Quello che doveva succedere sta succedendo.
Gli anni di calma piatta sono finiti . Per almeno due lustri tutti i vari Governi, nelle variegate forme che il mondo conosce, han fatto passare riduzioni di spazi di libertà, diseguaglianze sempre più insostenibili, asimmetrie sociali e politiche, maldestra gestione dei flussi migratori e delle politiche di integrazione. Tuttavia per scorgere segni di una qualche reazione del disagio popolare , fino ad ieri, bisognava guardare ai Paesi immersi nella più ingiusta delle gestioni, nella più sfacciata autocrazia. Nei Paesi stabilizzati, al contrario, qualsiasi cosa scivolava nella generale disattenzione, tra giochetti sui social, trionfo del farsi i fatti propri, disillusioni che respingevano dentro comodi quanto illusori gusci. Basta guardarsi intorno per capire d’essere piombati dentro tutta un’altra storia. Imprevista? No, ne parlavo proprio nel blog in un recente post a cui quest’ultimo è collegato. La pentola ribolliva da tempo. Ma le forme reattive , le aggregazioni che si formano nella ormai ampia e variegata area antagonista, sono nuove, mescolate, ancora tutte da comprendere e gli esiti , questi si, sono imprevedibili.
Provo a riflettere su quel che accade con il massimo dell’aderenza ai fatti che mi riesce, ma vorrei anche guardare oltre l’evidenza cercando di capire la natura e le radici di queste forme antagoniste, politiche e non, quali azioni e reazioni sono possibili e fin dove si potrà arrivare. Guarderò quelle forme di conflitto sociale esistenti , decisamente differenti tra loro, che in una nuova ed inusuale mescola contribuiscono a riempire la polveriera su cui è seduta la democrazia.
Lo schema di riflessione è naturalmente sintetico, e si articola su tre tipologie di conflitto : quello istituzionale, nelle forme del rifiuto di norme od accordi tra governi; quello indipendentista , teso ad affermare il diritto di autodeterminazione di una specifica Comunità; quello di classe che oggi assume varie forme come ad esempio l’incrocio con nuove culture, i mischiamenti che ne derivano ed i diversi contenitori ideologici in cui si incanala. Insomma , come direbbe mia sorella, due parole sull’universo. Ci provo comunque perché ho voglia e bisogno di sintesi. E scrivere aiuta.
Hong Kong continua a bruciare. Chi ricorda la capitale dell’affarismo e del gioco, della tecnologia e del turismo da ricchi sgrana gli occhi davanti alle immagini che le televisioni rimbalzano fino a casa nostra. Chi ha Sky può seguire le major internazionali da CNN, BBC in poi. Sono meno censurate e più approfondite delle nostre. E sono scioccanti. Milioni di persone di ogni età scendono in piazza. Ogni giorno. Ed è incredibile vedere la quantità e la diversità di quella gente che sfila tra lussuosi grattaceli e sotto insegne coloratissime. Perché non è la sporca e derelitta Caracas o la fatiscente Islamabad lo scenario di sfondo, ma una delle perle del capitalismo contemporaneo. E questo già da solo è uno spettacolo che stupisce ed inquieta i sonni di altre sonnecchianti, ma sensibili piazze orientali, come la vicina Singapore gestita con mano fermissima dall’oligarchia locale. Altrettanto sorprendente è vedere momenti degni di un’ insurrezione ( Polizia che spara, manifestanti con le molotov ) far paio con quieti anziani che manifestano tra fiori e palloncini magari solo poche strade più in là. Cosa chiedono ? Qual è lo spirito che anima questa gente? Non è il bisogno , la fame che li spinge , ma il senso della libertà minacciata, la percezione di essere stati gettati come merce di scambio nel dialogo tra potenze. Non sfilano mostrando Che Guevara come a Maracaibo rivendicando la vera rivoluzione contro il burocratismo bolivariano, e nemmeno con le bandiere rosse dell’antagonismo sociale, come a Santiago. Sventolano invece la bandiera americana e quella inglese , certo non per amore verso questi Paesi, ma per marcare le distanze dalla Cina che minaccia di ingoiare la piccola ricca città asiatica. Un Popolo benestante si batte sotto le bandiere del capitalismo liberista occidentale, che almeno promette libertà individuali garantite, contro la patria del capitalismo monopolistico di stato, che omologa e rende sudditi. E’ una strana battaglia. Non è scontro di classe, ma di affermazione del principio di diritto. Una battaglia di indipendenza, di autodeterminazione. Difficile vederne i leader, c’è qualche portavoce. Una diafana ragazza, un giovane occhialuto che pare un nerd. Il movimento non vuole capi carismatici né quadrature leniniste (“prima il partito”) vuole restare fluido ed unire teste diverse sotto lo stesso ombrello. Letteralmente. L’obiettivo è contrastare la piena applicazione del trattato tra UK e Cina siglato ben più di vent’anni fa. La generazione dei nativi digitali , nata in questo millennio, vuole mettere il proprio marchio nel futuro , non lo vuole già scritto da chi li ha preceduti. I ragazzi non intendono subire un accordo redatto in altri tempi, ormai lontani. Gli anziani invece si battono perché ricordano le loro fughe dal sistema schiacciante che il