La censura preventiva, ordinata da Palazzo Chigi, l’ha accorciata dal mese canonico a una sola settimana. Ed è inevitabile che la censura ne sia diventata il tema principale. Gli elettori più interessati riserveranno certo qualche pensiero anche al confronto di ambito regionale. E le clientele dei partiti saranno pronte a disputarsi le spoglie dei sottogoverni.
Ma l’interrogativo dominante è se il voto regionale premierà o punirà il governo nazionale. Motivi per bocciarlo non mancano: indifferenza per la crisi economica, fiscalità iniqua, demolizione della scuola pubblica, privatizzazione dei servizi pubblici, dissipazione di risorse pubbliche a vantaggio di guadagni privati, incoraggiamento all’illegalità, misure razziste sull’immigrazione.
Due ostacoli si frappongono. In certe regioni è difficile risalire la china. Il centrosinistra nella Campania di Bassolino aveva dato un contributo decisivo alla sconfitta nazionale nel 2008 e ora può sperare di farcela solo con una reale metamorfosi: ne sarà capace? In altre regioni il centrosinistra incapace di unirsi (Marche, Calabria) offre al centrodestra chances insperate.
Un motivo superiore ci obbliga a mettere da parte i sentimenti identitari per privilegiare la logica di coalizione:la minaccia di Berlusconi di usare il suo eventuale successo nelle regionali per scardinare definitivamente le garanzie costituzionali. Dominio totalitario del governo sul parlamento e sulla magistratura, presidenzialismo assoluto.
L’incredulità che un soggetto così grottesco possa aspirare a tanto e raggiungerlo non può far trascurare il pericolo: egolatria e primato senza limiti. E’ rivelatrice l’indifferenza per la soluzione: capo dello stato o premier eletti direttamente dal popolo. Considerare interscambiabili le due ipotesi è puro analfabetismo costituzionale. Ma ne è evidente il motivo: vuole il potere plebiscitario e lo vuole per sé. Che poi risieda a Palazzo Chigi o al Quirinale gli è indifferente: basta che il suo potere, dovunque sia, suborni l’altro.
E’ bastata mezza legislatura ai francesi per capire che Sarkozy era un bluff e punirlo severamente nelle regionali. Gli italiani hanno già dimostrato di essere assai meno rapidi e incapaci di sottrarsi alla suggestione della propaganda monopolistica. Ora si diffonde un senso comune per cui stavolta l’astensionismo maggiore sarà di centrodestra. Non possiamo cullarci nell’attesa fatalistica. Non abbiamo strumenti? Andiamo a parlare nei mercati, nei luoghi di ritrovo studenteschi, davanti alle fabbriche, sui treni dei pendolari, nei centri di aggregazione popolare. Negli ultimi giorni, e fino agli ultimi minuti di questa campagna elettorale fantasma raggiungiamo i nostri amici astensionisti col telefono, con le mail, di persona e convinciamoli uno per uno che devono uscire dal loro letargo e andare a votare. In questa situazione essere schizzinosi è puro autolesionismo. Solo dopo la vittoria possiamo dedicarci a valorizzare le nostre identità.