Presentazione di Andrea Jacopo
In questi giorni cupi, attanagliati dall'angoscia e dall'oppressione di pensieri catastrofici, alcuni amici mi dicono di essersi dati alla lettura di testi distopici classici e recenti, quanto meno per comprendere o immaginare dove possibile decorso di questa pestilenza, così grave da implicare una crisi che, incontrollata, potrebbe comportare un collasso dei grandi sistemi economici, sociali e sanitari del mondo intero. Quindi una sorta di medioevo prossimo venturo, quale quello ipotizzato da Giuseppe Vacca negli anni '70.
Pur perfettamente conscio della gravità del momento, delle possibili (probabili?) drammatiche conseguenze per la civiltà come la conosciamo e per gli esseri umani e quelli senzienti in genere che la popolano, ma anche della inanità delle azioni di un singolo cittadino, ho deciso di pescare testi più leggeri nella mia personale biblioteca. Ma alle volte penso che questa scelta - che almeno coscientemente non ha significato o valore apotropaico - può anzi essere indice di una pericolosa rassegnazione al compiersi di un inevitabile (?) destino.
Questa lunga premessa per dire che ho appena terminato la rilettura di questo piccolo bel libro. Non è un'opera letteraria, per carità, ma un racconto autobiografico, piacevole e molto garbato, dell'infanzia felice di un ragazzino della migliore aristocrazia palermitana, trascorsa a Villa Niscemi, la villa di famiglia ai Colli, all'alba del '900.
Come ci si potrebbe magari aspettare da un personaggio colto e raffinato come Fulco (nientemeno che Fulco Santostefano della Cerda, Duca di Verdura e Marchese di Murata la Cerda, come ci racconta il risvolto di copertina), non c'è nel racconto alcun compiacimento aristocratico. Anzi in un certo senso il ritmo e lo spirito sono quelli del Giornalisno di Giamburrasca. Ed emerge soprattutto un ambiente che non è quello di un'anonima provincia dell'Italia centrale ma quello di una incredibile città meridionale ma non insulare nel senso deteriore del termine, Palermo, che - pur mntenendo viva la propria autentica cultura - era infatti inserita a pieno titolo in un circuito culturale internazionale, una società la cui upper class poteva pure parlare il dialetto ma allo stesso tempo curava la formazione mitteleuropea dei figli. Come dire, il meglio dei due mondi, naturalmente per una ristretta società francofila ed anglofila, certamete molto più colta e cosmopolita dei tanti Sedara dei nostri tempi.
E poi vorrei spendere due parole per Novecento di Palermo, casa editrice raffinata, la Scheiwiller del meridione d'Italia. Novecento ha prodotto alcune stupende collane, come la bella ed elegante Biblioteca di Narciso, e non a caso è stata diretta da intellettuali di rango come Umberto Di Cristina e Aurelio Pes.