maoismo aveva imposto al Popolo cinese. Generazioni diverse sono unite da questo spettro comune: essere espropriati delle loro stesse scelte. Dei loro sogni, giusti o sbagliati che siano. La Cina per ora sta quieta, impegnata a gestire con il consueto pragmatismo una negoziazione sui dazi che Trump ha impostato in modo rozzo. Ha bisogno di capire le possibili conseguenze prima di reagire alle proteste di piazza ed alla maniera confuciana si prende tutto il tempo che le serve. Aspetta anche di valutare che tipo di durezza ed esperienza questi giovani figli del benessere siano in grado di mettere realmente in campo. Sonda la loro tenuta infiltrando i cortei con esperti provocatori, cerca gli incidenti che facciano dire all’ Occidente : ma quanto è degenerata la protesta! Qualcosa di queste manovre si è già visto nei vari reportage. Spettacoli agghiaccianti. Non so dire quanto un movimento , non gestito e spontaneista, possa affrontare infiltrazioni professionali. L’esperienza mi insegna che non sarà facile se non con accuratissimi servizi d’ordine. Non ho nemmeno chiaro quanto la responsabilità della violenza e del caos in arrivo spaventerà e dividerà questa grande massa ancora indistinta. Ed è, infine, ancor meno chiaro chi possa incanalare la protesta come strumento per giungere ad un tavolo negoziale, magari internazionale, e come questo sarà gestito. Le incognite sono molte, i punti netti pochissimi. Staremo a vedere.
Penso che a breve la Cina non deciderà di attraversare quella frontiera ancora così sensibile e che non farà di Hong Kong la Crimea dell’Asia. Almeno me lo auguro. Per quegli straordinari ragazzi, e per tutti noi.
Barcellona brulica di gente, ma odora di lacrimogeni e benzina. Di rabbia e protesta. E dalla Spagna arrivano nuove brutte notizie per il Fronte Catalano. Vox, la Lega spagnola, è entrata in Parlamento con 52 deputati, a danno del PPE. I commentatori locali dicono che il successo è arrivato sull’onda del nazionalismo anti indipendentista che lievita in tutta la Spagna centrale, cavalcato dall’astuto Santiago Abascal con frasi fatte e slogan d’altri tempi. Questa è una cosa davvero inquietante, perché radicalizza ancor più le posizioni nello scontro già acceso lungo le strade di Catalogna.
Ricordo perfettamente cosa pagò la Spagna per non aver saputo intendere le richieste di un altro indipendentismo, quello Basco. Anni di terrorismo. Centinaia di morti. Gli indipendentisti baschi hanno un’antica storia politica , furono tra i primi a sostenere il socialismo, anche se autonomo e quasi su base etnica. Si batterono a fianco della Repubblica, fin dal golpe e dopo la fine della Guerra Civile, contro il governo del Caudillo centralista ed ipernazionalista. Fu una lunga terribile guerra a bassa intensità terminata negli anni ‘70 con l’assassinio dell’ ultimo strenuo cupo difensore del franchismo, El Ogro ( l’orco ) Luis Carrero Blanco, fatto saltare in aria con un atto rivoluzionario dai militanti Baschi. Un attentato su cui si fece, anche a Sinistra, molto inutile moralismo. Proseguirono nel tempo seguente, agendo contro lo stato democratico appena creato, accusandolo di mancare alle promesse fatte al tempo del comune antifascismo. Gonzales insediatosi al governo mise fine al potere militare dell‘ Eta decapitandola brutalmente. Ottenne questo successo con metodi extraparlamentari, ben al di là della legge. Permise la creazione delle squadre della morte. Specialisti addestrati, scelti nei servizi di sicurezza . Gruppi ristretti, 4 massimo 6 persone , che andavano ovunque per uccidere i militanti di spicco ed i capi strategici dell’Eta, anche nelle strade d’Europa. In Francia di certo, forse anche in Italia. Erano i GAL ( Gruppi Antiterrorismo di Liberazione ) le squadre segrete del generale Rodriguez Galindo. Ne parlò per primo Juan Ramon Recalde, ex ministro della Giustizia dell' amministrazione autonoma basca . Fu lui che scoperchiò la pentola raccontando la tremenda vicenda. Recalde è un membro di spicco del socialismo spagnolo. Un libertario che crede in una semplice cosa: lo stato è veramente democratico quando resta fedele ai suoi principi di giustizia e di legalità, sempre. Dichiarò a suo tempo: "Tutta la Spagna sapeva". Tirò in campo come responsabili Il governo di Gonzalez e tutto il suo PSOE ricco di venature nazionaliste, l' opposizione di destra, persino l' opinione pubblica. Tutti avevano capito che dietro i Gal c' erano gli apparati di sicurezza, disse Recalde, e concluse il suo intervento con una frase piena di dolorosa consapevolezza: "..si scelse la logica dell' occhio per occhio. E tutti implicitamente l' accettammo. Fu il nostro errore, è la nostra colpa". Era la “guerra sucia” ( sporca guerra ) come la chiamavano gli stessi spagnoli. Insanguinò tutti gli anni ottanta fino al 1995, quando la storia dei Gal divenne pubblica e costrinse ad un profondo ripensamento dei metodi usati dal governo democratico, metodi che lo portarono ad essere paragonato ai mattatoi franchisti. Furono anni tremendi, difficili da archiviare. Riproponibili? Speriamo di no, ma può accadere.
