In un’epoca di così profonde trasformazioni che diamine di strada si sta dando l’umanità? Di questi tempi, che avrei voluto ben diversi, me lo domando con un misto di curiosità e di incazzatura. Quello che ho visto per tutta la vita, nei sentimenti nel lavoro nei miei viaggi, quello che ho letto e studiato, insomma quel poco che so non mi offre alcuna risposta sensata. E quando nell’insieme delle cose non trovo un senso oppure ad esse non so dare la giusta cornice mi viene come un’orticaria all’anima. Un fastidioso prurito che va grattato via, ragionando. Ci provo.
Guardo i muri. Sono l’unica cosa che sembra unire tutti, che rende tutti simili. Muri di ferro e cemento, reticolati di filo spinato, neppure i peggiori. Sono più alti i muri di diffidenza dietro i quali nascondiamo le nostre paure. Sono più spinosi i muri tra le classi sociali, tra il futuro ed il presente, tra i colori della pelle, tra i nomi che diamo a Dio. E sono più insensati i muri costruiti tra le persone, tra le idee. Tutte le barriere che costruiamo fisicamente sono il prodotto tridimensionale del modo interno di separare le diversità.
La mia generazione è cresciuta con un intimo convincimento: il personale è politico. Rispetto alla generazione che ci ha preceduti è stato un piccolo e grande passo in avanti. Capimmo che se lo scontro fattuale era l’unico strumento per cambiare i rapporti di forza, rivoluzionare il sistema costruito su sfruttamento ed esclusione, per contro il cambiamento non poteva avvenire compiutamente se non entrava in noi, nei convincimenti generali come nei comportamenti quotidiani. Questa è la tipicità e l’unicità che ha avuto il movimento in tutto il mondo. Spiega l’importanza che ha avuto per la mia generazione la musica, l’arte, la libertà sessuale, lo scambio interpersonale in quel tempo, così originale, di formazione umana. Importante quanto lo fu capire i principi fondamentali della giustizia sociale, la grande ipocrisia del potere, la manipolazione democratica.
Abbiamo cercato di rompere argini ed in una qualche misura ci siamo riusciti. Alcune cose che facevano barriera allo sviluppo della libertà individuale, laddove il movimento si è imposto, sono state infrante. E dove quelle barriere ancora sussistono vengono sfidate e colpite. Verranno sgretolate, non ho dubbi. I principi di libertà sono come l’acqua, dove non rompe l’argine con una piena essa si infiltra e lo fa marcire. In un momento, in un tempo indefinibile, il muro crollerà.
Quando il potere, che non è un’entità astratta ma una categoria d’esercizio, si sente minacciato alza recinti. Più si costruiscono muri più la debolezza è evidente. L’impero romano ha cominciato a marcire quando ha costruito i valli ponendo fine al suo ciclo espansivo. Così è oggi per l’impero russo od americano. Marciscono. Puzzano. Rivelano giorno dopo giorno l’intrinseco orrore. Vanno incontro alla fine. Di questo ne parliamo un’altra volta.
Tutti i muri crollano
Lungo la linea del tempo, lungo la storia, cicli che apparivano eterni sono finiti, estinti, polverizzati. Il tempo delle dittature – etiche o politiche, se tra esse vi è un distinguo - è un conto alla rovescia verso la loro dissoluzione. Chi le vive le soffre in anni che paiono infiniti, ma sono destinate a soccombere per la stessa natura che le connota. Se oggi, in Grecia, parli della dittatura dei colonnelli anche chi l’ha pagata alza le spalle con un sorriso compiaciuto non si imprigiona la libertà. Come se parlassero di un tempo remoto, eppure è solo ieri. Crollò nel ’74, siamo nel 2024. I cinquantenni non la conoscono.
Dunque non so dare una risposta alla domanda iniziale, che cosa fa l’umanità di sé stessa, ma ho una risposta ad un punto preciso: qualunque cosa nella prospettiva storica ha un suo tempo di scadenza. So per certo che qualsiasi barriera dura quanto il processo di maturazione personale e collettivo. Se questo arriva alla sintesi la barriera svanisce. Certamente altre contraddizioni matureranno, altri muri verranno eretti, per diventare a loro volta inutili. Aiuta molto, in questo processo, l’informazione, qualunque essa sia. I social, che personalmente considero una cazzata, hanno un loro merito: rendono liquida l’informazione. Così, come l’acqua, l’insieme di immagini e notizie si infiltra in ogni costruzione e la sgretola. Specie quelle costruite sull’ipocrisia.
