Non parlerò dei meriti scientifici di questo straordinario racconto perché in questa sede non interessano; ma vorrei attirare l'attenzione su taluni aspetti, che chiamerei d'uso, che questa favola matematica pone con singolare intensità. Flatlandia è un libro in un certo senso unico, una favola stimolante, un problema deliziosamente esasperante, in cui si ritrovano tutte le tracce delle invenzioni della più provocatoria tradizione anglosassone sette-ottocentesca, Jonathan Swift e Lewis Carrol in particolare.
Flatlandia è un luogo a due dimensioni, totalmente piatto (flat, appunto, come il Paese ha appreso da un certo energumeno di casa nostra), abitato da figure geometriche appena tracciate su un pavimento eternamente illuminato. Giacché questa terra ha due sole dimensioni, larghezza e lunghezza, nessun rilievo sarà percepibile come tale: non vi sarà né un sopra né un sotto. Le case saranno disegnate in piatto sulla superficie, e il tetto non sarà "sopra" ma a nord. Come in ogni buona società esistono però delle gerarchie, determinate in questo caso dal numero di lati di cui ciascuna figura è composta.
Tutto scorre nella consuetudine della routine finché una Sfera non appare su Flatlandia. La Sfera porta non solo la rivelazione della terza dimensione ma ne vuol far partecipe il Quadrato, essere bidimensionale. E il Quadrato, inizialmente incredulo e scettico, finalmente comprende che è possibile uscire dai limiti del proprio livello, del proprio linguaggio, ed acquisire altre consapevolezze, altri saperi. I progressi sono tali e tanti che da allievo il Quadrato diventa maestro della stessa Sfera e la induce ad ammettere la possibile esistenza di una quarta dimensione, e di un mondo a quattro dimensioni, in cui vigono diverse e più elaborate leggi e conoscenze.
(Incidentalmente, val la pena di ricordare che centocinquant'anni dopo Flatlandia, la teoria generale della relatività ha aggiunto una quarta dimensione alle tre della geometria euclidea, e cioè il tempo. E che il tempo sia a tutti gli effetti la "quarta dimensione" è dimostrato non solo nella fisica dello spazio, ma anche nel linguaggio comune in cui si parla di "spazio-tempo").
La conclusione del racconto è ovviamente tragica. Ritornato in patria, il Quadrato viene incriminato perché sedizioso e incarcerato, né più némeno di quanto, qualche secolo fa, anche Galileo non fosse stato considerato dalla Chiesa di Roma un pericoloso eversore. Chiuso da molti anni nel carcere di Flatlandia, il Quadrato non può però dubitare che vi sia un'altra, più comprensiva verità e può solo augurarsi che la sua esperienza possa far crescere una generazione di ribelli che non accettino più i limiti fisici e l'angustia concettuale del mondo bidimensionale.
(Ari-incidentalmente, per chiunque abbia presente la storia -scriveva Oscar Wilde - la disubbidienza è la prima virtù dell’Uomo. E’ con la disubbidienza che si è progredito, con la disubbidienza e la ribellione. Se l'uomo ha fatto passi avanti è perché ha osato essere disubbidiente, ribelle ed immaturo mentre qualcuno predicava sobrietà, cautela e conformismo).
Ciò che Flatlandia in ultima analisi descrive - con gli strumenti di un gioco ch'è insieme narrativo, filosofico, speculativo, matematico e geometrico - è la assoluta relatività della realtà e per questa ragione non sarebbe male che lo leggessero i ragazzi e anche quelli che non lo sono pìù. La storia che il reverendo Abbott racconta vuole dimostrare che non esiste idea più liberticida dell’illusione di una realtà “reale”. La sintesi che se ne può trarre è che la capacità di vivere con la verità relativa, con le domande per le quali molto spesso non troviamo risposte, sapendo di sapere poco o nulla e con le incertezze generate dal dubbio e dal paradosso, è probabilmente l’essenza della maturità e della tolleranza dell’uomo. Senza questa capacità ci relegheremmo (relegheremo?), senza rendercene conto, nel mondo del Grande Inquisitore in cui vivremmo (vivremo?) acriticamente come pecore, neppure infastidite dal fumo dei forni crematori o dal fetore delle fosse comuni.
Sagredo.