E’ un dato acquisito che la politica d’estate, nonostante le molte distrazioni, è protagonista. Nelle dichiarazioni a raffica dei suoi maggiori esponenti e negli innumerevoli dibattiti all’interno delle feste di partito.
Ma essa divaga, in questo particolare periodo dell’anno, dal nocciolo vero dei problemi e li affronta, per paradosso, aggirandoli, pur accendendo il fuoco fatuo di quelle che agli occhi nostri appaiono dirompenti polemiche. Tutto, in attesa delle inevitabili verifiche autunnali.
Un dato però, sopra le molte parole profuse in questi ultimi tempi, si staglia inconfutabile ed in una certa misura drammatico: la difficoltà del PD, che stenta a farsi finalmente partito. Con un suo disegno politico originale ed autonomo e col vincere le troppe divisioni e lotte intestine.
Sarebbe grave per il più grande raggruppamento, al momento all’opposizione, se si continuasse così nei mesi a venire. Non rimarrebbe ad esso che accodarsi, in modo ancora più marcato di adesso, al turbinio delle decisioni della destra al governo.
I temi in campo sono molteplici: la riforma della Scuola e della Giustizia, l’accordo per l’Alitalia, la Sicurezza e quella, che viene evocata anche in maniera bipartisan, come la panacea per ogni male italico, ovvero il federalismo fiscale.
A riguardo, il PD è chiamato a scelte non secondarie: se inseguire le volute “berlusconiane & leghiste” o presentare finalmente quel progetto di società alternativa, promesso in campagna elettorale.
Non c’è più molto tempo da perdere in diatribe e scontri, perché molti cittadini incominciano a percepire, sgomenti, la disgregazione ormai bene avviata dello Stato nazionale. All’insegna di un divario economico e sociale, che appare sempre più incolmabile, tra il Nord ed il Sud.
Certo è che a ciò ha contribuito un partito come la Lega Nord, con pronunciamenti ed azioni al limite dell’eversione, del razzismo e dell’egoismo campanilista, all’interno dei vari governi a guida Berlusconi. Dell’esecutivo attuale la Lega è sicuramente la forza più fagocitante e rilevante.
Il tutto lungo la falsariga di un esproprio continuo, perpetrato in danno del Meridione d’Italia. Ma le colpe sono ascrivibili anche ad altri soggetti, operanti in diversi momenti storici, individuabili pure in formazioni politiche ed organizzazioni sindacali contigue al mondo del lavoro. Se nel nostro territorio si è provveduto sistematicamente a depauperare, fino ad annullarlo, il patrimonio industriale, senza ottenere contropartite ed a disperdere, in tal modo, la cultura del lavoro, ricacciando la classe operaia, priva ormai di certezze e percezione di sé, nella condizione primordiale di plebe, perché meravigliarsi e gridare allo scanalo per quanto accade in negativo al Sud?
Dalla festa nazionale del Partito Democratico, a Firenze, nei giorni scorsi sono arrivati gli echi di intensi e sentiti applausi della platea per il ministro Bossi. Se fossi stato colà, non avrei applaudito ad un intervento ipocrita ed ingannevole e non nascondo un permeante disagio come cittadino ed elettore meridionale: fannullone, geneticamente inferiore e potenzialmente malavitoso. Incolto, in quanto prodotto di una scuola e di un Dio minore. Fino a poco fa sepolto dall’immondizia e traslato di peso e di impeto dal premier Berlusconi verso la “civiltà occidentale”. Che fine ingloriosa per chi è nato nel luogo, prospiciente il golfo, dove tramite la cultura greco - romana, ha avuto origine proprio l’Occidente.
Ma ho la sensazione sgradevole, suffragata dalle molte dichiarazioni pubbliche, che il PD sia in mano al partito del Nord. Stessa cultura, stessa fobia egoistica della Lega Nord, stessa priorità per gli interessi esclusivi delle plaghe settentrionali. Solidarietà di facciata per il Meridione.
Invece, il Partito Democratico dovrebbe riuscire ad avere una visione di insieme del Paese e riuscire a tutti i costi a ricomporre l’unità nazionale, compromessa dai troppi egoismi corporativi e localistici.
Che tale titanico sforzo debba essere compiuto, è fuori dubbio. Così come deve essere fortemente attivo il ruolo delle popolazioni e della classe politica meridionali.
In caso contrario, sarà veramente la fine del Paese e dell’idea stessa di democrazia.
Ci si avvia verso un pendio irreversibilmente insidioso, soprattutto se si continua a praticare un’opposizione come quella attuale: flaccida, pavida, prona, ipnotizzata dal fare e dal dire berlusconiani, rinunciataria, a tratti compiacente. Atteggiamenti, che spesso rivelano la ricerca di potere correntizio o individuale e che sono lontanissimi dal sentire e dai bisogni dei cittadini.