Ora, mentre la Catalogna insorge, i Paesi Baschi stanno a guardare con attenzione ogni sviluppo ben consapevoli di come possa evolvere o degenerare. Nel quadro delle possibili reazioni al conflitto indipendentista va capita una cosa, più generale: se Vox rappresenta la parte manifesta e più populista del nazionalismo spagnolo , questo non è esclusiva della destra. Anche Sanchez ha una posizione dura sulla richiesta di autodeterminazione del Popolo Catalano. Anch’egli è profondamente nazionalista. Così mentre le piazze ribollono, mentre l’indipendentismo ritorna prepotentemente in campo qualcosa d’altro riemerge , scavato nel profondo del complesso animo spagnolo, e si muove trasversalmente, perché non appartiene solo ad una parte. E’ l’anima cupa della Spagna. Un Paese che sembra aperto e moderno , che tollera la diversità e crea nuovi modelli di vita, che ospita con simpatia ed affascina per le sue curiose contraddizioni , ma che nel cuore sa covare rancori sordi e rabbie di lunga durata. E che dentro , da sempre, ha la forza di scelte estreme. “Estamos aqui” ( ci siamo ) . Dicono si sia trovata questa scritta una mattina ,sui muri di una caserma. La caserma del Tercio. La legione straniera spagnola, Los novios de la muerte. La milizia che sostenne il golpe di Franco. Mette i brividi.
Ma non si registrano solamente conflitti legati al principio di autodeterminazione.
Si ripropone con durezza lo scontro di classe, che qualche anima bella sperava sepolto per sempre. L’antagonismo sociale, riacceso da una sfrontata e mai gestita diseguaglianza, prende direzioni impreviste e scarsamente leggibili con gli strumenti ed i pregiudizi di sempre. Nell’ Occidente del nuovo millennio, in cui la sinistra ha smesso d’essere contrappeso allo sfruttamento, l’antagonismo si espande in forme travisate, differenti dal passato eppure evidenti.
La Francia è l’unico Paese europeo che abbia fatto una vera rivoluzione. Da sempre i governi tremano quando i francesi scendono in piazza. Lo fanno di rado, ma quando si incazzano si sente l’eco delle grida fin dentro l’Eliseo. Ricordo una protesta dei camionisti che inchiodò il traffico di ogni strada in ogni dove, da Marsiglia a Parigi. E ricordo, assai bene, i metodi repressivi della Gendarmerie che incontrai molti, molti anni fa nelle strade e nei piazzali di Nanterre, davanti all’Università. Non scherzano, sanno il fatto loro e te lo fanno capire in pochi minuti. Con lo spirito della Francia profonda i gilet gialli hanno portato la durezza dello scontro di classe dentro il cuore più ricco di Parigi. Si sono mossi contro la ben addestrata Gendarmerie per decine di fine settimana senza un cedimento. La protesta si è acquietata solo dopo tanti scontri e tanta violenza, dopo le solite infiltrazioni dei casseurs che hanno diviso il movimento , anche questo senza guide ufficiali . Ma il conflitto resta là, pronto anche se dormiente. I gilets hanno comunque ottenuto alcune cose pratiche e non marginali ,ed hanno messo in difficoltà il governo Macron.
Ma qualcosa di diverso e più complesso si muove nel sostrato di quel Paese e, similmente, in molte parti di Europa. Nel conflitto di classe si inserisce la tensione etnica, mal celata negli ingestiti laboratori delle periferie. La tensione sta assumendo dimensioni preoccupanti e forme diverse. Mi diceva Eric, un vecchio amico francese, che sta emergendo un nuovo fronte: nelle banlieu si muove il disagio crescente tra ‘insediati’ da tempo ed i nuovi arrivati . Una guerra tra poveri che viene insufflata dalla comunità islamica nordafricana. Bisogna ricordare che queste popolazioni , tunisini piuttosto che algerini, sono decisamente razziste nei confronti dei “noir” e mal convivono con loro, soprattutto con i centrafricani che sono nella stragrande maggioranza cristiani. Questi ultimi stanno rapidamente crescendo. Sono arrivati in grandi gruppi ed insieme all’immigrazione sudamericana, anch’essa in crescita, stanno rompendo gli equilibri formatisi nelle comunità accolte precedentemente. Eric mi mandò a suo tempo un articolo che raccontava, un po’ come leggenda metropolitana un po’ come inchiesta, l’esistenza di alcune gang africane, in rapida crescita dimensionale grazi agli arrivi degli ultimi anni. Ne citava due tra le più importanti, i Mama Yemo , congolesi ( il nome di un ospedale di Kinshasa dedicato alla madre di Mobutu) ed i senegalesi Demareer , un gioco di parole tra la parola wolof demare (persi, perduti, anime perse ) ed il francese demarrer ( avviare, partire ..nel gergo dei toxos parigini vuol dire farsi un