Quando intervistai, circa un anno fa, il giornalista
Giovanni Maria Bellu, autore del libro inchiesta (“I fantasmi di Portopalo”)
sul naufragio di Portopalo del Natale 1996, egli mi parlò del “norappero”, una
figura molto diffusa in Italia, vale a dire colui che dice sempre “io non sono
razzista, però...”. Una formula, cinque parole da utilizzare come preambolo
ogniqualvolta si deve vomitare il proprio giudizio negativo sull’Altro,
sullo straniero, sul diverso. Bellu ha coniato questo termine a conclusione di
una sua ricerca, che lo ha portato a riscontrare un uso spropositato di questa
particolare premessa nei discorsi degli italiani. E per averne conferma basta
leggere i giornali, guardare la tv, andare nei forum, su Internet, parlare con
la gente.
Tutta l’Italia è pervasa da un razzismo violento, fomentato da una
sottocultura dominante che le istituzioni e i mass media stanno legittimando e
consolidando. Da diversi anni, ormai, è emersa la natura razzista degli
italiani: già negli anni ’90, con l’assassinio di Jerry Masslo a Villa Literno,
ad opera di alcuni giovani balordi campani in cerca di adrenalina e soldi, è
divenuto evidente quanto lo stereotipo “italiani brava gente” fosse falso e
inadeguato. Da allora sono stati centinaia gli episodi di razzismo, violenza,
sfruttamento costante nei confronti degli stranieri presenti nel nostro
territorio nazionale.
La Lega Nord ha certamente contribuito, creando paure
false percepite come reali, inasprendo i toni nei confronti di ogni diversità,
ma non è l’unica responsabile. Tutta la classe politica è colpevole, così come
i mezzi di comunicazione: anche quelli che mostrano maggiore sensibilità troppo
spesso sbagliano, utilizzando un linguaggio scorretto, partendo da concetti che
sono già marci nelle loro fondamenta. Ma l’italiano non deve usare le
responsabilità di altri come giustificazioni al proprio modo di agire. L’ho già
scritto e lo ripeto: siamo tutti colpevoli. La gente sta mostrando tutta la
propria crudeltà, facendo emergere quanto di più bieco e ripugnante possa
esistere nella propria anima. E le istituzioni, la politica, i media sono lo
specchio di questa società malata di individualismo perbenista, di arrogante
presunzione di superiorità e pulizia morale, di crudele avversione a tutto ciò
che è Altro.
Personalmente mi occupo di immigrazione da alcuni anni, ho
scritto spesso di vergognosi atti di razzismo, sono meridionale, quindi per me
non è stato “sorprendente” scoprire che l’Italia possiede il virus del razzismo
e della xenofobia. Lo ha sempre avuto. Solo che prima era diffuso di più al
nord ed aveva per oggetto i meridionali “terroni”, oggi invece si è allargato
in tutta Italia, arrivando fino a Lampedusa, il cui sindaco ha affermato che i
neri “puzzano anche quando si lavano”, quella stessa Lampedusa che vanta una
deputata nazionale eletta nella Lega Nord. Accade anche questo oggi in Italia.
Accade che una cittadina italiana di origine somala venga fermata all’aeroporto
di Ciampino, umiliata, insultata, fatta spogliare nuda, ammanettata ad una
barella, denunciata per resistenza a pubblico ufficiale solo perché si è
rifiutata di subire un’ispezione rettale e vaginale senza che ad eseguirla
fosse un medico. Nessun rispetto della procedura da parte della polizia, nessun
verbale, solo il sospetto che trafficasse droga attraverso l’ingestione di
ovuli. Dopo la decisione della donna, attraverso un’associazione, di denunciare
l’accaduto, la polizia ha subito reagito con una denuncia per calunnia, oltre
alla denuncia già esistente di resistenza a pubblico ufficiale.
Le forze
dell’ordine si sono subito difese affermando che si trattasse di una donna con
precedenti per droga: peccato che la signora Amina non sia stata mai processata
o condannata per droga, visto che il suo unico “reato” è stato il possesso di
foglie di qat, un erba officinale che in Somalia ed in altri paesi
africani viene masticata, senza produrre un effetto stupefacente e senza creare
dipendenza. Si tratta di un semplice eccitante, come può essere il caffè. Per
creare un effetto realmente drogante bisognerebbe masticarne un chilo. Il qat
tra l’altro era legale in Italia fino a due anni fa. Reazioni ambigue, insomma,
da parte delle forze delle autorità di Ciampino, che andranno verificate.
Intanto, però, il ministero dell’Interno ha annunciato di costituirsi come
parte civile al processo, perché, come ha detto il ministro Maroni, “non si può
permettere che si infanghi la polizia accusandola di comportamenti razzisti”.
