esposti al contagio, dall’altro siamo più capaci di capire e proteggerci e questo , grazie ai grandi canali della solidarietà medica, aldilà del divario tecnologico tra i vari Paesi. In altre parole: scopriamo l’ agente in due settimane e ne informiamo l’intera comunità medica, dall’Alaska al Sud Africa, in tempo reale. L’umanità reagisce alla trasformazione complessiva con diseguali capacità di risposta ma con identiche modalità di comprensione e porta a fattore comune sia le scoperte che le soluzioni, nella convinzione che ormai nel mondo globalizzato la soluzione è comune o non è.

Harari sulla base di queste riflessione iniziale pone una questione diversa al dilemma medico che oggi appassiona tutti ( abbiamo la risposta terapeutica?) ed accentua il tema sociologico e politico leggendo le conseguenze e le implicazioni generate dal fenomeno in oggetto. Vediamo come. Prima di tutto assetta , a fattore comune,una precisa visione , deve esser chiaro –dice- che il mondo del futuro sarà, in tempi assai veloci, profondamente diverso da quello precedente alla pandemia, assisteremo infatti ad un profondo cambiamento di paradigma sociale.

La nuova realtà sarà condizionata dalle scelte , politiche e culturali, sia collettive che personali che hanno condizionato la risposta messa in campo in ogni singolo Paese. Atteggiamenti mentali e fattori comportamenti conseguenti scaturiscono infatti da come abbiamo affrontato i giorni del contagio . In particolare cita due temi. Il primo riguarda il controllo dall’alto a cui ci siamo abituati nei tempi del panico iniziale. Esso trasforma il meccanismo centrale delle democrazie liberaldemocratiche fondate sulla libertà di scelta e la responsabilità individuale del Cittadino coordinate da un potere gestionale che ne interpreta, tramite il parlamento , le necessità e le attese. In questo senso Yuval ci pone davanti ad un quesito che appare subito centrale rispetto alle cosiddette fasi di normalizzazione : fino a che punto è corretto gestire la vita del singolo ( cita ad esempio la Svezia socialdemocratica che ha seguito la strada dei consigli e non delle coercizioni e pare che le cose non vadano peggio..anzi ). E pone due questioni precise : quando ed in che modo questo controllo dall’alto avrà termine? Come verranno utilizzati i dati conseguenti alla mole di informazioni raccolte ad esempio con la tracciatura degli spostamenti individuali? Ed infine, quale dialettica politica e quale contrappeso di poteri garantisce dall’uso distorto che di tutto ciò può fare il sistema di potere reale esistente nei sistemi stato? Non abbiamo alcun elemento di chiarificazione in tal senso. A parte alcune blande rassicurazioni sui tempi di vita del databank. La nostra libertà umana è , nel frattempo, totalmente in mano ad un sistema decisorio oggi manifestamente di tipo oligarchico.

Il secondo passaggio di riflessione è intimamente connesso al primo : come, in un sistema mondiale ad alta competizione economica e geopolitica, si potrà evitare l’uso strumentale e strategico delle difficoltà vissute da ogni Paese ? L’asimmetria economico finanziaria generata dall’impatto variante della crisi potrebbe trasformare interi Paesi, noi ad esempio, da cooperanti a prede. Alcune economie egemoni sarebbero in grado di condizionare lo sviluppo, e quindi il peso politico, di intere aree geografiche determinando di conseguenza un nuovo ordine mondiale, simile all’effetto di una vera guerra mondiale. Seguendo l’indicazione a valutare ciò che potrebbe accadere non è difficile immaginare una sorta di nuova Yalta, dove pochi governi decideranno il destino e l’equilibrio di un intero Pianeta. E tra questi dobbiamo contare almeno due decisamente lontani da ogni forma di libertà garantita, la Cina e la Russia.

Il tema della solidarietà apparente che pone Harari ci deve far dunque riflettere. Passata la fase del primo sostegno determinata dalla comune reazione alla pandemia, quale organo internazionale vigilerà sul sistema di rapporti tra Nazioni forti e deboli, tra forti e sopravvissuti? Quale sovra governo garantirà tutti dagli appetiti di singoli Paesi o dei gruppi di interesse? Nessuno, perché semplicemente, quest’organo, non esiste.

E qui si apre un campo di riflessioni inesplorate su cui Yuval Harari ci invita a investire la nostra attenzione di Cittadini. Cita due punti cogenti, l’informazione come processo manipolatorio ed i gruppi di pressione come elemento reattivo.