viaggio). Queste due gang oltre allo spaccio ed altre amenità del genere, ed oltre a farsi la guerra tra loro, si uniscono per difendere i loro quartieri dagli assalti delle milizie nordafricane. La stampa ne da mediamente poco conto, relegandole a livello di cronaca nera , di scontri tra spacciatori. Ma la faccenda è decisamente più complessa perché trascina nel cuore delle città europee, conflitti e scontri di origine anche religiosa o tribale. Insomma esiste una nuova miscela esplosiva, che incorpora la guerra tra gang con il conflitto di classe, il confronto duro tra religioni con l’intolleranza razzista. Un mix per cui l’interpretazione sociologica vigente non pare ancora attrezzata. Accade anche a Milano, con lo scontro tra le gang di marocchini, musulmani, ed i cristianissimi sudamericani Latin Kings o gli affiliati alla temibile Mara Salvatrucha la famigerata MS13 . Queste nuove agitazioni, queste guerre a doppio registro al momento si muovono sottotraccia, perché sia in Francia che in Italia queste gangs fanno affari con le Mafie, con gli Algerini delle jazà ( una distorsione del nome berbero al-jaza , Algeria ) piuttosto che con i Calabresi delle ndrine. Le organizzazioni criminali non vogliono il caos, minaccioso per i loro prosperi affari. Ma ogni tanto questi scontri saltano fuori a colpi di pistola o di machete, in una qualche piazza periferica, nei quartieri dimenticati .
E’ un conflitto etnico figlio della pessima gestione dei processi di accoglienza ed integrazione, ma attenzione è anche conflitto di classe tra l’emarginazione e l’esproprio di ogni sogno o speranza di inclusione e la diseguaglianza economica. Paragonabile, in questo, ad ogni altro conflitto di classe esistente. Ed anche se oggi si esprime in una prassi formalmente illegale, da apparenti semplici gangs, domani può evolvere in forme, alleanze e dunque dimensioni imprevedibili. Tutte le gangs hanno infatti in comune un nemico : il capitalismo all’occidentale ed il governo.
Non c’è da stupirsi. La base delle associazioni dette gang , come fu per i clan irlandesi e per le mafie italiane , è la difesa dallo sfruttamento e costituisce la via di fuga dall’emarginazione. Si connota, in altri termini, come una reazione alla chiusura di ogni possibile crescita attuata dal potere capitalista. Che le gang stesse nel tempo siano poi diventate forme di capitalismo rudimentale e di sfruttamento, è un’altra storia. Una storia che porta oltre il mio ragionamento, verso riflessioni sull’intima natura umana che non sono in grado di dipanare.
Per capire questo aspetto meno studiato, relativo alla forma “politica” e alla natura di classe delle gangs, ne osservo una da vicino. I Latin Kings che ne sono un esempio interessante.
La gang nacque negli anni trenta a Chicago come centro di sostegno ed accoglienza per l’immigrazione sudamericana. Fornivano istruzione e combattevano l’analfabetismo, davano primo asilo in case famiglia, aiutavano nella ricerca di un lavoro e offrivano difese legali contro i soprusi contrattuali. I capi della “parrilla” erano politicamente schierati, nella scia del democratico Delano Roosevelt e del suo inclusivo new deal. Fornirono inoltre spinta promozionale all’arruolamento nella guerra antinazista e molti di loro si distinsero al fronte ritornando con medaglie al valore . Si trasformarono nel tempo, gradatamente. Prima , negli anni dell’immediato dopoguerra e nei cinquanta, chiudendosi a riccio in una sorta di setta a causa del maccartismo che li aggredì per la loro vicinanza al comunismo. La forma assunta in quel periodo ricorda fortemente la Nazione dell’Islam di Elijah Muhammad che riuniva la comunità di colore ed in cui operò, da protagonista, Malcom X. Nell’epoca seguente, gli anni del boom, i Latin Kings lasciarono il fronte socialista fino a diventare, negli anni settanta ed ottanta, pilastro portante dell’impero della cocaina. Ora sono una grande gang internazionale, affiancata alle mafie di origine italiana, e sono coordinati come una Nazione a se stante, addirittura con a capo un Re che ne detta le regole morali ed i vari cerimoniali. Non c’è da stupirsi del taglio monarchico. E’ tipico dell’immaginario terzo mondista perché assesta e concretizza chiaramente, anche per chi ha bassa o nulla scolarità, il senso del potere. Negli anni sessanta i capitalisti europei insediarono Bokassa , un ex sergente brutale e corrotto, e lo fecero proprio per questo “immaginario collettivo “ Imperatore del Centro Africa. Fu utile per reprimere il Popolo che chiedeva diritti. Ha fatto la fine che meritava.
