Nel campo desolato delle crudeltà e dei lutti seminati da un conflitto che dura, senza soluzione, da oltre 75 anni, le stragi indiscriminate compiute nel sud di Israele dai miliziani di Hamas, possono trovare un precedente di pari barbarie solo nel massacro nel campo profughi di Sabra e Chatila eseguito il 16 settembre del 1982 dalle falangi libanesi in cui furono trucidate 3.500 persone innocenti, comprese donne e bambini.
Questo per dire che il metodo terroristico elevato alla sua massima potenza, non è l’elemento discriminante per qualificare i soggetti che lo praticano. In Medio Oriente il terrorismo non è appannaggio esclusivo di bande che si dedicano al terrore ispirate da fanatismi politici o religiosi, ma è praticato anche dagli Stati. Del resto è arduo distinguere fra la guerra ed il terrorismo poiché in guerra si tende a terrorizzare l’avversario utilizzando la morte e la minaccia della morte. Non a caso gli USA hanno denominato l’operazione di attacco all’Iraq nel marzo del 2003 “Shock and awe” (colpisci e terrorizza). In realtà la guerra (che secondo Kelsen consiste in un omicidio di massa) è una forma di terrorismo su vasta scala.
L’unica cosa che potrebbe distinguere la guerra dal terrorismo è il diritto umanitario (lo ius in bello), se venisse rispettato dai belligeranti. Se il diritto internazionale non gode di buona salute, specialmente in Medio Oriente, tanto meno il diritto umanitario, ciò non autorizza a buttarlo a mare perché l’alternativa sarebbe rassegnarsi al dilagare della barbarie, come a Kfar Azza il 7 ottobre 2023 o a Sabra e Chatila il 16 settembre 1982. Il diritto umanitario ci insegna che “In ogni conflitto armato, il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato” (I Protocollo di Ginevra, art. 35). La regola fondamentale è che “le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile ed i combattenti (..) e di conseguenza dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari” (art.48).
Di conseguenza sono vietati “gli attacchi indiscriminati” e “gli atti o minacce di violenza, il cui scopo principale sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile” (art. 51). In particolare “E’ vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili. E’ vietato attaccare, distruggere, asportare, o mettere fuori uso beni indispensabili alla popolazione civile (..) quale che sia lo scopo perseguito, si tratti di far soffrire la fame alle persone civili, di provocarne il loro spostamento o di qualunque altro scopo” (art. 54). La Comunità internazionale ha inteso rendere meno evanescente il diritto umanitario, qualificando come delitti internazionali (crimini di guerra) le violazioni del diritto umanitario ed istituendo una Corte penale internazionale per: “porre termine all’impunità degli autori di tali crimini, contribuendo in tal modo alla prevenzione di nuovi crimini.”
Il premier Netanyahu, che si è ben guardato dall’aderire alla Corte penale internazionale, ha mostrato al Segretario di Stato americano, Blinken, delle fotografie di tre bambini orribilmente sfigurati nella morte. Si può capire la collera di Israele per la ferita subita, che oltraggia l’umanità in quanto tale, ma quando le foto dei bambini morti vengono utilizzate da un politico per giustificare un massacro che, finora, ha provocato a Gaza la morte di 700 fanciulli (numero che è destinato a crescere indefinitamente man mano che le operazioni militari vanno avanti), rimane un’impressione orribile. La vita dei bambini della popolazione “nemica” non conta nulla. Eppure se qualcuno diffondesse le foto dei fanciulli di Gaza, bruciati dal fuoco israeliano, non sarebbe possibile trovare la differenza con le foto mostrate da Netanyahu.
I paesi del Sud del Mondo rimproverano all’Occidente l’uso di un doppio standard, due pesi e due misure per cui gli Stati Uniti ed Israele possono violare impunemente quelle regole di cui pretendono il rispetto dagli altri Paesi. L’impunità che la Comunità internazionale ha assicurato alle politiche israeliane di oppressione dei palestinesi, si è ritorta contro lo stesso Israele. Gli attacchi criminali compiuti contro cittadini israeliani, non sono determinati dal fondamentalismo religioso ma dall’odio generato da una situazione di ingiustizia senza sbocco. Proprio per questo la spada di ferro sollevata contro Gaza, non può risolvere ma può solo incancrenire il conflitto, provocando sofferenze e lutti inenarrabili alla popolazione ivi imprigionata. In questo conflitto vi sono due popoli che convivono nello stesso territorio, che va dalle rive del Giordano al mar Mediterraneo, e dovranno continuare a convivere qualunque sviluppo politico dovesse esserci in futuro (due Stati, uno Stato federale, un solo Stato binazionale).
Il ricorso alla violenza si risolve in una serie di atrocità che rende impossibile la convivenza, pregiudicando ogni soluzione politica. L’impossibilità di risolvere il conflitto con le armi vale anche per la parte israeliana. La pretesa di fondare la propria sicurezza sulla forza militare e sulla capacità di sopraffazione del “nemico”, ha dimostrato tutta la sua debolezza. Israele ha vinto tutte le sue guerre, ma non è riuscita a vivere un giorno in pace, anzi ha costruito con le sue mani quell’odio implacabile che adesso gli fa piangere le sue vittime innocenti. Questa spirale di violenza è distruttiva per entrambi i popoli. Si dice che il sonno della ragione genera mostri. Nel Medio Oriente Il sonno della giustizia e del diritto non poteva che generare mostri. (articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 17 ottobre 2023 con il titolo il sonno della giustizia genera mostri ovunque)