Il primo tema è cogente e riguarda l’apparente libertà di comunicazione. Come sappiamo le grandi catene di informazione di massa, i network, sono gestiti da editori non neutrali. Osserviamo ad esempio la CNN che da sempre rappresenta l’area politica gravitante intorno al capitalismo finanziario che in USA ha espresso presidenti come Clinton ed Obama, o il network Fox che invece è strettamente connesso al capitalismo industriale che , a sua volta, ha espresso presidenti come i Bush ed ora Trump. I due editori veicolano messaggi coerenti con gli interessi che proteggono. Uno spinge verso il percorso prudenziale delle fasi seguenti all’uscita dal picco pandemico, poiché avvantaggia la speculazione finanziaria attuata dai grandi gruppi di Wall Street o della City; l’altro spinge per una maggiore velocità di normalizzazione in scia con quanto dichiarato dall’associazione industriale statunitense. Troviamo le propaggini di questi orientamenti anche in Italia, Conte ad esempio e di contro Salvini che preme sull’acceleratore. Stessa consonanza in Francia, Macron da un lato, Le Pen dall’altro. In Germania, Merkel da un lato AFD dall’altro. Il collegamento tra gruppi di interesse, network di comunicazione, politici appare evidente quando semplicemente l’osserviamo. E tutti questi attori sono orientati a gestire la pubblica opinione determinando consenso verso una o l’altra parte, andando ben aldilà di ogni verità fattuale. Parallelamente nella sedicente comunicazione libera, i social, vediamo la pressione esercitata ad esempio dai trolls russi, circa 500 siti secondo stime prudenziali, tesi a dimostrare che dove si radicalizza la gestione centralistica il virus viene battuto o contenuto e che sostengono apertamente le svolte autoritarie dei paesi dell’est Europa come Ungheria o Polonia. Un combinato disposto tra network noti ed agitatori sconosciuti che determina quella confusione ben riscontrabile nella pubblica opinione.

Harari poi si rivolge al Cittadino e ne sollecita la presenza in campo e la vigilanza costante. Stimola la creazione di gruppi di pressione sociale, come fu per l’ambiente con Greta, che pongano subito e fermamente la questione dei sistemi di controllo sull’informazione e sulla gestione degli strumenti di contenimento e soprattutto pongano l’accento sulla gestione delle conseguenze geopolitiche della crisi pandemica. Dovrebbero, i gruppi, spingere i governi a chiedere la creazione di un organo internazionale di guida che veda Paesi rappresentativi dei diversi sistemi/livelli economici coinvolti nel processo di controllo globale sui movimenti finanziari, le compravendite di imprese, la gestione del debito e che dunque spingano verso una solidarietà internazionale che freni l’altrimenti inevitabile crescita della diseguaglianza mondiale e la possibile generazione di un nuovo ordine globale.

Ed è qui che troviamo un aggancio alla legge del caos, neanche tanto sfumato.

Essa ci insegna che un evento di qualsiasi natura produce, oltre una serie di impatti prevedibili, una catena di conseguenze inattese che influenzano campi diversi fino a modificare totalmente situazioni ben distanti dal problema originario. Niente di strano dunque se una epidemia di polmonite virale diventa il fattore abiliitante per un riassetto degli equilibri politici nell’ambito di ogni paese, in chiave oligarchico autoritaria e di una trasformazione degli equilibri mondiali, nel senso del verticismo decisorio.

La legge del più forte e la legge del caos si incrociano in un mix di problematiche che Yuval Harari ci spinge ad osservare perché noi, ipnotizzati dal contagio, corriamo il rischio di perderle di vista e di perdere così la libertà, almeno apparente, che abbiamo faticosamente conquistato.

Una brevissima annotazione conclusiva riguarda il fattore tempo e la velocità di trasformazione degli eventi. Poco dopo l’epidemia di spagnola il presidente americano Wilson dichiarò che il mondo avrebbe sconfitto la povertà in dieci anni. Venne il 1920 l’euforia finanziaria , il Charleston, gli anni ruggenti, le grandi feste narrate da Francis Scott Fitzgerald, l’industria cinematografica che impose nuovi miti sociali. Nel 1921 fu varato il proibizionismo che favorì la crescita di un sistema criminale fino a quel momento secondario , la Mafia. Nel 1922 il fascismo prese l’Italia ed in pochi anni si diffuse ovunque in Europa influenzando scelte politiche, sistemi di valori, comportamenti individuali. Nel 1929 crollò la borsa americana , fallirono le banche, il mondo occidentale finì in bancarotta e conobbe una profondissima recessione. Nel 1933 Adolf Hitler conquistò la Germania . Sei anni dopo scoppiò la seconda guerra mondiale che scaturì un diverso ordine mondiale. In soli vent’anni il mondo passò da una pandemia mortale, all’euforia finanziaria, alla depressione economica, ai totalitarismi, alla guerra, alla separazione geopolitica che condizionò per cinquanta anni gli equilibri del pianeta.

In un mondo come il nostro, infinitamente più rapido, quanto tempo abbiamo?

 

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