Una parte di queste regole e cerimoniali, scritti per governare le pratiche di affiliazione e di coordinamento della gang, sono state rinvenute durante una perquisizione a Milano. Erano contenute in un libretto con la stella a cinque punte in oro e nero. Lo stemma dei Latin. Le riporto per capire che non ci troviamo davanti una banda sgangherata di tossici sudamericani, ma ad un progetto di nazione,etnica ed etica, a collocazione transazionale. “Saltare una riunione senza una giustificazione comporta una multa e un castigo; arrivare in ritardo a una riunione senza una giustificazione comporta un castigo ; si devono rispettare fratelli e sorelle; non arrivare ubriaco o drogato a qualunque attività della Nazione” ed ancora si legge “ tutti fratelli devono avere un aspetto fisico e igienico impeccabile; presentarsi con i colori giallo e nero” . Vengono poi le regole morali, ne riporto alcune “ rispetta tua madre e tuo padre perché ti misero al mondo e tutte le persone che non appartengono alla Nazione “ . Ed infine cito una regola illuminante “ una volta entrati bisogna avere il massimo rispetto; bisogna avere cultura ed educazione; è negato l'accesso a chi fuma, beve, ruba o commetta atti vandalici; si deve dare amore, lealtà e rispetto alla Nazione e alla corona, chi é estraneo alla Nazione non deve sapere cosa facciamo. “ Siamo davanti ad una strutturazione di regole da far invidia alle confraternite dei collegi inglesi o americani. Peccato che la mission generale sia commerciare in cocaina. Ma, come si vede, siamo di fronte ad un sistema di contropotere reale. Un gang che si dipinge “Nazione “. Che da Nazione può dichiarare pace o guerra ad altre. Che conta centinaia di migliaia di aderenti ed opera più o meno in una ventina di differenti Paesi, dal centro America alla Scandinavia.
Queste forme diverse di aggregazione nel quadro del conflitto di classe, sono un altro degli inneschi potenzialmente attivabili per far saltare la polveriera delle diseguaglianze e dell’asimmetria sociale. Fanno ripensare al teorema di Pareto : quando una natura è troppo grande e complessa tende a autodefinirsi per segmenti più piccoli. Di fronte al mischiamento ed all’allargamento delle comunità creato dalle globalizzazioni ( siamo alla quinta, mi pare, posto che una delle prime fu la fondazione degli antichi Imperi ) si tende a riformulare altre comunità più omogenee e di minore complessità, agendo sui perimetri valoriali. E’ il caso degli indipendentismi e , cambiando ciò che c’è da cambiare, delle gangs. In entrambe i casi il localismo comunitario, o l’identità valoriale di clan, si strutturano per convogliare aspirazioni, o disillusioni, personali in una precisa forma anti-statale. Si determina così un chiaro contropotere destinato, per sua natura è inevitabile, ad andare contro il potere vigente, appunto lo Stato. Va detto che le forme di contropotere non producono nulla di innovativo, sociologicamente parlando. Lo Stato stesso, che noi legalisti rispettiamo, venne a sua volta codificato sulla base degli interessi di una specifica comunità : la classe dominante. Ed anche se le forme dello Stato sono evolute fino alle attuali strutture democratiche ( conformandosi alle modificazioni del capitalismo ) le leggi e logiche di gestione sociale ed i relativi cerimoniali, sono comunque sempre intese a mantenere intatti i privilegi della comunità di origine.
Non possiamo considerare il conflitto di classe come un’esclusiva nelle mani della Sinistra. L’osservazione dei vari fenomeni antagonisti al sistema vigente ci mostra una variegata mappa di altre ideologie. Alcune a base religiosa formano quasi una nuova Vandea, altre sono riconducibili al campo ideologicamente opposto. Dunque proviamo a vedere come si esprime l’antagonismo sociale nella sua codificazione reazionaria.
Il neonazismo non è una bubbola. Fa parte a pieno titolo della miscela composita della polveriera. A mio avviso non è mai davvero morto. Non è neanche risorto , non è neanche neo. E’ di fatto sopravvissuto puro, in forma netta e coerente con i suoi sistemi valoriali, prima gestito dagli sfuggiti in vario modo ai processi del dopoguerra e poi dai loro figli ed eredi.
Tutta Europa ha avuto il fenomeno del collaborazionismo che ha poi generato i neonazismi locali. La Francia, ad esempio, si trovò addirittura un imbarazzato Presidente, parlo del socialista Mitterand, a causa del suo passato speso nella repubblica di Vichy . Non sorprende. Molta della cultura e dell’intellighenzia d’oltralpe si schierò apertamente coi nazisti. E non si parla di freguglie, ma di nomi forti, di gente notissima , alcuni con invidiabile spessore culturale. Un folto gruppo che, solo con la propria notorietà ,influenzò fortemente il consenso che larghissima parte del Paese diede alla triste collaborazione. Ne cito alcuni. Lo studioso, poeta e scrittore Pierre Drieu de la Rochelle, morto suicida prima d'essere arrestato dalla polizia gollista; Robert Brasillach il contorto redattore di "Bagatelle per un massacro" testo cruento, antisemita, delirante, ma che, per contro, sapeva essere un animatore culturale raffinato ed un complesso intellettuale che persino Sartre amava, tanto da difenderlo al processo che ne decise poi la fucilazione. Luis Ferdinand Celine lo stralunato individualista cinico ed anarcoide che scrisse l’imperdibile “ Viaggio al termine della notte “. Eroi della prima guerra mondiale come Darnand o Bucard. Grandi attori come Sacha Guitry. Celebrati sportivi come il rugbista Cance. Il nazismo francese fu inoltre gestito da una pattuglia di uomini politici esperti , e molti erano radicati , in partenza, nella grande sinistra francese. Parlo ad esempio di Marcel Deat , soreliano e socialista della prima ora, ministro nel governo del Fronte Popolare di Blum, oppure di Philippe Doriot giovane astro del comunismo ( come fu l’italiano Bombacci, che ebbe simile percorso e destino) creatore di quel PPF , Parti Populaire Francais, da cui trae spunto ideologico il populismo nazionalista dell’attuale RN della LePen.
