La sentenza del processo per i pestaggi alla scuola Diaz nel 2001 a Genova è vergognosa, ingiusta e pericolosa.
Un antico uso afferma che le sentenze si rispettano e non si commentano. Questa è impossibile rispettarla e impossibile non commentarla. I fatti avvenuti sono stati documentati con prove orali, documentali e video-fotografiche. Le testimonianze dirette delle vittime sono state esplicite e confermate. Non c’è dubbio alcuno sul fatto che le forze dell’ordine si siano comportate come perfette forze del disordine, della violenza cieca a danno di 93 persone inermi sorprese nel sonno e picchiate senza pietà. Gambe e braccia fratturate, teste incrinate, polmoni perforati, mascelle scardinate, denti saltati. Alcune delle vittime hanno rischiato la vita. Il sesso femminile non solo non è stato risparmiato ma su alcune ragazze gli agenti hanno infierito con un supplemento di violenza realizzabile solo con la certezza dell’irresponsabilità e dell’impunità.
Il processo ha illustrato tutto ciò senza ombra di dubbio. Di fronte a questa verità indubitabile e incancellabile la corte ha scelto, per esprimere il suo giudizio, la via più minimalista. Ha deciso che colpevoli, e condannabili solo a pene lievi, erano solo i pochi agenti e i pochissimi loro superiori diretti di cui è stata accertata la partecipazione ai fatti. Tutta la vera catena di comando è stata risparmiata. Si può trascurare qui che i quadri che la componevano fino alle più alte gerarchie fossero già stati tutti promossi. Il governo premia i propri esecutori fedeli.
Ma qui giudicava la magistratura, non un potere burocratico grigio e pronto all’obbedienza. Si doveva rendere giustizia a vittime sottoposte a violenze immotivate e private per lunghe ore delle più irrinunciabili garanzie costituzionali. Si doveva mostrare all’opinione pubblica europea, interessata direttamente perché europee erano molte delle giovani vittime, che la giustizia italiana sa colpire i servitori dello stato che si comportano come se lo stato fosse il partito che li protegge. Si doveva sanzionare il comportamento illegale delle forze dell’ordine e soprattutto la scandalosa indifferenza ai doveri dello stato di diritto manifestata dai comandi superiori.
Invece i giudici del processo di Genova hanno scelto di concentrare le condanne (lievi rispetto ai reati commessi) solo sulla testa dei picchiatori e hanno assolto le gerarchie superiori che pure erano coinvolte nel farraginoso giro di plurime falsificazioni necessarie a coprire, a posteriori, l’accaduto.
I giudici di Genova, con la loro scelta minimalista, si sono presi una responsabilità enorme. Hanno stabilito un’autorizzazione a priori per futuri comportamenti illegali delle forze dell’ordine. Hanno fissato il principio secondo cui qualunque cosa accada solo l’agente singolo potrà subire le conseguenze dei propri atti. Hanno liberato in anticipo dalle loro responsabilità i quadri di comando che nel futuro vorranno imitare i loro predecessori di Genova. Hanno stabilito che lo stato può contravvenire ai suoi principi fondativi, ai suoi doveri costituzionali. I giudici di Genova hanno rinunciato a esercitare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura.
La sentenza di Genova mette tutti noi di fronte a un compito più difficile. Nei giorni delle grandi, pacifiche manifestazioni di studenti, professori e famiglie, di fronte ai pochi momenti di tensione, di fronte alle provocazioni invocate da Cossiga, realizzate da picchiatori fascisti e non controllate a dovere dalla polizia, abbiamo ripetuto sempre e ovunque che ci si deve tutti impegnare per evitare che i manifestanti considerino le forze dell’ordine come entità ostili.
Da oggi il nostro compito è più arduo. E’ più difficile sostenere la certezza della pena per chi si è macchiato di reati orribili. Più difficile affermare che si possa rendere giustizia alle parti lese. I giovani che manifestano sono segnati dalla precarietà che vanifica i loro studi e li separa da un lavoro all’altezza dei loro meriti. La sentenza di Genova può rafforzare in loro la convinzione che lo Stato è ingiusto. Noi dobbiamo persuaderli che molto più pericoloso delle forze dell’ordine è il governo che le comanda.
Una sentenza vergognosa, ingiusta e pericolosa