Incredibile.
Nemmeno nei processi di mafia, nemmeno in quelli veramente
importanti, il ministero degli Interni si è costituito parte civile. Ma ormai
in Italia la mafia e la camorra sono meno fastidiose degli immigrati. La gente
vuole questo e la politica li accontenta: a mafia e camorra ci si è abituati,
in fondo ci accompagnano da sempre con il loro carico di sangue e morte, mentre
gli stranieri sono nuovi, danno fastidio, non ci si vuole abituare a loro.
Così, lo Stato entra in un processo contro una cittadina italiana di pelle
scura ritenendo l’accusa alla polizia più grave dei morti che la mafia ha fatto
tra le forze dell’ordine. D’altronde, Maroni è lo stesso che ha dichiarato che
“l’emergenza razzismo non c’è, ci sono solo episodi”. E a lui ha fatto eco il
presidente del Senato, Schifani, che ha affermato che in Italia “il
razzismo non può esistere perché non è nel nostro Dna”.
Già, infatti non
è razzismo malmenare a sangue, a Parma, un ragazzo di origine ghanese,
studente, mentre passeggia in un parco in attesa di entrare a scuola, così come
non è razzismo arrestare davanti a suo figlio un cittadino italiano di origine
senegalese, a Milano, solo perché si ribella ad una multa chiedendo di poter
fare entrare il figlio a scuola prima di formalizzare la sanzione. E non è
razzismo picchiare e rompere il naso ad un cinese che aspetta l’autobus in
strada, o lasciare una prostituta sdraiata per terra, mezza nuda, per ore in
una cella senza mangiare né bere, oppure uccidere un ragazzino perché ha preso
un biscotto senza pagare, insultandolo nel frattempo con epiteti razzisti (ma
il sapiente magistrato ha escluso il carattere razzista dell’aggressione
mortale...). Niente di tutto ciò.
Il sedicente quotidiano Il Giornale,
diretto dal virile e colto Mario Giordano (colui che ha creato il primo
telegiornale con più gossip e corpi nudi che notizie), ha parlato di “storie di
razzismo immaginario”, affermando, in un articolo di tale Cristiano Gatti dal
titolo “Il razzismo che non c’è. Quell’Italia xenofoba inventata dai
giornali” , che “è tutta una
strategia della sinistra: sfruttare ogni episodio di cronaca. Un calcolo
utilitaristico dell’opposizione: investire sul bonus
elettorale degli immigrati quando voteranno”. Insomma, i soliti diabolici
comunisti bolscevichi dalla mente perversa che, in quest’Italia che appare ogni
giorno sempre più vogliosa di dare il voto agli immigrati, preparano già la
campagna elettorale del futuro.
Questa è la stampa italiana, questa la
politica, questa la gente. Ignoranti dai denti aguzzi, appassionati di gossip e
pallone, pronti a violentare i deboli, baciando contemporaneamente il tricolore
e il crocifisso, paurosi di tutto senza averne motivo, codardi di fronte a chi
è più forte di loro, schifosamente servili e complici di una falsa democrazia
che scricchiola, fagocitata da un sistema economico-politico marcio e perverso,
che usa la propaganda antistranieri per coprire, con parole e proclami, misure
che hanno l’unico scopo di fabbricare clandestini, da sfruttare a buon mercato
(nelle campagne, nell’edilizia, nelle case degli anziani, nelle fabbriche, nei
bar, nei ristoranti, ecc.), da intrappolare nel buio del non diritto, della non
esistenza. Se qualcuno si ribella, come hanno fatto a Milano o a Castel
Volturno, se qualcuno comincia a protestare, a denunciare, allora si cerca di
screditarli, di farli passare per menzogneri o visionari, oppure per
delinquenti.
Questa Italia non mi appartiene, quest’Italia che porge la schiena
curva ai camorristi ed ai mafiosi, agli estorsori, e poi offre il pugno duro e
chiuso a chi ha bisogno, a chi è senza diritti, a chi non ha un documento, a
chi preleva un biscotto da una bottega. Razzismo, c’è solo una parola che
accompagna gli italiani oggi, una parola che in tanti negano, allontanano da
sé, per evitare di dare un significato ai loro gesti beceri e crudeli, per non
essere etichettati, perché l’italiano di oggi, che sia un semplice cittadino o
un vigile urbano, è fatto così: è protagonista di atti crudeli e disumani ma
cerca sempre di mostrarsi limpido davanti all’occhio sociale. Un’ipocrisia che
ha la puzza orrida della vigliaccheria propria di un’umanità ormai decomposta.