Lo dice l’articolo 226 delle disposizioni di attuazione al Codice di procedura penale secondo cui servizi segreti, polizia, carabinieri e guardia di finanza possono intercettare telefonate e conversazioni ambientali (con le famose cimici e perfino in casa propria) con una semplice autorizzazione del procuratore della Repubblica. Questo tipo di intercettazioni è chiamato preventivo perché si possono fare anche se non c’è un reato: bastano «esigenze di prevenzione».
Sarebbe come se i servizi o la polizia dicessero al procuratore della Repubblica che una fonte confidenziale degna di fede ha riferito di un complotto e che per sventarlo occorre intercettare Tizio e Caio. Il procuratore non lo sa se tutto ciò è vero, però autorizza, perché non sia mai, ma se lo fosse?
Insomma un’attività tipica di uno Stato di polizia, a garanzie zero; efficace se servizi e polizia agiscono in buona fede, micidiale per la libertà e la riservatezza dei cittadini se piegata a scopi non istituzionali (vi ricordate i dossier del Sifar? E, più recentemente, le strutture parallele del Sismi?).
Al momento queste intercettazioni disinvolte sono possibili solo per prevenire reati di terrorismo, mafia e droga. Il che spiega perché gli abituali responsabili di corruzione, abuso in atti d’ufficio, falso in bilancio, frode fiscale e reati tipici della classe dirigente italiana non hanno avuto stimolo alcuno per tuonare contro la loro pericolosità e antidemocraticità. E poi si tratta comunque di intercettazioni poco pericolose, dal loro punto di vista, perché non possono essere utilizzate nel processo penale; e se ne deve (dovrebbe) immediatamente distruggere la registrazione e il verbale riassuntivo; con il che il rischio di finire sui giornali è eliminato. Che è quello che conta. Bene, sono in arrivo novità: il 19 settembre c’è stato in commissione Giustizia un dibattito per pochi intimi cui hanno partecipato l’onorevole non ancora avvocato Carolina Lussana e l’onorevole avvocato Niccolò Ghedini. E si è scoperto che un buon sistema per evitare che le intercettazioni finiscano sui giornali consiste nel non farle; e, se proprio non si può, almeno farle solo, come pudicamente si esprime l’avvocato Ghedini, per «i reati estremamente gravi»; tra i quali ovviamente i reati tipici della classe dirigente (e tantissimi altri) non sono destinati a essere compresi.
Resta l’obiezione che in questo modo diventa impossibile perseguire quasi tutti i reati. E qui il colpo di genio: estendiamo l’ambito di applicazione delle intercettazioni preventive, quelle che nel processo non valgono niente e di cui si deve distruggere subito verbali e registrazioni; che si facciano per tutti (beh, non proprio ma comunque tanti) i reati. Tanto non ci dobbiamo preoccupare del «rischio di propalazione, dal momento che non è prevista la relativa trascrizione né alcuna forma di deposito» e così avremo uno «strumento particolarmente agile ed efficace per orientare le indagini» (Ghedini dixit).
Ora che proprio l’avvocato Ghedini faccia mostra di ignorare che le intercettazioni telefoniche non sono solo (non lo sono quasi mai) uno «strumento per orientare le indagini», ma costituiscono esse stesse incontrovertibile prova dei reati per cui si procede, è stupefacente. In un processo per corruzione i soldi non si trovano quasi mai; e testimonianze che accusino il corrotto in genere non ci sono; e, se ci sono, gli avvocati le fanno a pezzi (è bugiardo, vuole vendicarsi, calunnia perché è comunista oppure perché è di destra, oppure perché il presunto corrotto è tanto onesto e non si è prestato alle sue richieste etc. etc.). Ma una bella conversazione in cui il corrotto chiede soldi promettendo un succoso appalto e il corruttore tira sul prezzo e poi tutti e due si accordano per scambiarsi la busta, ecco questa sì che è difficile da smontare. Dunque, a che serve «orientare le indagini» con un’intercettazione che non si potrà mai usare, se poi le prove del reato su cui ci si è «orientati» non si trovano?
Ma la cosa più preoccupante di questa bella trovata sta nella possibilità per servizi e polizia e quindi per governo e relativo partito di maggioranza di costruirsi un immenso archivio riservato da utilizzare quando e se opportuno.
Ma vi immaginate il mare di informazioni che queste intercettazioni preventive possono raccogliere? Tanto più che saranno numerosissime visto che si possono fare in base al semplice sospetto che forse, chissà, si sta preparando un reato, nemmeno tanto grave secondo l’ipotesi Ghedini. E vi immaginate come diventerà utile, al momento opportuno, ricordare a Tizio che è bene che faccia quella cosa o non faccia quell’altra cosa perché, se no, potrebbe venir fuori che tre anni prima lui ha parlato con... e gli ha detto che...? Vi immaginate insomma che potente arma di ricatto viene messa in mano ad apparati di polizia e alle maggioranze di riferimento?
