Siccome
mercato interno ed estero ingurgitano senza sosta diplomati e
laureati, è giusto forzare il passo,
non regalando a
nessuno il
vantaggio di
fare in 4 anni, ciò che noi facciamo in 5. Problema di
quantità, insomma. È l'unica ragione (discutibile) a favore del
liceo breve. Ingurgita, per caso, il mercato? Ma figurarsi.
Fumo negli occhi, dunque. Le ragioni del botto d'Agosto devono essere
altre; più
in
linea
con
la
usuale
inclinazione al machiavello.
Tira
aria di resa dei conti:
il
Gentiloni
saluta
a
Marzo;
in
primavera ci
si gioca tutto: fortune
personali e
destino
del paese (quando
si dice la
combinazione).
O
l'avventura
rampantista
riparte
o finisce
per sempre (a
naso, buona la seconda).
Può
il
ministro
tacere?
Non
può.
Deve
fare
notizia,
metter
mano alla tela di Penelope e
fare
anche
lei
quello che tutti
hanno già
fatto:
riformare.
O dire
di volerlo fare.
Liceo
corto, dunque: giovani più
presto
al lavoro; un
anno risparmiato;
lo
fanno in Europa
(falso, sono
molti a non farlo);
si
comincia con
100 classi e,
se funziona, si fa
tutti così.
Manca
solo la lacrimuccia ipocrita sui bassi stipendi e
l'accenno
all'obbligo
a 18 anni:
che
arrivano
puntuali.
Il
piatto è servito:
TG
e WEB per
ore
24 non smettono di macinare,
dimodoché
dal
mare ai monti non
si parla
d'altro
che
della
nuova
pensata.
Vantaggi?
I
liberisti
plaudono
al taglio di spesa (1.380
milioni);
un certo praticismo qualunquista, alla saggezza del buon tempo
antico: “a che serve studiare tanto? Andè
a lavurà!”
Come
con la Buona Scuola, l'anima del
turbo-pedagogismo di governo
è ragioneria
ed estetica dell'azione: la cassa e la grancassa.
Certo,
a guardare il
dettaglio di
questo
ennesimo
esperimento,
viene
da
compatire
le cavie:
stessi programmi, medesimi
esami finali,
orario potenziato da
900
a
1000
e
passa ore
annue;
sesta
ora
di
lezione (chi
già la
fa, riferisce
che vale
il 30/40%
di un'ora normale);
alternanza scuola-lavoro possibilmente
tutta
nelle vacanze natalizie,
pasquali ed estive
(ci
crederò quando lo vedo);
una materia
tutta in inglese in
terza e in quarta (servirà
ad imparare la materia o ad imparare l'inglese?).
L'impressione
è
di cosa non troppo
meditata:
fosse per caso un pacco?
Niente
affatto:
dalle
traboccanti
adunate
cielline
(l'effimero
teologico-litoraneo)
scende
il
verbo sereno:
“non
ci sarà tanto una riduzione nella
quantità
dei contenuti, quanto
una innovazione qualitativa degli stessi”.
Frasetta
nebulosa:
non serve neppure attivare le funzioni corticali superiori, bastano
le sole narici per classificarla al volo nella riverita categoria del
“suona bene ma non significa un
fico”.
Bello
sarà vedere ‒
tanto
per
dirne
una ‒
come
i
diretti
interessati
faranno
entrare
dentro terzo
e quarto
scientifico ‒
già,
di loro, pienotti
‒
Induzione
elettromagnetica,
Equazioni
di Maxwell, Relatività
ristretta, Modelli
atomici, Crisi
della fisica classica
e Meccanica
quantistica;
temini
del 5°anno.
Basteranno
gli
abracadabra
della didattica
laboratoriale e del
potenziamento
tecnologico? O
si
arriverà
agli elettrodi a ventosa sul cranio prima di andare a dormire? In
attesa di sapere che
ne sarà
di
questa
pubblica
istruzione
modello
Scientology,
ai
prossimi fortunati l'augurio
del
Chiambretti:
“Comunque
vada, sarà un successo”. Formativo.