Per abitudine non mi faccio mai i fatti personali di nessuno, ma Giorgia Meloni è un esempio inevitabile rispetto al ragionamento che cerco di sviluppare. Nei suoi dichiarati è centrale la famiglia tradizionale, oggetto e soggetto canonico della morale reazionaria. Ma la sora Giorgia viene da una famiglia disfunzionale, valutandola coi dettati della parte politica che abita, ed ha costruito una sua che è già implosa. Insomma sta seduta su un muro di luoghi comuni che per prima ha sfasciato. Che diamine di bisogno c’è di tenere in piedi argini sfatti, Giorgia? Non sarebbe più semplice ed onesto dire il tempo è cambiato, chi se ne frega se si sposano coppie omosessuali? Gli adulti consenzienti facciano come credono. Fa ridere Trump conservatore moralista e omofobo, quando è un noto puttaniere ed un truffaldino, così come vedere Putin, evidentemente cinico, parlare di fedeltà religiosa. Nulla è più rivoluzionario della verità fattuale che mostra l’incoerenza tra i valori dichiarati e la prassi seguita. Per questo il personale è politico.
Insomma il bello del brutto è la sua sputtanabilità. Anche Savonarola, se non fosse stato incenerito ancora giovane, avrebbe avuto il tempo di intascare qualche tangente. Così come, per converso, Vannacci in un tempo indefinibile potrebbe scrivere o dire qualcosa di sensato e di vero. Forse.
Il moralismo è uno dei muri più grotteschi. Ponendo dei limiti astratti alla pratica della condizione umana, fluida per natura, è destinato al ridicolo. Ma anche il moralismo nel tempo cambia. Negli anni sessanta la censura nei film vietava i nudi ma permetteva gli omicidi. I ragazzi che cambiavano storie tutti i giorni erano dritti, inorgoglivano il babbo, ma se lo facevano le ragazze erano zoccole.
Poi il movimento ha fatto saltare tutte le convenzioni. La diffusione sociale di quelli che venivano chiamati comportamenti trasgressivi li ha resi comuni. Come sappiamo i benpensanti non esercitano morale, piuttosto temono il giudizio, ma se pure il vicino ha il figlio gay e non può criticare, allora si diventa tolleranti. Aperti. Moderni.
Credo fosse Cioran a dire che la morale è il prodotto inconsapevole dell’evoluzione storica. Un muro a tempo, dunque. Altri muri sono invece più complessi da buttar giù perché sono i portanti della costruzione capitalista.
La manipolazione democratica
Sandro Pertini, uno dei miei riferimenti del passato, diceva che la più imperfetta delle democrazie è meglio di qualsiasi efficiente dittatura. Come dargli torto? Nel mio piccolo ho sempre osservato che considero una fortuna essere nato sotto gestione atlantica piuttosto che stalinista. Questo fa da cornice soggettiva, però. Nel senso che in una democrazia, anche scrausa come la nostra, puoi dire al bar cose a cazzo senza finire in carcere od al muro. Per sentirsi liberi è sufficiente. Esserlo davvero è però cosa diversa. Vediamo alcuni muri con cui abbiamo familiarizzato, abituandoci.
Siamo liberi di scegliere? Direi di no. Possiamo scegliere dentro un’offerta preconfezionata, questo si. Non abbiamo nessun coinvolgimento diretto sulle forme elettorali, dalle liste di nomi da votare ai modi stessi del voto. Il parlamento democraticamente eletto (con i limiti di cui sopra) può disporre praticamente ogni cosa e soprattutto, come conseguenza di una negoziazione su cui i Cittadini non hanno alcun esercizio, può formare un governo anche diverso dal risultato elettorale. Questo governo ha il compito di gestire l’intero Paese, dalla posizione politica internazionale alla riforma della scuola o della sanità decidendo la vita ed il futuro dei Cittadini. In teoria l’esecutivo propone al parlamento leggi che questo dovrebbe discutere e votare, ma con le caratteristiche di rappresentanza che abbiamo ben note, dunque la cittadinanza non ha modi di controllo diretto sull’operato del deputato che ha eletto. Quindi: chi sta in parlamento, in teoria scelto dal Popolo, fa quel diamine che gli pare. Siamo in un loop, chiusi da muri di gomma per dirla con Andrea Purgatori. Non siamo liberi di scegliere il nostro futuro.
Inoltre: non siamo nemmeno liberi di proporre leggi di iniziativa comune, perché i referendum propositivi non sono ammessi in Costituzione ( art. 75 ed altri ). Cioè, come Cittadini possiamo chiedere di abrogare una legge ( salvo le leggi tributarie ed i trattati internazionali, guarda un po'! ) ma ancora non possiamo proporle. Non siamo maturi per indicare. Siamo come bambini a cui si dice andiamo in vacanza al mare, ti va bene sì o no? Tanto poi c’è la corte costituzionale ed il quorum per impastrocchiare ogni risposta diversa dal previsto. Siamo buoni per pagare, questo sì, consegnando ai parlamentari stipendi scandalosi, che per altro si sono attribuiti senza consultarci. E’ questa la democrazia? La definirei più onestamente: manipolazione democratica.
