La logica dei Cinque stelle e le rivalità interne delle coalizioni

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 02/03/2018

Cercare di attenersi alla regola d’oro dei fatti prima dei commenti, non è facile, soprattutto a due o tre giorni dal voto. Però al di là delle decisioni già prese, delle motivazioni ragionate o “istintive” che ci indurranno a tracciare la fatidica croce su quella scheda caotica e farraginosa credo che valga la pena di provare a mettere insieme ciò che sta avvenendo.

Alla data di giovedì primo marzo, mentre non sappiamo nemmeno chi sia la guida del centrosinistra, con il segretario del maggiore partito della coalizione che tenta di fare buon viso a cattiva sorte alla leadership sempre più riconosciuta del presidente del Consiglio,M5S indicato fino all’ultimo sondaggio diffuso come primo partito ha completato, secondo quanto annunciato, la lista dei suoi potenziali ministri.

Nel campo della coalizione “avversa” al Pd guidata dall’insuperato federatore pregiudicato che racconta di avere i numeri per governare il paese all’indomani del voto, non esiste convergenza su nulla, il tasso di rivalità interna è senza precedenti ed “i cavalli di battaglia”, dalla flat tax ai condoni più o meno esplicitati, fino alla cosiddetta riforma della giustizia risalgono alle “discese in campo” del secolo scorso. Lo strombazzato evento dell’appello al voto “comune” dei tre leader che si danno la mano in perfetta armonia, dopo che Berlusconi e Salvini avevano dato buca alla Meloni nella manifestazione “anti-inciucio”, si è risolto in una passerella al tempio di Adriano davanti a circa centocinquanta persone.

 

Naturalmente, sulle modalità di comunicazione della lista dei ministri, sulla mail in cui si è manifestato l’annuncio al Quirinale (per Di Maio nient’altro che un gesto rispettoso del galateo istituzionale), sull’adeguatezza della compagine ministeriale e sul curriculum di ogni singolo nome ognuno avrà una sua opinione. A titolo personale e senza aver avuto il tempo di informarmi adeguatamente potrei osservare per esempio che avrei preferito un potenziale ministro dell’Istruzione che non avesse in passato caldeggiato la “buona scuola” ed un candidato alla Giustizia più “autorevole” e “titolato” di Alfonso Bonafede, magari un magistrato di quelli messi all’indice per i risultati ottenuti contro corrotti e mafiosi dai garantisti dell’impunità.

Però gridare all’attentato alle prerogative del capo dello Stato, che peraltro non ha ravvisato nessun motivo di sconcerto per l’iniziativa “assurda” che ha gravemente turbato un Gentiloni in serrata campagna elettorale e la solita “informazione“, non mi sembra un argomento adeguato per affossare un’iniziativa legittima e che dà all’elettore elementi chiari e concreti per decidere.

Quanto all’accusa d’“infantilità” lanciata a Di Maio da Denis Verdini a Piazza Pulita, nelle vesti inconsuete di interprete autentico della Costituzione molto indignato per la violazione di una prassi consolidata, può valere da sola come un attestato involontario di correttezza e trasparenza.

Ma nemmeno liquidare con sprezzante sufficienza, come ha fatto Massimo Giannini a Tagadà, i potenziali ministri di Di Maio definiti la squadra del “governo primavera” ha qualcosa a che fare con un giudizio critico motivato. Esattamente come l’accusa di essere “tecnico” o peggio di “professori” lanciata da Pd e Fi con relativa evocazione dello spettro del governo Mario Monti, come se quell’esecutivo non fosse stato sostenuto da loro.

Non resta che confidare nelle capacità degli elettori di valutare e di discernere tra l’estenuante litania di promesse sempre uguali da decenni dei soliti noti ed una proposta chiara, trasparente e coraggiosa fatta da quelli tacciati di ogni nefandezza dagli stessi che ci stanno ingannando da oltre un ventennio.