Nel dopoguerra l’epurazione sembrò sancire la fine del nazismo francese, ma le guerre di Indocina e d’Algeria , la crisi del modello coloniale, giuntarono il nazismo sopravvissuto con i modelli ed i movimenti imperialisti legati alla struttura coloniale che era stata la ricchezza e l’orgoglio della Francia. Scrittori come Saint Loup divulgarono i valori di questo nuovo nazionalismo e raggiunsero la giovane e disorientata generazione post bellica, con libri di grande successo come “Gli eretici “. Saint Loup , morto nel 1990, era in realtà Marc Augier capo dei servizi di informazione e comunicazione della Divisione SS Francese Charlemagne. Nel 1945 fuggì in Argentina , dove fu consigliere di Juan Peron per la formazione dei servizi di sicurezza, la famigerata CoFe ( Comando Federal Securidad ). Amnistiato tornò in Francia e fu tra i fondatori ed ispiratori del Front National di Jean Marie LePen ex paracadutista ed appartenente al movimento neo colonialista .
Fu questa ampia e ricca intellighenzia nera a dare sostrato ideologico all’estrema destra francese, penetrando nei miti e nelle aspirazioni della generazioni post belliche della France Rural. Oggi il Paese è uno dei laboratori più seri delle nuove forme entriste del nazismo, basti guardare appunto a Marine LePen , così ben paludata da raccogliere consenso trasversale tra la classe operaia, i contadini, gli artigiani e la borghesia cittadina. Inutile nascondersi quanto la droite national sia uscita rafforzata dallo svuotamento di ruolo della sinistra storica francese.
In Inghilterra il nazismo inglese di Oswald Mosley si giuntò con la visione imperialista tipica del Regno Unito, acquisendo buon consenso in quel paese strutturalmente conservatore, atterrito dalla crescente presenza socialista e comunista. Con lui si schierarono poeti come Yeats e come Campbell, parte della nobiltà inglese, molti giornalisti. Il movimento fu bandito allo scoppio della guerra, ma sopravvisse clandestinamente. Militanti del British National Party che erano nei lager come prigionieri di guerra, aderirono alle SS . Circa un centinaio andò volontario in Russia con il simbolo di San Giorgio cucito sulla manica della giacca. Fu esattamente la guerra all’Est, la crociata antibolscevica, il punto di partenza dell’internazionalismo nazista post bellico. Furono proprio quei reduci , poco più che ventenni, che dopo aver militato nei diversi battaglioni di volontari europei delle SS ( olandesi belgi scandinavi spagnoli ) si tennero in continuo e stretto contatto, formando una pericolosa ed esperta catena. Ne parlerò tra poco.
Nel dopoguerra il nazismo inglese si conformò alle prassi delle gangs suburbane, in perenne conflitto con i musulmani nordafricani e pakistani, dando appoggio negli scontri fisici e tutela legale nei processi. Attualmente il National Front ha solide radici tra gli hooligans, i gruppi ultras del calcio, come ad esempio il West Hampton, la tifoseria più agguerrita e politicizzata. Sono noti i collegamenti di queste formazioni con alcuni gruppi ultras italiani.
In Italia il fascismo è transitato oltre la guerra civile fin dentro le istituzioni, con il Movimento Sociale di Giorgio Almirante, sottosegretario alla cultura popolare nel governo di Salò. Con lui si schierarono, finendo alcuni in parlamento, uomini come Edoardo Facduelle , generale delle Brigate Nere, Franz Pagliani il ras di Bologna ,e Junio Valerio Borghese ,capo della Decima Mas. Sempre sdegnosamente anti parlamentare il principe nero fu accusato di tentato golpe e presumibilmente fu il primo capo della struttura clandestina Gladio. Anche da noi la cultura e soprattutto lo spettacolo erano dense di collaborazionisti, quando non di militanti repubblichini. Ne ricordo alcuni citando una documentazione presente su Internet. Mario Carotenuto , grande caratterista, era nelle SS Italiane , Giorgio Albertazzi con la Divisione Tagliamento, Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Tino Carraro, erano nelle Brigate Nere, Marco Ferreri nella Guardia Nazionale, Luciano Salce, Valentina Cortese. Hugo Pratt era nella Decima Mas. Persino Dario Fo. Molti nel dopoguerra passarono a sinistra aderendo al Partito Comunista. In fondo, si disse, avevano solo vent’anni al tempo della guerra civile, ma va ricordato che Sandro Pertini a vent’anni era in galera in nome della mai tradita libertà e del socialismo. Comunque, si sa, ognuno ha diritto alla sua storia personale di crescita. Cito i nomi solo per dire che il consenso al fascismo andava, in molti, ben oltre la fine del regime e giungeva in varie forme, ed in diversi soggetti, fino ad accettare il radicalismo nero paranazista imposto a Salò da Pavolini.