Tutto questo con l’alibi della privacy da tutelare. Quale? Quella di una classe dirigente sempre più coinvolta in episodi di malaffare? Perché una cosa è certa: i cittadini qualunque non si sono mai accorti di essere... indebitamente esposti sui giornali.
Sarebbe come se i servizi o la polizia dicessero al procuratore della Repubblica che una fonte confidenziale degna di fede ha riferito di un complotto e che per sventarlo occorre intercettare Tizio e Caio. Il procuratore non lo sa se tutto ciò è vero, però autorizza, perché non sia mai, ma se lo fosse?
Insomma un’attività tipica di uno Stato di polizia, a garanzie zero; efficace se servizi e polizia agiscono in buona fede, micidiale per la libertà e la riservatezza dei cittadini se piegata a scopi non istituzionali (vi ricordate i dossier del Sifar? E, più recentemente, le strutture parallele del Sismi?).
Al momento queste intercettazioni disinvolte sono possibili solo per prevenire reati di terrorismo, mafia e droga. Il che spiega perché gli abituali responsabili di corruzione, abuso in atti d’ufficio, falso in bilancio, frode fiscale e reati tipici della classe dirigente italiana non hanno avuto stimolo alcuno per tuonare contro la loro pericolosità e antidemocraticità. E poi si tratta comunque di intercettazioni poco pericolose, dal loro punto di vista, perché non possono essere utilizzate nel processo penale; e se ne deve (dovrebbe) immediatamente distruggere la registrazione e il verbale riassuntivo; con il che il rischio di finire sui giornali è eliminato. Che è quello che conta. Bene, sono in arrivo novità: il 19 settembre c’è stato in commissione Giustizia un dibattito per pochi intimi cui hanno partecipato l’onorevole non ancora avvocato Carolina Lussana e l’onorevole avvocato Niccolò Ghedini. E si è scoperto che un buon sistema per evitare che le intercettazioni finiscano sui giornali consiste nel non farle; e, se proprio non si può, almeno farle solo, come pudicamente si esprime l’avvocato Ghedini, per «i reati estremamente gravi»; tra i quali ovviamente i reati tipici della classe dirigente (e tantissimi altri) non sono destinati a essere compresi.
Resta l’obiezione che in questo modo diventa impossibile perseguire quasi tutti i reati. E qui il colpo di genio: estendiamo l’ambito di applicazione delle intercettazioni preventive, quelle che nel processo non valgono niente e di cui si deve distruggere subito verbali e registrazioni; che si facciano per tutti (beh, non proprio ma comunque tanti) i reati. Tanto non ci dobbiamo preoccupare del «rischio di propalazione, dal momento che non è prevista la relativa trascrizione né alcuna forma di deposito» e così avremo uno «strumento particolarmente agile ed efficace per orientare le indagini» (Ghedini dixit).
Ora che proprio l’avvocato Ghedini faccia mostra di ignorare che le intercettazioni telefoniche non sono solo (non lo sono quasi mai) uno «strumento per orientare le indagini», ma costituiscono esse stesse incontrovertibile prova dei reati per cui si procede, è stupefacente. In un processo per corruzione i soldi non si trovano quasi mai; e testimonianze che accusino il corrotto in genere non ci sono; e, se ci sono, gli avvocati le fanno a pezzi (è bugiardo, vuole vendicarsi, calunnia perché è comunista oppure perché è di destra, oppure perché il presunto corrotto è tanto onesto e non si è prestato alle sue richieste etc. etc.). Ma una bella conversazione in cui il corrotto chiede soldi promettendo un succoso appalto e il corruttore tira sul prezzo e poi tutti e due si accordano per scambiarsi la busta, ecco questa sì che è difficile da smontare. Dunque, a che serve «orientare le indagini» con un’intercettazione che non si potrà mai usare, se poi le prove del reato su cui ci si è «orientati» non si trovano?
Ma la cosa più preoccupante di questa bella trovata sta nella possibilità per servizi e polizia e quindi per governo e relativo partito di maggioranza di costruirsi un immenso archivio riservato da utilizzare quando e se opportuno.
Ma vi immaginate il mare di informazioni che queste intercettazioni preventive possono raccogliere? Tanto più che saranno numerosissime visto che si possono fare in base al semplice sospetto che forse, chissà, si sta preparando un reato, nemmeno tanto grave secondo l’ipotesi Ghedini. E vi immaginate come diventerà utile, al momento opportuno, ricordare a Tizio che è bene che faccia quella cosa o non faccia quell’altra cosa perché, se no, potrebbe venir fuori che tre anni prima lui ha parlato con... e gli ha detto che...? Vi immaginate insomma che potente arma di ricatto viene messa in mano ad apparati di polizia e alle maggioranze di riferimento?
Tutto questo con l’alibi della privacy da tutelare. Quale? Quella di una classe dirigente sempre più coinvolta in episodi di malaffare? Perché una cosa è certa: i cittadini qualunque non si sono mai accorti di essere... indebitamente esposti sui giornali.