ATTORNO
al premier l'aria si fa sempre più viziata e rarefatta. Lo
scollamento all'interno del suo gruppo dirigente è ormai visibile.
Il distacco di settori consistenti del suo elettorato è anch'esso
palese e lo ha certificato due giorni fa Gianfranco Fini quando ha
detto che il governo è stabile ma cresce l'indifferenza e la
sfiducia del corpo elettorale nei confronti della politica,
aggiungendo che questo fenomeno rappresenta un pericolo molto serio
per la democrazia.
Aumenta anche in modo esponenziale lo stupore
dell'opinione pubblica internazionale e dei governi alleati in Europa
e in America. Mai il prestigio del nostro paese nel mondo aveva
raggiunto un così infimo livello.
Queste persone cominceranno a fargli il vuoto intorno, per ragioni di onestà personale o di salvaguardia a tutela della propria onorabilità. Per opporsi a questa deriva che è già in atto il premier cercherà e sta già cercando di blindare la situazione, intimidire i possibili testimoni, mobilitare servizi segreti e polizie private allo scopo di rovesciare sui suoi accusatori la stessa quota di melma nella quale è lui che sta affondando. Se i palazzi e le ville di Stato sono diventate una suburra, la stessa sorte rischia di diffondersi a una società deturpata dalla corruzione.
La domanda che milioni di persone sempre più attonite e disgustate si pongono è ormai martellante e te la senti fare agli angoli delle strade, nelle centinaia di migliaia di lettere che "Internet" rovescia sui tavoli delle redazioni: quanto durerà questo sconcio? Come si uscirà da questo pantano? C'è un passaparola assordante come un rombo di cannone, per usare le parole del Don Basilio del "Barbiere di Siviglia", e non c'è avvocato Ghedini che possa silenziarlo. Del resto gli stessi Gasparri, Cicchitto, Bondi, Bocchino, hanno smesso di ripetere i loro esorcismi. Ognuno dei potenti comincia a pensare a sé, a prepararsi una via di ritirata e di fuga.
Molti pretesti fin qui usati e ripetuti come giaculatorie stanno cadendo come foglie secche a cominciare da quello contro le toghe rosse. Non sono certo toghe rosse i magistrati della Procura di Bari, che avevano cominciato la loro inchiesta sulla sanità regionale pugliese, una Regione governata dal centrosinistra.
Strada
facendo l'inchiesta si è imbattuta in Giampaolo Tarantini e, senza
abbandonare il filone iniziale, altri filoni si sono aperti ed altri
reati sono stati ipotizzati. Che cosa dovevano fare quei magistrati?
Chiudere il coperchio o adempiere al loro dovere di titolari della
pubblica accusa? Resta l'intimidazione contro i giornali e i
giornalisti, "vil razza dannata". Ma non tiene più neanche
quella. Che cosa doveva fare il direttore del "Corriere della
Sera", Ferruccio De Bortoli, di fronte alle dichiarazioni di
Patrizia D'Addario e alla documentazione da lei esibita? Non
pubblicare nulla e buttare tutto nel cestino? Ha fatto il suo dovere
facendo cadere il suo pregiudizio contro un "gossip" che
non è mai stato un semplice pettegolezzo ma, fin dal primo momento,
una questione pubblica come noi l'abbiamo sempre ravvisata.
L'avvocato Ghedini vorrebbe ora, in nome e per conto del suo cliente,
che il silenzio tombale sulle intercettazioni e sui processi penali
in fase istruttoria fosse reso retroattivo e quindi esteso
all'inchiesta della Procura di Bari. Una retroattività chiaramente
incostituzionale che probabilmente non avrebbe una maggioranza
neppure in un Parlamento dominato dal governo attuale e tanto meno la
firma di promulgazione del capo dello Stato.
Il problema è a
questo punto di una chiarezza elementare: un premier sotto ricatto
che deve provare (provare, non affermare soltanto) che i fatti non
sono quelli raccontati e provati dai suoi ricattatori; una vita
privata del capo del governo costellata da stravizi, alimentata da
una corte di ruffiani e gestita da persone ricompensate con scranni
in Parlamento a Roma e a Strasburgo, che deturpa l'immagine dello
Stato e del Paese e non può più oltre essere sopportata.