Ma essa divaga, in questo particolare periodo dell’anno, dal nocciolo vero dei problemi e li affronta, per paradosso, aggirandoli, pur accendendo il fuoco fatuo di quelle che agli occhi nostri appaiono dirompenti polemiche. Tutto, in attesa delle inevitabili verifiche autunnali.
Un dato però, sopra le molte parole profuse in questi ultimi tempi, si staglia inconfutabile ed in una certa misura drammatico: la difficoltà del PD, che stenta a farsi finalmente partito. Con un suo disegno politico originale ed autonomo e col vincere le troppe divisioni e lotte intestine.
Sarebbe grave per il più grande raggruppamento, al momento all’opposizione, se si continuasse così nei mesi a venire. Non rimarrebbe ad esso che accodarsi, in modo ancora più marcato di adesso, al turbinio delle decisioni della destra al governo.
I temi in campo sono molteplici: la riforma della Scuola e della Giustizia, l’accordo per l’Alitalia, la Sicurezza e quella, che viene evocata anche in maniera bipartisan, come la panacea per ogni male italico, ovvero il federalismo fiscale.
A riguardo, il PD è chiamato a scelte non secondarie: se inseguire le volute “berlusconiane & leghiste” o presentare finalmente quel progetto di società alternativa, promesso in campagna elettorale.
Non c’è più molto tempo da perdere in diatribe e scontri, perché molti cittadini incominciano a percepire, sgomenti, la disgregazione ormai bene avviata dello Stato nazionale. All’insegna di un divario economico e sociale, che appare sempre più incolmabile, tra il Nord ed il Sud.
Certo è che a ciò ha contribuito un partito come la Lega Nord, con pronunciamenti ed azioni al limite dell’eversione, del razzismo e dell’egoismo campanilista, all’interno dei vari governi a guida Berlusconi. Dell’esecutivo attuale la Lega è sicuramente la forza più fagocitante e rilevante.
Il tutto lungo la falsariga di un esproprio continuo, perpetrato in danno del Meridione d’Italia. Ma le colpe sono ascrivibili anche ad altri soggetti, operanti in diversi momenti storici, individuabili pure in formazioni politiche ed organizzazioni sindacali contigue al mondo del lavoro. Se nel nostro territorio si è provveduto sistematicamente a depauperare, fino ad annullarlo, il patrimonio industriale, senza ottenere contropartite ed a disperdere, in tal modo, la cultura del lavoro, ricacciando la classe operaia, priva ormai di certezze e percezione di sé, nella condizione primordiale di plebe, perché meravigliarsi e gridare allo scanalo per quanto accade in negativo al Sud?
Dalla festa nazionale del Partito Democratico, a Firenze, nei giorni scorsi sono arrivati gli echi di intensi e sentiti applausi della platea per il ministro Bossi. Se fossi stato colà, non avrei applaudito ad un intervento ipocrita ed ingannevole e non nascondo un permeante disagio come cittadino ed elettore meridionale: fannullone, geneticamente inferiore e potenzialmente malavitoso. Incolto, in quanto prodotto di una scuola e di un Dio minore. Fino a poco fa sepolto dall’immondizia e traslato di peso e di impeto dal premier Berlusconi verso la “civiltà occidentale”. Che fine ingloriosa per chi è nato nel luogo, prospiciente il golfo, dove tramite la cultura greco - romana, ha avuto origine proprio l’Occidente.
Ma ho la sensazione sgradevole, suffragata dalle molte dichiarazioni pubbliche, che il PD sia in mano al partito del Nord. Stessa cultura, stessa fobia egoistica della Lega Nord, stessa priorità per gli interessi esclusivi delle plaghe settentrionali. Solidarietà di facciata per il Meridione.
Invece, il Partito Democratico dovrebbe riuscire ad avere una visione di insieme del Paese e riuscire a tutti i costi a ricomporre l’unità nazionale, compromessa dai troppi egoismi corporativi e localistici.
Che tale titanico sforzo debba essere compiuto, è fuori dubbio. Così come deve essere fortemente attivo il ruolo delle popolazioni e della classe politica meridionali.
In caso contrario, sarà veramente la fine del Paese e dell’idea stessa di democrazia.
Ci si avvia verso un pendio irreversibilmente insidioso, soprattutto se si continua a praticare un’opposizione come quella attuale: flaccida, pavida, prona, ipnotizzata dal fare e dal dire berlusconiani, rinunciataria, a tratti compiacente. Atteggiamenti, che spesso rivelano la ricerca di potere correntizio o individuale e che sono lontanissimi dal sentire e dai bisogni dei cittadini.