Un altro muro di gomma sorge a difesa dello status quo. Un esempio per tutti: sarebbe così astruso dare al Popolo la possibilità di votare il Presidente della Repubblica attribuendogli magari più compiti e poteri? Siamo davvero così bambini da non poterlo fare?
Quando la sinistra esisteva davvero si oppose fermamente alla Repubblica presidenziale. Il rifiuto aveva una oggettiva ragione internazionale, in quegli anni. Siamo tutti d’accordo. E’ più difficile spiegarsi quali siano le ragioni del no, adesso. Dice: guarda i tempi di Berlusconi, se ci fosse stata l’elezione diretta l’avremmo avuto come Presidente. Vero. Ma il problema non era nelle modalità di voto diretto, neppure nella forma di potere attribuito, erano tre televisioni e alcuni giornali in grado ( in teoria ) di orientare il voto. Bastava un cavolo di legge sul conflitto di interesse ed il Cav non sarebbe mai entrato in politica. Come in Francia. Non si è fatta. Domandiamoci perché, piuttosto che avere preclusioni preconcette. Non credo sia ragionevole nel 2024 chiudere la porta ad una forma di Repubblica che consente al Cittadino di scegliere direttamente a chi delega la guida. Se poi si vota un coglione pazienza, non è che ora siamo davanti alla fiera dell’intelligenza.
A mio avviso in una democrazia vera conta centralmente il grado di coinvolgimento del Cittadino, a cui vanno, ovviamente, dati strumenti di controllo su chi elegge e strumenti di costruzione normativa diffusa, come i referendum propositivi.
Mi stranizza che sia la destra reazionaria e conservatrice a definire punti di riforma costituzionale. Così se li farà da sola, con le modeste capacità di pensiero che conosciamo. I riformisti invece giocano in difesa e trasformano il regolamento nazionale in un libro intoccabile, una sorta di Corano. Ma diamine, da ‘sta parte non si dovrebbe essere dei materialisti storici? Dei laici? Tutto è discutibile, tutto va sottoposto al giudizio del tempo. Nulla è intoccabile. Abbiamo accettato di mettere in soffitta i testi di Marx, abbiamo ( hanno.. ) festeggiato con Veltroni la fine dell’identità socialista e conserviamo come reliquia il testo redatto 77 anni fa sotto la guida di Giuseppe Saragat? Singolare.
Altra faccenda è dire: si, la Costituzione va riformata, ma non possono farlo questi quattro scappati di casa della destra. E’ una posizione in cui mi riconoscono. Ma è scomoda, perché costringe a costruire e proporre un quadro organico di riforma strutturale che include tutto, dalle forme di rappresentanza e delega, ai ruoli di governo, alle forme di contrappeso dei poteri. Un duro lavoro che nessuno nel lato sinistro ha voglia od è in grado di fare. Così tutto diventa intoccabile, una posizione che consente meno sudore, meno rischio. Meno responsabilità.
Mi sa che è proprio come dicevamo un tempo: i muri li abbiamo dappertutto, intorno e dentro noi stessi. E’ vista pericolosa ogni cosa che muova l’acqua stagnante in cui galleggia, come una papera obesa, l’attuale politica. Non va affatto bene, per niente.
Bruno Maida, professore giornalista scrittore, nell’introduzione di un suo libro, molto bello, i Treni dell’accoglienza ( Einaudi,ed. ) si pone una domanda: come faccio a raccontare che la politica è una cosa bella? Per rispondere a sé stesso ricorda una lezione tenuta da Piero Calamandrei all’Umanitaria di Milano, alla passione che egli ha messo nel descrivere il senso profondo del fare politica. Nel chiudere questa riflessione forse destrutturata cito anche io il grande giurista.
Calamandrei disse la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lasci cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci l’impegno di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.
La vede per com’è, materia viva che il tempo può corrodere se la volontà collettiva non la rende concreta. Essa deve dunque evolvere. Scavalcare i muri, progettare e custodire il vivere comune. Non ne facciamo un sacrario, la Costituzione è una traccia morale, non moralista, ed è un regolamento di giustizia mutevole come muta il contesto sociale. Per favore, non lasciamo che i reazionari si intestino il suo futuro, non costruiamo, a difesa dell’esistente, valli e limes come qualsiasi impero. Agiamo. Cambiamo.