Questo peso sulla cultura, sull’ambiente sociale , nella comunicazione di massa che in Europa , e non solo, ha certamente avuto il nazismo è stato sottovalutato dalla sinistra internazionale. Con troppo facile snobismo ne ha irriso l’importanza e la penetrazione, ed ha volutamente e persistentemente cancellato la memoria attenzionale ( nomi / fatti/ complicità ) buttando l’antifascismo in memoria retorica. Forse anche perché, come si è visto , molti esponenti della sinistra o del centrismo cattolico provenivano come formazione e come azione concreta proprio da quella esperienza .
Oggi il nazismo è parte integrante della cultura della destra populista. Basti guardare al prototipo del populismo al governo, l’Ungheria di Orban che, mal celatamente, affonda le radici nel nazismo delle Croci Frecciate di Ferenc Szalasi protagoniste degli orrendi pogrom antisemiti del 1944, e che probabilmente formò la milizia armata durante la rivolta di Budapest del 1956.
Non si può chiudere il già incompleto giro di orizzonte sul nazismo ( ho trascurato l’Olanda ed i Paesi Scandinavi , e là il fenomeno è davvero notevole ) senza trattare la Germania, dove Pegida ed i gruppi similari, insufflano la protesta nazionale contro la cosiddetta invasione musulmana. Pegida è un movimento xenofobo a base religiosa, molto forte a Dresda ed in generale molto presente nelle provincie orientali della Repubblica Federale Tedesca. Sappiamo, grazie al lavoro dei giornalisti antifascisti di quel Paese, che molti gerarchi medi del nazismo furono accolti e poi cooptati dalla nascente DDR, già pochi anni dopo la fine del conflitto, permettendo loro di uscire dalla clandestinità e di rifarsi una vita ufficiale. Sappiamo inoltre che proprio l’efficiente polizia segreta della Germania Est, la Stasi, venne formata da esperti provenienti dalle fila della Gestapo e dai servizi informazione della SS. Non è quindi affatto un caso che il risorgere del nazismo sia più evidente proprio nell’est. Non solo perché in quelle regioni l’ineguaglianza, il conflitto di classe e la disillusione verso la democrazia sognata fino al 1989 , sono più forti. Ma anche perché li agiscono i proseliti di quei nuclei “esperti “ prima sopravvissuti e poi apparentemente integrati nel sistema. Essi sapevano bene come agire ed hanno insegnato, ai nuovi movimenti, in che modo fare proselitismo soffiando sul fuoco del disagio e della paura sociale, seguendo la teoria di Goebbels sull’efficacia propagandistica delle bugie ripetute. Il primo creatore delle fake news.
L’internazionale nazista è una realtà documentata. Di questa parlò allora ed ancora di recente, data la recrudescenza antisemita, il Mossad, servizi segreti israeliani. La segnalarono a tempo debito molti autorevoli giornalisti internazionali. Da quelle ricerche Frederick Forsyth trasse spunto per il suo famoso romanzo “Dossier Odessa”. L’organizzazione che favorì la fuga di assassini come Mengele e forse Bormann, e che curò il sorgere di nuclei clandestini nazisti. L’organizzazione segreta era, probabilmente, il prodotto di quella strategia cui fece cenno Pavolini in un convegno a Salò ( marzo del ’45 ) reduce da un incontro con Wolff , capo delle SS in Italia. La definì come “le uova del drago”. Nuclei silenti che avrebbero dovuto schiudersi, in tutta Europa, a tempo debito.
Sappiamo che fino al 1994 , anno della sua morte, capo dell’internazionale nera fu Leon Degrelle il famoso e pluridecorato nazista belga. Degrelle nel 1945 riparò in Spagna e li rimase protetto prima dal franchismo, e poi dal governo di Gonzales che, per ragioni mai spiegate, impedì l’espulsione. Oggi non si sa chi diriga questa internazionale e se ancora esista. Certo la frequentarono molti nazisti in cerca di riparo od attivi nelle azioni politiche intraprese dall’organizzazione stessa. Tra essi vi era un italiano, Stefano Delle Chiaie che operò con Ordine Nuovo nei confini nazionali, in quella fase eversiva che segnò la fine anni degli anni sessanta, ed all’estero con l’internazionale nazista, agendo fino in Cile ai tempi del golpe di Pinochet. Delle Chiaie non si pentì mai e non parlò, portandosi via i molti segreti che custodiva.