Se ne sono resi conto perfino Giuliano Ferrara sul "Foglio" e Giampiero Mughini su "Libero". Una sprovveduta parlamentare di centrodestra, in una sua lettera al "Corriere della Sera", è arrivata ad esaltare Lucio Sergio Catilina e l'ha paragonato a Silvio Berlusconi. La sprovveduta sa molto poco di Catilina, incallito debitore e uomo d'avventura, compromesso con le peggiori bande di eversori ed eversore egli stesso delle strutture della Res publica. L'avventura di Catilina arrivò alla ribellione armata contro i Consoli e il Senato, ma è vero che una volta imboccata quella via senza ritorno Catilina si batté con coraggio e perse la vita sul campo di battaglia.
È questo lo sbocco che la sprovveduta prevede e la parte che assegna a Silvio Berlusconi? Un caimano che porta le sue truppe all'incendio della piazza e delle istituzioni? Sono questi i consiglieri del premier, "utilizzatore finale" di prostitute in una stanza dalla cui finestra presidenziale sventola il tricolore?
E'
legittimo tuttavia porsi il problema d'uno sbocco politico che tenga
conto delle norme e delle consuetudini che regolano il sistema e sul
rispetto delle quali vigila il presidente della Repubblica.
In
caso di dimissioni del premier, anche se accompagnate dalla sua
richiesta di scioglimento delle Camere, spetta al capo dello Stato di
esaminare la possibilità che la maggioranza esistente esprima un
altro premier o che si possa formare in Parlamento un'altra
maggioranza. Solo nel caso che entrambe le possibilità si rivelino
impraticabili il capo dello Stato procede allo scioglimento. In tal
caso è possibile che il Quirinale designi una figura istituzionale
che conduca il paese alle urne.
Nel caso specifico la figura istituzionale si può ravvisare nel presidente della Camera, che assomma in sé un duplice requisito: è la terza carica dello Stato ed è anche il co-fondatore, insieme a Berlusconi, del partito di maggioranza relativa. Può dunque essere incaricato di portare il paese al voto immediato o anche di portarcelo dopo avere adempiuto ad altre gravissime emergenze connesse con la crisi recessiva che non consente pausa nella gestione della politica economica. Ma resta la domanda: si dimetterà Berlusconi? Dipende dal suo senso di responsabilità - che a questo punto sembra piuttosto scarso e soffocato da un vero e proprio titanismo patologico - e dalle pressioni che il gruppo dirigente nel governo e nel partito vorrà esercitare su di lui.
Il paragone con il 25 luglio del 1943 è forzato. C'era una guerra già perduta, l'esercito anglo-americano già sbarcato in Sicilia, quello nazista largamente presente sul territorio, bombardamenti e rovine dovunque.
Qui si tratta invece di una suburra, di banchetti da Trimalcione, di un capo di governo ricattabile e ricattato, d'un rischio di avventura quanto mai incombente, d'un sistema di potere esteso e colluso. Basso impero senza impero, Vitellio o Eliogabalo, non Catilina. Per certi aspetti stiamo molto meglio del 25 luglio, per altri purtroppo stiamo peggio.
Post Scriptum. Oggi si vota per i ballottaggi in molti e importanti Comuni e Province. L'esito è di grande importanza, anche con riguardo alla crisi politica che abbiamo qui analizzato. E' dunque auspicabile che gli elettori non disertino le urne. Si vota anche per il referendum sulla legge elettorale. Con quattro possibili comportamenti: non votare e far mancare il quorum, votare "sì", votare "no". Oppure votare in modo diverso per i tre quesiti referendari. Credo probabile che il quorum non sia raggiunto. Personalmente non mi strapperei i capelli se questa previsione si rivelasse esatta.
Finora i "supporters" del Capo si rifugiavano nella condanna del "gossip", ma ormai anche questo esorcismo è caduto. Anzitutto perché la vita d'un capo di governo non consente distinzioni tra la sfera pubblica e quella privata. Poi perché è stato lo stesso interessato a pubblicizzare il preteso "gossip". Infine perché si è creata una situazione che ormai non è più oltre accettabile: il premier è ricattabile e ricattato e lo sarà sempre di più perché sono decine se non addirittura centinaia i potenziali ricattatori. Un capo di governo nelle mani di ricattatori non può avere una vita politica lunga perché non può usare lo Stato e le sue istituzioni per soddisfare i ricattatori senza ampliare a dismisura il numero delle persone "informate dei fatti" e necessariamente coinvolte e compromesse nei fatti stessi.