La via della seta: una trappola o un’opportunità?

di Alfonso Gianni - 26/03/2019

L’arrivo in Italia del Presidente Xi Jinping e consorte, accompagnati da uno stuolo imponente, soprattutto per importanza, di ministri e di dirigenti di industrie – pare 18 -, in grande prevalenza di Stato, ma anche private, sta mettendo in agitazione l’Unione europea e soprattutto gli Stati Uniti d’America. I massimi dirigenti politici ed economici della Cina arrivano da noi sull’onda di un documento di intesa, un Memorandum of Understanding fra il Governo della Repubblica Italiana e quello della Repubblica popolare cinese di collaborazione all’interno del progetto “Via della Seta” e delle iniziative per le vie marittime del XXI° secolo. La Via della Seta (Belt and Road Iniziative, Bri) è un grande progetto che i cinesi hanno concepito nel 2013 e ribadito con forza nell’ultimo congresso del Partito comunista cinese, che riguarda non solo i commerci internazionali, ma un più generale e articolato disegno di interconnettività materiale e immateriale fra la Cina e il resto del mondo. Ha certamente ragione Federico Rampini, grande conoscitore della Cina e in generale dell’Oriente più sviluppato, quando scrive (la Repubblica del 22 marzo) che in quel Memorandum c’è ben poco di concreto. Dal canto suo Massimo D’Alema, in un’intervista a Servizio Pubblico fa presente che vi sono paesi europei che sviluppano un volume di commercio con il Dragone cinese superiore di 5 o 6 volte quello italiano pur senza avere sentito il bisogno di stilare e firmare un Memorandum. E Tremonti intervistato dal Sole 24 Ore qualche giorno fa ricorda che i paesi che hanno siglato accordi commerciali con la Cina non sono certo pochi e cioè Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia.

Tanto rumore per nulla? Niente affatto. Intanto il caso dell’Italia è diverso. Non solo perché fa parte del G7, ma soprattutto per la sua posizione geografica al centro del Mar Mediterraneo. I porti del Mezzogiorno d’Italia sono un ambito punto d’attracco per le merci d’oriente. Inoltre il nostro paese è uno dei fondatori dell’Unione europea. Ma in primo luogo perché il carattere solenne che assume questo rapporto fra Italia e Cina non ha soltanto un valore simbolico, ed è già tanto, ma risponde perfettamente al disegno strategico mondiale che il governo cinese si è dato e che perpetua con molta decisione.

A sua volta questo disegno non è un parto della fantasia dei dirigenti di quel paese, ma corrisponde ai processi mondiali in atto non da oggi e che costituiscono una nuova curvatura che ha preso la globalizzazione. Si tratta di un processo complesso ma che può essere riassunto nella definizione di una transizione egemonica mondiale. La storia economica e politica del mondo, come ci hanno più volte spiegato gli autorevoli studiosi del Fernand Braudel Center, dal compianto Giovanni Arrighi a Immanuel Wallerstein, ha conosciuto vari periodi nei quali il baricentro economico e politico del mondo si è spostato. L’ultimo di questi spostamenti è stato quello tra la Gran Bretagna e gli Usa, determinando quello che giustamente è stato chiamato il Secolo Americano, cioè, sostanzialmente, il Novecento. Se si guarda ai vari indicatori che misurano la “forza” di un paese possiamo facilmente constatare che essi negli ultimi anni in particolare premiano la Cina e ci fanno capire che il secolo americano è al suo tramonto.

Proprio per questo è nato America First, il piano di Trump per rilanciare la centralità degli Usa nel mondo, minacciata dall’avanzata cinese. La guerra dei dazi è parte di questo più generale progetto. Un progetto però destinato a fallire, a meno che il mondo non precipiti per questa ragione in un nuovo conflitto mondiale dalle proporzioni e conseguenze inimmaginabili e che dunque va evitato ad ogni costo. L’amministrazione Trump è allarmata dal Memorandum italo-cinese non tanto per i suoi contenuti specifici, quanto per il suo significato politico economico, dunque più che simbolico. Gli Usa sentono che il mondo gli sta sfuggendo di mano, quindi moltiplicano gli interventi armati in varie zone del mondo, instaurano dazi, avanzano guerre commerciali e monetarie, assumono misure protezionistiche, delegittimano gli organi internazionali, quali l’Onu, ma persino quelli da essi stessi creati o promossi, come il Wto.

Ma anche l’asse franco-tedesco che domina la Ue e che intende rafforzarsi - malgrado le divergenze tra i due paesi evidenziate dall’intervista di Annegret Kramp-Karrembauer, la nuova Presidente della Cdu tedesca che critica su diversi punti le proposte di Macron – appare inquieto di fronte a questo Memorandum. C’è molta ipocrisia in questo atteggiamento, ma soprattutto è la dimostrazione di un vuoto strategico della Ue. Se gli accordi con la Cina vengono sviluppati paese per paese sono evidenti le asimmetrie che si determinano che rendono difficile stabilire rapporti di reciprocità. L’Italia dovrebbe certamente cercare di imporre una buona reciprocità. Ma la sua forza non è tale da potere raggiungere grandi risultati. Se invece fosse la Ue nel suo complesso a stabilire relazioni più intense ed equilibrate con la Cina, la massa critica che potrebbe mettere in gioco sarebbe ben altra. D’altro canto i cinesi hanno recentemente modificato la loro legislazione in materia di investimenti esteri diretti nel loro paese, in modo da favorirli. Può piacere o no (ma questo sarebbe un lungo discorso che nello spazio di questo articolo non si può fare) ma le forme capitalistiche dell’economia, assunte dalla Cina in modo originale, ove la presenza dello Stato è assolutamente prevalente, doveva comportare prima o poi una maggiore apertura di quel paese verso gli agenti dell’economia mondiale.



Le relazioni tra stati non devono essere viste solo sotto il profilo economico. L’Europa ha coltivato un modello sociale e democratico che il neoliberismo sta smantellando pezzo per pezzo e che però ancora sopravvive nella cultura del nostro continente che nella sua storia ha prodotto le cose peggiori, come il fascismo e il nazismo, ma anche esperienze avanzate di democrazia, di socialità e di solidarietà. Ed è tutto questo che la Ue dovrebbe mettere in gioco tanto nei suoi rapporti con la Cina, quanto quelli con l’Usa. Il “mondo di mezzo”, cioè noi, ha una grande responsabilità storica, quella di evitare che la transizione economica mondiale in atto avvenga senza guerre totalmente distruttive e in un quadro di multipolarità a livello mondiale che inibisca progetti egemonici soffocanti.

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