In Europa sono tutt’ora attivi e più che mai coesi movimenti nazisti che operano in contatto via internet e si giuntano, si formano nelle tifoserie calcistiche. In Italia, ad esempio, le curve della Lazio e dell’Hellas Verona forniscono risorse per i servizi d’ordine di Forza Nuova. Non bisogna mai sottovalutare questo fenomeno o fare dell’ironia sui vari “ Gigi ‘o animale” che guidano il tambureggiare e gli slogan cadenzati delle tifoserie estreme. Proprio nelle curve ultras in tutta Europa si formano le milizie d’estrema destra o quelle nazionaliste. E’ bene ricordare i tifosi della Stella Rossa di Belgrado che furono il nucleo originario della Guardia Serba, le famigerate Tigri di Arkan responsabili , tra gli altri , dei massacri di Sarajevo e Szebrenica.
Va tuttavia capita , aldilà di ogni pregiudiziale ideologica, la collocazione di questi movimenti perché essi comunque rappresentano una parte, confondente ma insistente, del conflitto di classe. La collocazione che questi gruppi hanno è indubbiamente nelle periferie abbandonate dai partiti storici della sinistra europea come dal capitalismo delle upper classes. Rappresentano gli interessi della parte povera , e “bianca”, di coloro che abitano questi stati nello stato che sono ormai diventate le diverse strutture suburbane.
La destra sociale esiste, inutile fare anatemi ed inorridire di fronte a questa definizione. Le radici del nazionalsocialismo sono populiste, quando non popolari. Tutte le ideologie nate nel novecento hanno una solida struttura di classe e poco importa se davvero ne rappresentino interessi e bisogni. La loro attività , basti guardare a Casa Pound, è intrisa di assistenzialismo e di supporto alle istanze del proletariato “bianco” smarrito e confuso, che vive ogni giorno a contatto di gomito con le ben strutturate comunità di immigrati. Lo slogan “prima gli italiani” serve da contorno a questa azione e ne offre sostrato paraideologico. Se non facciamo i conti con questo nuovo legame, con questo radicamento, non coglieremo le imprevedibili alleanze che possono nascere nell’estrema periferia del capitalismo europeo, dove i dimenticati covano veri , anche se mal indirizzati, risentimenti.
Guardando da vicino chi, in quelle periferie di tutta Europa, oggi sostiene e supporta i movimenti nazisti o di estrema destra populista si scoprirà che molti provengono dalle fila dei partiti comunisti dissolti sulla scia della visione liberistica intrapresa dalla sinistra. Sono lavoratori di mezza età che hanno perso il posto e sono stati dimenticati . Sono pensionati impoveriti ma anche giovani proletari senza più guida od indirizzo. Seguono chi oggi ne sa incarnare le paure e le rabbie, chi ne colma la solitudine di fronte all’arrivo di culture estranee e coese, ancora fresche di tribalismo solidale. Sono coloro che prima riempivano le case del Popolo, ballavano alle feste locali del Partito. Che si sentivano comunità. Ora ricercano quella perduta sensazione di forza e seguono chi la sa offrire. Come è già accaduto, i proletari alla destra li ha regalati la sinistra. Una delle più grandi colpe che porta la ex dirigenza.
Il conflitto di classe esiste e trova casa dove viene compreso,anche solo in apparenza. Quando si è poveri e persi anche un fanale nella notte sembra il sol dell’avvenire.
Nella polveriera sta dunque una miscela composita che mescola aspirazioni indipendentiste, scontro di classe, antagonismo sociale e conflitti etnici. Non è facile immaginare come si possa disinnescare una situazione che ha ormai questi alti livelli di esplosività. Certamente non lo si fa con governi balbettanti ed instabili, imbottiti di incompetenti che ogni giorno aumentano la sfiducia nella politica e nella democrazia. Certamente non lo si fa con una sinistra europea che si chiude nei salotti del ripensamento e non lo compie nelle strade, nelle piazze e nelle periferie delle città. Ritengo inoltre, come già più volte espresso, che la tentazione del potere capitalista di prendere in mano la situazione schierando apparati tecnocratici sia forte.
Abbiamo quindi due strade davanti . la prima è la più probabile. La polveriera resta in equilibrio, permettendo all’attuale sistema di potere di rigenerarsi. Continueremo con questa democrazia azzoppata, senza consenso e senza partecipazione. La “ conchiglia svuotata” cui recentemente faceva riferimento Ezio Mauro in una interessante intervista. E questa paralisi permetterà , come dicevo altrove , l’insediamento di una forma di governo in ‘sospensione’ gestito da “tecnici” in chiave di salvezza nazionale. Esso opererà, come gli altri del resto, in nome e per conto del capitalismo dialogante e liberale. La seconda via di uscita per fortuna è considerata, dai commentatori, come molto improbabile. La polveriera non regge ad altri scossoni, magari una seconda crisi finanziaria che rende più ricchi i ricchi e manda in miseria tutte le altre classi . Nel qual caso assisteremo ad una deflagrazione a rapido contagio e senza esiti scontati .Ci ritroveremo i carri armati nelle strade, come ad Istanbul, e dovremo fronteggiare la faccia più truce del capitalismo che spicca dalle bandiere nazionali.
C’è anche una terza via.
Non succede nulla e tutto resta in un sognante equilibrio fatto di assenze. Ma questo possiamo aspettarcelo solo in Italia ...il bel Paese ove il “forse” suona.