È
in corso un attacco alla nostra Costituzione, alla nostra democrazia, ai nostri
territori.
Il quadro complessivo delle riforme costituzionali, unitamente alla riforma
della legge elettorale, delinea una svolta autoritaria, che vanifica il sistema
delle garanzie costituzionali e lascia presagire uno scenario istituzionale, a
seguito del quale i cittadini avranno meno capacità decisionale.
Noi
non siamo contrari ad una ipotesi di revisione della Costituzione, ma siamo
contrari a questa revisione, che compromette la democrazia, minandola negli
organi di rappresentanza territoriale, e che favorisce la blindatura della
casta partitica in Parlamento.
Il disegno di legge di revisione costituzionale attualmente in discussione
interviene principalmente su due questioni: il bicameralismo e l’assetto delle
competenze legislative dello Stato e delle Regioni. Si tratta di due questioni
strettamente connesse.
Il
riordino delle competenze legislative previsto andrà a vantaggio dello Stato e
a sicuro detrimento del ruolo delle Regioni. Se la riforma vedrà la luce, lo
Stato potrà ergersi a decisore unico delle sorti dell’ordinamento locale, dei
beni culturali e paesaggistici, del turismo, dell’energia, del governo del
territorio, delle infrastrutture strategiche e di altre materie ancora.
La ratio sottesa alla proposta è quella di impedire che le Regioni possano in
futuro legiferare su tali materie, partecipare ai procedimenti amministrativi,
sostenere proposte alternative equo-sostenibili, opporsi alla realizzazione di
numerosi progetti (come le grandi opere inutili e le infrastrutture
strategiche), che le collettività locali e regionali contestano da tempo, per le
evidenti implicazioni che hanno sui beni comuni e, in primo luogo, sulle
risorse naturali.
È sufficiente pensare alla materia energetica.
Sebbene la riforma costituzionale del 2001 abbia attribuito l’energia alla
competenza concorrente dello Stato e della Regione, la Corte costituzionale ha
da tempo sostenuto che lo Stato possa sì disciplinare per intero la materia in
presenza di interessi di carattere unitario, ma a condizione che alle Regioni
sia lasciata la possibilità di esprimersi sulle scelte energetiche effettuate a
Roma attraverso lo strumento dell’intesa. L’intesa della Regione si configura,
infatti, come una sorta di compensazione per la “perdita” di competenza dovuta
alla decisione dello Stato di attrarre a sé la competenza sulla materia energetica.
Con il disegno di legge di revisione costituzionale questa (implicita) garanzia
verrà, invece, meno. In questo modo, i progetti energetici potrebbero non
richiedere più l’assenso della Regione.
Si pensi alla miriade di progetti petroliferi che il Governo ha in serbo di
realizzare in Basilicata, in Abruzzo o in Campania: in questi e in altri casi
lo Stato farà sicuramente da sé.
Lo stesso può dirsi per le materie che residueranno in capo alle Regioni, posto che in ogni tempo lo Stato potrà esercitare la specialissima prerogativa che la riforma gli riserva: quella di privare la Regione della possibilità di legiferare anche nelle materie residuali solo perché così piace allo Stato, e cioè “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
D’altra parte, il duro colpo che alla democrazia regionale e locale verrà inferto non potrà trovare rimedio neppure attraverso la partecipazione delle Regioni e dei Comuni in seno al nuovo Senato. Nonostante, infatti, che il nuovo art. 57 Cost. dichiari che i senatori rappresentano le “istituzioni territoriali”, le modalità di elezione individuate (attraverso i Consigli regionali) e il limitato numero di seggi a disposizione di ciascuna Regione (da attribuire “in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio”) finiranno, nei fatti, per favorire la presenza in seno al Senato dei partiti più grandi e rafforzare finanche l’egemonia degli stessi nella Camera dei Deputati, agevolati, in questo, da una legge elettorale in corso di approvazione profondamente ingiusta e antidemocratica.
Al grave colpo inferto alla democrazia rappresentativa si aggiunge, infine, la riduzione degli spazi di democrazia diretta e partecipativa, attraverso l’innalzamento delle firme necessarie per la richiesta del referendum abrogativo (da 500.000 a 800.000) e per la presentazione delle leggi di iniziativa popolare (da 50.000 a 250.000).
In conclusione, la riforma costituzionale del Governo Renzi si pone in palese violazione del principio autonomistico e del principio democratico, qualificati come principi fondamentali della nostra forma di Stato. Per questa ragione ci opponiamo fermamente alla revisione costituzionale in corso e invitiamo i parlamentari tutti a non votare il disegno di legge e i cittadini a sostenere le ragioni del nostro dissenso.
NO TRIV Abruzzo
Mediterraneo NO TRIV
NO TRIV Puglia
NO TRIV Calabria
NO TRIV Campania
NO TRIV Valle del Belice
NO TRIV Rossano
Comitato Abruzzese per la Difesa dei Beni Comuni
Fabbrikando l’Avvenire
Forum Nazionale Acqua pubblica
Alba – Reggio Calabria
CIUFER
A Sud
NO MUOS
Cittadini liberi e pensanti Taranto
Circolo Ibis Crotone
Corigliano domani
Appello per L’Aquila
Fabbricando L’Aquila
Rete della conoscenza
Fondazione Capta
Associazione Marco Polo
Zona 22
No Centrale Biomassa di Sorbo
Associazione Paidea
Associazione Apca
Rete Stop Biocidio – Abruzzo
Comitato No Petrolio, Sì Energie Rinnovabili – Puglia
Altro Verso
Link Bari – Zona Franka
L.A. Democrazia Atea
No scorie Trisaia - Rotondella